Maria Rosa Moretti

Anton Giulio Brignole Sale: poeta per musica





1. Nel mese di Giugno del 1681, su un palco galleggiante sulle acque del porto di Genova risuonarono questi versi intonati da Proteo e Nettuno: [1]

Proteo - Ma che più parlo o Sire?
Del Brignole Anton Giulio è la bella germoglio,
Spinola è il sposo suo
Più dir non voglio.

Nettuno - Tanto mi basta, o Proteo!
Se tali i sposi sono, perché degni tu sacri a lor gl'applausi
ogn'arbitrio del Regno oggi ti dono.
E tu bella Anfitrite ai concerti di Proteo non isdegnar che sian tue voci unite!
Se de’ Spinoli eroi germe è lo sposo,
e del grande Anton Giulio di cui sempre immortal suona la fama
è la sposa nipote,
Tu meco ancor le loro glorie acclama!

A quasi venti anni dalla morte, Anton Giulio Brignole Sale « di cui sempre immortal suona la fama » è dunque ricordato e celebrato ne Il Barcheggio, l'ultimo lavoro che Alessandro Stradella compose prima di essere ucciso a Genova, nella centrale piazza Banchi, il 25 febbraio 1682.[2]
Indubbiamente Il Barcheggio fu l'evento musicale centrale dei festeggiamenti organizzati per le nozze dei due celebri rampolli - Carlo Spinola, figlio di Giorgio, e Paola Brignole Sale, figlia di Ridolfo - ed è anche l'unico che può essere ascoltato grazie all'esistenza di due partiture conservate a Modena e a Torino.[3] Non è però l'unico momento musicale di cui ci è rimasta memoria: la musica accompagnava le danze e le veglie [4] mentre, per allietare il banchetto nuziale,[5] Ridolfo chiamò cantanti e strumentisti tra i più importanti in quel momento attivi a Genova. Fra questi, Domenico Rena, suonatore di liuto e tiorba nella cappella musicale di Palazzo,[6] l'organista Ravara, da individuarsi con ogni probabilità in Paolo Ravara la cui presenza a Genova è segnalata da diverse fonti e con ruoli diversi,[7] e due violinisti di Palazzo indicati con i nomi « Gio Batta » e « Martinetto »: nel primo possiamo riconoscere Giovanni Battista Rossi che opererà a Palazzo sino alla fine del secolo XVII,[8] nel secondo Martino Bitti, che dal 1685 svolgerà un importante ruolo anche di compositore alla corte di Ferdinando dei Medici.[9] Ed ancora incontriamo il tenore Gio. Buccelleni, il soprano Andreino, il basso individuato come quello di Nove, un anonimo suonatore di cornetto ed uno di violone, quest'ultimo indicato come il « nipote di Pre. Marco ».[10]
La famiglia di Anton Giulio, come quella di altri esponenti dell'alta aristocrazia cittadina,[11] ebbe tradizionalmente importanti rapporti con la musica. Le prime testimonianze a me note risalgono all'ultimo ventennio del secolo XVI quando ai giovani membri della famiglia venivano impartite lezioni di musica e danza. Talvolta, nei pagamenti viene indicato anche il nome dell'insegnante: apprendiamo così che Giacomo Gallo fu maestro di ballo di Giovanna Maria, mentre maestro di musica fu probabilmente un certo Gio. Antonio.[12] In un caso viene indicato anche lo strumento insegnato, il liuto.[13] L'insegnamento, come le numerose esecuzioni musicali, presuppone naturalmente l'acquisto di libri e di strumenti. Un generico acquisto viene effettuato nel 1592, mentre nel registro dei conti del 1680 viene annotato l'acquisto di due libri di Frescobaldi.[14] La specificazione « prima e seconda parte », posta ad integrazione della nota, fa ragionevolmente ritenere che si tratti dei due libri di Toccate editi la prima volta dal musicista ferrarese nel 1615 e nel 1627.[15] Per quanto riguarda gli strumenti le indicazioni sono generalmente più numerose: a parte l'acquisto di un non meglio precisato « istrumento a corde » nel 1625, nel 1623 il patrimonio strumentale della famiglia era stato arricchito da un concerto di otto viole « coi suoi archi », nel 1624 da una tiorba e nel 1630 da un liuto.[16] L'impegno nella musica presuppone inoltre la conservazione degli strumenti, ed ecco allora che assistiamo alle spese di accordatura del cembalo (in un caso, il riferimento alla « spesa al cembalo piccolo » fa supporre l'esistenza di strumenti di diversa grandezza) e all'acquisto di « corde di chitarra » e di « chiavette per cembali ».[17]
Le occasioni per fare musica e le relazioni che la famiglia instaurò con importanti musicisti sono numerose e non sempre registrate nei libri dei conti. Alcuni esempi possono risultare significativi: ricordiamo l'intervento dei suonatori durante il pasto e la veglia per le nozze di Giovanna Maria e di Maria Aurelia,[18] il pagamento a Giovanni Lorenzo Balbi per « due musiche aggiustate »,[19] l'interessamento per le opere rappresentate al teatro Falcone,[20] i rapporti intercorsi con Pier Simone Agostini,[21] Carlo Ambrogio Lonati [22] e Agostino Guerrieri, che nel 1673 inserisce nella sua prima opera una sonata a due violini dal titolo encomiastico La Brignoli.[23] Gli interessi della famiglia assumono talvolta caratteristiche mecenatistiche: il 25 marzo 1651 è finanziata la partecipazione di musicisti alle funzioni quaresimali promosse dalla congregazione della Madonna della Pietà presso la chiesa del Gesù,[24] mentre il 23 dicembre 1681 Ridolfo contribuisce alle spese programmate dalla confraternita della morte in Santa Sabina.[25] In questa occasione le esecuzioni furono affidate a Carlo Ambrogio Lonati e a due cantanti, il « tenor di Brescia » e un certo « Federico », forse Federico Generoli.[26] Anche il cugino di Anton Giulio, Emanuele, può essere ricordato per il suo impegno verso la musica: nel 1677 egli si occupa di garantire un insegnamento musicale alle « Figlie dell'Opera che pro tempore sarà posta in Bisagno»,[27] insegnamento che doveva riguardare il canto fermo e il « sonar d'organo e basso di viola ». Inoltre, Emanuele Brignole ribadisce di aver ordinato a Giovanni Lorenzo Cipollina la costruzione di un organo per l'Opera del Rifugio.[28]
Sull'esempio delle corti italiane anche la famiglia Brignole Sale sviluppa nelle sue dimore una società da salotto, elegante, intellettuale e raffinata. Essa promuove le attività dell'Accademia degli Addormentati e consente che i suoi palazzi e le sue ville divengano punto di incontro per gli artisti, gli appartenenti alle più note Accademie italiane e gli intellettuali e letterati più rappresentativi: basti ricordare l'ospitalità offerta a Chiabrera e a Francesca Caccini,[29] a Pier Francesco Minozzi e ad Agostino Lampugnani.[30]
È proprio a partire da queste esperienze accademiche che prende vita gran parte dell'attività letteraria di Anton Giulio e che viene stimolata in lui quella molteplicità di interessi musicali che meritano di essere considerati con attenzione.


2. Prima di affrontare l'argomento specifico di questo studio, vorrei tracciare un quadro che evidenzi i legami che Anton Giulio ebbe con il mondo della musica: oggi, infatti, è possibile individuare in lui un personaggio con un consistente bagaglio di conoscenze musicali e che conserva costanti e profondi contatti con la vita musicale, non solo della sua città. Non ci è noto l'iter dei suoi studi, né se essi abbiano riguardato la musica vocale piuttosto che quella strumentale, ma le parole da lui annotate nel Quaderno di appunti - « Gio Paolo Costa che può ben essermi maestro nella quantità delle note, ma scolaro nella valuta de’ sospiri […] »[31] - lasciano intendere che egli sia stato allievo di uno dei più importanti musicisti della città.[32] D'altronde, i contatti del Costa con la famiglia Brignole Sale risalgono per lo meno al 1623,[33] e a quest'epoca Anton Giulio era un giovane di circa diciotto anni.
Dal Quaderno di appunti emergono inoltre riferimenti alle tecniche e agli stili compositivi che consentono di verificare la consistenza delle conoscenze musicali in possesso del giovane Anton Giulio. Nelle bozze di due lettere, prive di destinatario ma indirizzate con ogni probabilità ad un liutista, dato il riferimento al « vostro solo liuto », Anton Giulio si sofferma a paragonare gli occhi di una non precisata donna a « due note nere » che « sempre con coteste due sole note » fan « far passaggio di Terra in Cielo », poi passa a definire le caratteristiche dell'aria che lo sconosciuto destinatario della missiva avrebbe dovuto comporre per lei (« Aria sopra del fuoco? […] Pure s'ella dovrà imitar le parole bisognerà che sia un'aria tutta piena di lampi, di fulmini, di saette »), per concludere che se fosse stato lui a comporre quest'aria, certamente essa sarebbe stata « tutta di sospiri ».[34] Non mancano accenni alle veglie e ai barcheggi, e a questo proposito Anton Giulio afferma che la musica è « più proporzionata al mare che alle veglie », poiché nel mare vivono le Sirene e i delfini sono « amici della musica ».[35]
Più importanti appaiono i riferimenti a Falconieri e alla Sig. Leonora. Il nome di Andrea Falconieri, compositore-liutista napoletano ben noto a Genova per avervi dimorato per un certo tempo, è ricavabile dall’accenno alle « corde del suo liuto »[36] che non sembra lasciare dubbi sulla sua identità. La Sig. Leonora, « nella cui bocca se ben le sue soavissime musiche vi troverebbero maggiore dolcezza », è ricordata invece nella minuta di una lettera indirizzata a Chiabrera,[37] ed è da individuarsi in Leonora Basile, la giovane cantante, figlia di Adriana, che tanti rapporti ebbe con Genova e Savonax.[38] Anche dai suoi scritti a stampa emergono notizie musicali. Nel Satirico [39] e nel Satirico Innocente [40] Anton Giulio discute sulla consuetudine che faceva ritenere necessaria una preparazione musicale alle ragazze che volevano entrare nei monasteri e precisa: « La tal giovane si dà alla musica? Dicono, accioch'un il Munistero [sic] a miglior mercato l'accetti; ma per mia opinione il suo motivo si è di entrar ne’ cuori, più che nel coro: poco teme la mala voce Donna, che troppo cura la buona voce ».[41] Più volte poi incontriamo riferimenti ai balli dell'epoca: il « ballo alla Spagnuola » è descritto come un ballo « in cui non solo il suono, ma anche il canto di un perfetto musico porgeva legge a moti di chi danzava », mentre la ciaccona viene condannata e dichiarata non adatta alle dame genovesi perché considerata tra i « balli sì capricciosi ».[42]
Particolarmente pungente è infine la satira indirizzata ai cantanti evirati. Questa una delle rime che fa riferimento all'impiego dei castrati nelle funzioni religiose:

Mentre cantavi in Duomo,
Dissi, la voce tua non esser d'huomo.
Tu pensi ch'io dir volli
Ch'ella d'Angiolo fosse, e te n'estolli.
Sappiano tutte quante le persone,
Ch'io 'l dissi, perch'ella era di Castrone.[43]

Riferimenti a balli, commedie, veglie, barcheggi e musiche ritornano, anche se con tutt'altro significato, nelle opere spirituali che Anton Giulio scrisse durante tutto l'arco della sua vita, ma soprattutto dopo aver abbracciato lo stato religioso. L'uomo, che per più di quarant'anni era vissuto nel mondo, ora guarda a queste realtà con occhio diverso. Così, se nella realtà umana « con filuchette habbiamo raso barcheggiando le pendici di Fassuolo, e del Molo nuovo » ora, nella realtà spirituale « è bella Impresa oltre le mete Erculee spingerci per Oceani maestosi con Galeoni ».[44] Anche le feste napoletane (« […] teatri di già aperti per le Comedie, saloni già con porte spalancate anelanti alle danze […], per ogni contrada suoni di pifferi, di nacchere, di tamburi, di trombe ») servono ad Anton Giulio per rendere più efficace l'« andar sottosopra del mondo » mediante il quale « le ballate si mutano in Miserere »,[45] Quinto Marini, nel trattare dell'oratoria sacra di Anton Giulio, pone a confronto l'opera « di un personaggio che ha vissuto intensamente nel secolo » con quella di un « umile frate tutto dedito alla mortificazione ». Ecco quanto scrive utilizzando le parole dello scrittore: « Il finale, poi, si fa ancor più incandescente. Anton Giulio Brignole Sale, il letterato che aveva a suo tempo scritto commedie ed incitato alla gioia del carnevale, ora sente la sua città in preda al demonio ("[…] io sento andando per le strade già bisbigliarsi apprestamenti per il Carnevale: già sento aspettarsi con avidità Decembre estremo: ma non per festeggiar la nascita di Christo, ben sì di Bacco. Odo qui veglie, là musiche, colà banchetti […]") ed invoca l'intervento del beato Andrea contro "questo Carnevale e morte di anime", affinché la sua Genova, "di Babilonia dissoluta" diventi una "Ninive penitente", perché ormai "non son tempi di feste, non di pompe, non di lussi, non di veglie, non di danze, né di ornamenti, non di Comedie. Egli è tempo di ceneri, egli è tempo di digiuni, di flagelli, di confessioni, di placar Dio" ».[46]
Abbiamo già accennato alla conoscenza che Anton Giulio ebbe del vasto repertorio di stili musicali praticati tra Cinque e Seicento; particolarmente significativa è la dimestichezza che egli ebbe con le caratteristiche stilistiche di Carlo Gesualdo, da lui individuate nella ricchezza e varietà degli intervalli musicali impiegati e nell'uso delle note false. Del resto, proprio lo stesso anno della morte del Gesualdo, Simone Molinaro aveva fatto pubblicare a Genova la produzione madrigalistica del musicista,[47] ed è da ritenere che copie della celebre partitura circolassero nelle case dell'aristocrazia genovese e che quindi il Brignole Sale ne avesse conoscenza diretta.
Anton Giulio fa riferimento a Gesualdo una prima volta nel Carnovale quando, a proposito dell'impiego delle « durezze », fa affermare: « Di queste fu il Venosa l'introduttore ». Leggiamo parte del lungo dialogo che ha origine dalla osservazione della bellezza di una giovane,[48] e consideriamo l'uso di alcune espressioni già incontrate nel Quaderno di appunti.

Emilio - Certo se noi uomini c'immaginiamo perfettissima armonia di suoni e canti quando vogliam far concetto del Paradiso, le due belle luci che c'insegnano si ben la strada per arrivarvi, d'altro non denno essere maestre, fuor che di musica.
Claudio - Ben si vede, che han per fine lo insegnare a far passaggi rapidissimi di terra in cielo; quindi sono provedute di note nere.
Emilio - La maraviglia si è, che tal passaggio, benché sia il più lungo che si ritrovi, essi nondimeno insegnano di farlo sol con due note.
Claudio - Dunque senza rischio di pericolosi balzi male pratticar potrassi la lettione.
Emilio - Così è. In una battuta sola fanno ascender dal più fondo basso oltre il soprano più sollevato, e da questo in quello parimente fanno sprofondare in una battuta sola. Vero è che come sommamente esercitati nelle più ammirabili finezze dell'armonia, quando altri aspetta la cadenza sicuramente, et essi con soave inganno tornano a rimetterlo molto più in su.
Claudio - A questo modo non sarà concesso l'essere cantore sotto disciplina così gentile solo a chi avrà voce buona per molte parti.
Emilio - Certo chi non ha gran petto e buono ad arrivar molto alto non vi si metta. Nel resto è ben ragione che il discepolo per gloria del maestro molte parti si studi a fare, quando il maestro anch'egli a beneficio del discepolo ne fa moltissime.
Claudio - E quali?
Emilio - Oh non vedete, che due occhi fanno essi medesimi le compositioni: essi le cantano, sono la scuola, son le note, son le parole?
Claudio   Queste ultime mi par che non ispicchino perfettamente.
Emilio -  Piccano però perfettamente nol negarete.
Claudio - Anzi per piccar forte si accompagnano sovente con le durezze.
Emilio - Di queste fu il Venosa l'introdutore. Non vi paia strano che lor piaccia d'imitare un Prencipe, sendo si nobili.
Claudio - Pur che parimente non l'imitino nello adoprar sovente le note false.
Emilio - Sappia lo scolare intonarle giuste, che anche queste il colmeranno di una amabilissima soavità.
Claudio - Sicurezza nel cantare troppo ben fondata si richiede per saper farlo: dove che quegli occhi, se non mente l'igneo lor temperamento, poca flemma avendo nella solfa, debbono insegnare a lor discepoli sol cantar d'aria.
Emilio - Se ciò argomentate dallo esser' ignei; e perché non dite cantar di fuoco?
Claudio - Percioché io non udii mai, che tal maniera di cantare si ritrovasse.
Emilio - Si trova: e gli occhi di cotesta Dama fur gl'inventori: sì che so chi canta con maniera di fuoco, canta con la sua gratia.[49]

Alcuni anni dopo, analoghi riferimenti musicali sono introdotti nel Tacito abburatato. Questa volta però i riferimenti sono contenuti all'interno della narrazione di un assassinio nel quale è possibile individuare un preciso riferimento alle vicende che coinvolsero Carlo Gesualdo. L'accaduto era ben noto a Genova: esso era stato messo in musica da Giovanni Battista Dalla Gostena,[50] ed anche Chiabrera aveva composto versi che celebravano la morte della moglie di Gesualdo, Maria d'Avalos.[51] Anton Giulio quindi doveva conoscere molto bene la vicenda che, pur celando i nomi dei protagonisti, narra con queste parole:

Nella cittade a cui con il cielo clementissimo, con territorio fortunato, con marina colma di Sirene, con linguaggio, e modo onde formati sembrano di nettare gli abitatori, han dato a gran ragione titol di gentile tra le italiane i lussureggiamenti della natura, ebbe un Principe per moglie Dama di bellezza pellegrina sì a tutte le altre. Ma non fu in costei già pari la pudicitia, peroché ella divenuta, come disse per ischerzo poscia un bell'humore, imitatrice del merito [marito], ch'era musico eccellente & amicissimo di note false, falsità commise, e concertossi con un giovinetto cavaliere, pieno il volto e la persona di quell'armonia medesima di cui sapeva il Prencipe riempire i fogli. Non tardò ad udirlo questi, che qual musico dovea d'ottimo orecchio esser proveduto, e si pose in guato.
N'ebbe l'amatore avviso, et invitato dalla donna, volse col significarle il rischio differir le gioie, per non finirle. Oh furori di una femina libidosa! Ella rimandò dicendo a lui così: « chi ha paura si faccia birro ». Qual destriero generoso, che sospinto sul ciglione di un orribil balzo, sulle prime adombra, inalberasi, ma trafitto da ostinato sprone alla per fine pur si precipita, tale il giovinetto non reggendo alla rampogna troppo acerba. « Verrò », disse, « già ch'ella il vuole. Piaccia al cielo, che altri per vendetta non sia carnefice, si come io per tema non sarò birro », e andò. Dormiano gli infelici adulteri, & ecco entrar con due non men di sangue uniti che di offesa l'oltraggiato Principe marito.

A questo punto però, Anton Giulio contrappone alla « violenza dello sdegno » la « violenza dell'amore », e dà alla vicenda un finale diverso da quello realmente accaduto:

Notisi ora ciò, che in somigliante caso dà al sogetto nostro col suo esempio forte argomento. La violenza dello sdegno fece correr lo scornato tosto che fu in camera co'l ferro ignudo, ma la violenza dell'amore fecelo restar sospeso tosto che fu al letto presso il quale ardeva chiaro doppiero. La violenza dello sdegno fegli alzare il braccio quando vide ch'egli fuor del letto stava, e pur soletta non giaceva la donna sua, ma la violenza dell'amore a mezz'aria ruppe il colpo, quando rimirò quel volto dalle cui pupille uscivan lampi atti ad impietosire i fulmini di Giove stesso. La violenza dello sdegno al rimirar sul talamo i vestigi infami s'egli pure risospinger l'adirata punta fino al bel seno, ma la violenza dello amore rintuzzando l'adirata punta fé cadere trambasciato il misero, e restar la cura di eseguir la miserabile tragedia a chi era sol venuto per attestarla.

e conclude:

Dunque, a Tacito tornando, la violenza dell'amore avrà instecchito il braccio di chi lo spingeva contro una sleale adultera ».[52]

Senza dubbio però, i riferimenti musicali più interessanti sono quelli contenuti nelle Instabilità dell'ingegno.[53] Si tratta di testi poetici intonati nell'ambito dei giochi accademici che quattro giovani e quattro ragazze decidono di intraprendere per trascorrere otto giornate in una villa posta sul piacevole colle d'Albaro, lontani dalla peste che dilaga in città. Nella maggior parte dei casi i momenti musicali costituiscono i pegni da pagare per gli errori commessi nello svolgimento dei giochi. Questi pegni, come nota Felicita nella ottava giornata, sono pagati soprattutto dalle donne: « …e da quando in qua costumasi che le dame corteggino i cavalieri? Io per me non son per ubbidirvi, o reina, tanto più che tutti i dì passati è toccata a noi donne la fatica del cantare, e vuol ben giustizia ch'oggi mai ci tocchi il piacer dell'udire ».[54] Entriamo dunque nel vivo delle esecuzioni raccontate nelle Instabilità.[55] Al termine dei giochi della prima giornata viene imposto a Flerida e a Clarice di cantare una canzonetta. Flerida esclamando « Bella cosa […] esser alle mani di giudice compassionevole, posciaché nel pagar gli errori commessi me la passo cantando » prende una chitarra e tasteggiandola dolcemente esegue Non più, non più cor mio, mentre Clarice « con una voce che pareva stata a molle nel nettare, canta Pupillette che volgete ». Quindi, a chiusa della giornata, l'attenzione di Carlo è attirata da una coppia di tortorelle in amore, e poiché « non puoté a meno di non esser grato a quel dolce spettacolo » il giovane dà voce a Vaghe tortorelle. Nella seconda giornata è Odoardo che con « musici accenti » loda l'alba nascente (Quando l'alba in oriente esce limpida e serena), mentre Clarice e Aurilla intonano rispettivamente Tu sarai scoglio durissimo e Occhietti graziosi. Allo scadere della terza giornata per combattere la « soave mestizia », il re eletto propone « la soave allegrezza di due voci canore ». Flerida e Aurilla, invitate a cantare insieme una « qualche liet'aria », diffondono il duetto Idol bellissimo destando « gran meraviglia che andasser così d'accordo due voci che nella dolcezza erano così emulatrici », e poiché Odoardo si accorge che Clarice e Felicita soffrono nel non vedersi onorate da applausi, le prega di intonare la canzonetta Nel suo regno amor. Nella quarta giornata Flerida e Aurilla intonano ciascuna una canzoncina: Flerida « negando di esser musica » canta accompagnandosi con una chitarra Lagrime tutte amare, e Aurilla contrapponendo alla « canzonetta dolente » quest'altra « tutta lieta » interpreta Già nel ciel rare disciolgono. All'inizio della quinta giornata Carlo, sollecitato dai compagni, pone la seguente domanda: « È possibile, o Signore, che siate in dubbio quale sia trattenimento più nobile e più dilettevole il barcheggio o la veglia? ». A questa domanda segue una lunga risposta volta ad esaltare la superiorità del barcheggio che « si fa nel mar », sulle veglie che si svolgono « entro stanza privata ». Carlo dichiara che al barcheggio « servon di pavimento campagne immense di liquefatti Zefiri », mentre la veglia « posa sopra spazio di materia in paragone vilissima », e prosegue: « Quello ha per corona spiagge tapezzate da superbi palagi, colline coltivate da fruttifera amenità, orizzonti miniati da capricciosissimi raggi » mentre questa « ha per prigione mura mascherate con inganni tessuti, tetto effigiato da pennello caduco, finestre chiuse per man nemica de’ favori del Cielo ». Alla lunga dissertazione segue l’intervento di Clarice che, accompagnandosi con una viola, canta Poi che il crudel destin, mentre, quale pegno dei giochi, Felicita « con la sua costumata vivacità » dà voce a Chi nel regno almo d'amore. Il giorno successivo Clarice e Felicita intonano accompagnandosi con gli strumenti Tu sei pur bella o cara e Dove n'andrò che non mi segua Amor? e, a chiusura dell'ottavo giorno, Carlo viene invitato a cantare Chiesi un bacio e me ‘l negasti.[56] Un altro aspetto interessante riguarda lo stretto rapporto di Anton Giulio con il nobile genovese Agostino Pinello.[57] Si tratta di un personaggio noto da tempo nella storia della musica genovese: a lui Gabriello Chiabrera nel 1635 aveva inviato alcune poesie « che vogliono la gentil compagnia della musica »,[58] e a lui, insieme al fratello Filippo Maria, nel 1640 Giovanni Maria Costa aveva dedicato il Primo libro di madrigali.[59] Proprio dalle parole di questa dedica, al di là delle convenzioni retoriche che comunque illuminano le virtù umane dei due giovani, emerge che i due fratelli erano stati allievi del Costa, e che delle loro interpretazioni canore avevano conservato « fresche memorie i teatri famosi » e le accademie.
Esaminiamo dunque il rapporto di amicizia che intercorse tra i due nobili genovesi, rapporto di cui si ha notizia a partire dall'inclusione del nome di Agostino in un elenco di persone alle quali Anton Giulio prestava i libri della sua ricca biblioteca,[60] e che proseguì per lo meno sino al 1648 quando Brignole Sale gli dedicò Il Satirico innocente:

Sig. Agostino. Io vi dedico questo mio libro per dar, non a voi che d'uopo non ne havete, ma al mondo, un testimonio della mia affettuosa amicitia. La quale è tanto più maravigliosa quanto è meno su la somiglianza fondata. Peroché voi siete perfettissima idea di pretiosa finezza non meno nell'ingegno che né sembianti: avete uguale l'armonia de’ costumi a quella della voce, siete generoso fino a fare arrossir la fortuna del non avervi ella fatto gran Prencipe, & io per lo contrario altro non ho di buono che il saper amare & ammirare sì gran pregi come conviensi. Orsù: ciò è ben anche tanto che mi assicura il vostro cortesissimo aggradimento. Sotto l'ombra di questo metto il mio Innocente Satirico, accioché possiate vantarvi che anche l'ombra vostra mi può far chiaro. N.S. mi feliciti, felicitandovi.

In effetti, le occasioni per rendere salda l'amicizia non dovettero mancare: Agostino, come Anton Giulio, partecipava intensamente alla vita mondana della città, ed è proprio nel Carnovale, fantasiosa narrazione di uno di questi intrattenimenti, che abbiamo una descrizione della figura di Pinello. Siamo nella prima delle tre giornate che costituiscono il celebre scritto di Anton Giulio, Claudio, Emilio e Floridano [61] sono giunti in un ricco palazzo dell'attuale via Garibaldi. I tre giovani si guardano attorno e commentano argutamente quanto vedono. All'apparire della signora Francaspina (da identificarsi in Maria Maddalena De Franchi, moglie di Domenico) restano attratti dalla sua grande bellezza e incuriositi quando ad essa si avvicina Agostillo Pellino (da identificarsi in Agostino Pinello) che la invita a ballare:

Emilio -   Vedete voi cotesto giovane signor Florindo?
Florindo - Tanto il vedo, che tema mi assalisce di non vederlo si perdo tutti gli occhi sopra di lui.
Emilio - Or fate conto di non esser da meno che messer Febo, poscia che si ben com'egli suole voi con una occhiata avete in Agostillo Pellino ravvisato un mondo intiero di perfettioni. Quella dilicata dispostezza ond'ei sovrasta nobilmente a gli altri con la persona, quei lineamenti di sembiante così fini che le linee emulatrici de’ due Greci dipintori ne foran vinte, quell'aria che ha cotanto del regale collo aver l'imprenta degl'immacolati e maestosi gigli del nobil viso mostrano di avere consumato tutti gli astri più cortesi di un cielo amico. Non è egli vero? E pur altro non sono, fuor che titolo brevissimo di gran volume. Una gentilezza di maniere che si acquista sempre impero col ceder sempre, un ingegno ch'è miracolo non essere di Angiolo, una voce tutta sale nelle argutie, tutta zucchero nell'armonia, una mano giocatrice non per vincere, ma per donare, le cui perdite solo alterano il viso di chi a lui bramava o da lui sperava. Questi sono i veri pregi, ond'egli è da ammirarsi fra tutti gli uomini.
Florindo - Or quando egli è tale ben ogni ragione il trasse ad accoppiarsi alla signora Francaspina nel carolare.
Claudio - E chi dubita se ciò sia vero, miri come bene l'uno all'altro corrisponda nella leggiadrissima destrezza de movimenti.[62]

Infine la produzione teatrale del Brignole Sale e di altri letterati del primo Seicento offrì l’occasione di ulteriori incontri tra Anton Giulio, riformatore e “Principe” degli Addormentati,[63] e Agostino Pinello, membro degli Annuvolati [64] ed interprete degli allestimenti scenici promossi dalle accademie stesse; quest’ultimo nel 1637, insieme al fratello Filippo Maria, aveva recitato nella tragicommedia di Anton Giulio I due anelli simili,[65] e nel 1642 aveva fatto parte del cast che aveva rappresentato a Palazzo Il fazzoletto di Francesco Maria Marini.[66]
Con la recita di questa pièce siamo introdotti ad affrontare l'ultimo aspetto della produzione di Anton Giulio: quello che lo vede poeta per musica. Si tratta di una attività fino ad ora nota limitatamente alla scrittura de Il pianto d'Orfeo, l'Intermedio musicale [67] che Brignole Sale scrisse come conclusione a Il fazzoletto. L'intermedio è preannunciato dalla « Licenza » nella quale Visauro suggerisce alle dame di seguirlo nella « via de’ regni di Plutone » guidati dall'« innamorato Orfeo » che avrebbe placato i mostri e le furie « con l'armoniosa sua voce ».[68] A questo punto « I palaggi che formavan la scena trasmutaronsi l'improviso in sterili balze, li quali formavano un'orrida caverna nella quale comparve Orfeo con ghirlande di laoro e cetra su la quale, con voce mesta intonò: Oppresse sol da disperati passi ». Quindi, interrogate da Plutone, intervengono le tre Furie che « in stravagante tuono » cantano la canzonetta A suon sì bel / l'atroce ingiuria / d'ogni tormento muove a fuggir mentre, una volta deciso di accordare la grazia, Orfeo e Plutone intonano Dunque, o dame generose, che celesti gli occhi avete. A conclusione della vicenda, nel momento in cui Euridice scompare, Orfeo « in tono doloroso » dà voce a Oimé chi mi t'invola, anima bella?
L'intermedio, dunque, prevede la partecipazione di sei attori, dei quali cinque dovevano essere anche cantanti: Orfeo, che si accompagna col suono della cetra, Plutone e le tre Furie. Purtroppo, mentre conosciamo i nomi degli interpreti della commedia, pervenutici attraverso un elenco manoscritto posto a chiusa de Il fazzoletto, le fonti non ci hanno trasmesso informazioni circa l'autore della musica e gli interpreti dell'intermedio. Al riguardo però possono essere fatte alcune considerazioni. Innanzi tutto possiamo ritenere che gli attori dell'intermedio siano stati gli stessi della commedia. In quanto attori dilettanti [69] potevano infatti possedere quelle capacità musicali che consentivano anche esecuzioni vocali: non dimentichiamo che Agostino Pinello, del quale abbiamo già discusso le qualità di cantante, ne Il fazzoletto aveva interpretato la parte di Visauro. Le ipotesi si fanno invece più difficili per quanto riguarda gli altri interpreti e il compositore. Indubbiamente per quest'ultimo potremmo prendere in considerazione il fatto che possa essere stato lo stesso Pinello a comporre la musica: sebbene di lui non ci sia pervenuto alcun lavoro, sappiamo di una sua pur limitata attività compositiva.[70] Più verosimilmente però, potrebbe trattarsi di Giovanni Maria Costa che nel 1642 era maestro di cappella di Palazzo.[71]
La musica dovette essere presente anche nell'ultima commedia di Anton Giulio, I comici schiavi:[72] nel terzo intermedio leggiamo l'annotazione « segue una sinfonia che alletta a dormire », mentre alla fine del secondo e del quarto intermedio sono previsti due balletti, quello degli Spiriti e quello dei guerrieri.


3. Più volte mi sono chiesta se i versi poetici che Anton Giulio Brignole Sale inserì nei suoi scritti, ed in particolare nelle Instabilità dell'ingegno, non avessero avuto in qualche occasione legami più stretti con la musica. Rispondere a questa domanda non era facile: presupponeva una ricerca ampia e difficoltosa. L'occasione di questo convegno mi ha sollecitato a proseguire gli studi da tempo iniziati, e sebbene essi necessitino ancora di approfondimenti e riscontri, tuttavia hanno dato i primi importanti frutti: tra il 1636 ed il 1652 sei canzonette delle Instabilità sono state messe in musica da tre compositori italiani molto noti all'epoca se guardiamo alla divulgazione delle loro opere, ma poco studiati oggi.
Il primo musicista che interpreta questi testi è il romano Giovanni Felice Sances, compositore, cantante ed insegnante attivo a Roma, Bologna e Venezia, città nella quale rimase sino al dicembre del 1636 quando fu assunto come cantore nella cappella dell'imperatore Ferdinando III a Vienna. Proprio un mese prima della sua partenza da Venezia, Sances aveva firmato la dedica del Quarto libro delle arie e cantate [73] che contiene quattro testi tratti dalle Instabilità dell'ingegno: Dove n'andrò che non mi segua Amore,[74] Lagrime tutte amare che versa il mio dolor, Chiesi un bacio e me ’l negasti e Chi nel regno almo d'Amore[75]. Le prime tre composizioni sono per voce sola, l'ultima per due voci. Il secondo è Carlo Milanuzzi, organista agostiniano attivo in diverse città italiane e autore di un gran numero di pagine profane che raccolse principalmente nei nove libri di Ariose vaghezze. Nel 1643 Milanuzzi musicò Tu sei pur bella o cara che inserì nell'ultima raccolta da lui pubblicata a Venezia.[76]
Nel 1649 è ancora Sances che nei Capricci poetici [77] musica per una voce e basso continuo il testo già utilizzato nel 1636: Chi nel regno almo d'amore.
Infine, nel 1652 Pier Paolo Sabbatini, maestro di cappella a Roma nell'arciconfraternita della Morte et Orazione e in S. Luigi dei Francesi, nella Prima scelta di villanelle a 2 voci [78] intona Nel suo regno amor.
A questo punto sorgono spontanee due domande relative alle fonti utilizzate dai tre musicisti e alla possibilità che Brignole Sale abbia conosciuto ed ascoltato queste versioni musicali. Per quanto riguarda le fonti, l'ipotesi più interessante è che Sances - il quale pubblicò la sua opera l'anno successivo a quello delle Instabilità - abbia potuto conoscere le rime attraverso la circolazione manoscritta. In effetti, Giovanni Battista Manzini, nel consegnare alla stampa il manoscritto delle Instabilità, dichiara che esso circolava da tempo in Venezia, perché uscito « dalla furtiva mano di un servitore, tanto più degno di biasmo, quanto più ingrato al suo Signore ».[79] Per il momento però, questa ipotesi non viene suffragata da altra notizia, ed anche le varianti testuali tra la lezione musicata e quella della prima edizione a stampa non ci aiutano a definire meglio la questione.
Per quanto riguarda invece la possibilità che Anton Giulio abbia potuto ascoltare almeno alcuni di questi lavori, senza dubbio la data di composizione consentirebbe una risposta affermativa. La storia della musica ci insegna però che normalmente il poeta non si curava del fatto che le sue rime potessero essere musicate, e d'altra parte anche il musicista poneva scarsa attenzione agli autori dei versi di cui si serviva. Inoltre, bisogna tenere conto che queste rime, sebbene riferite a contesti musicali che prevedono all'interno delle Instabilità esecuzioni a una o due voci con o senza accompagnamento di strumenti, in realtà non sono rime composte per essere musicate dato che non risulta che Brignole Sale abbia affidato questi testi ad alcun compositore.
Ulteriori ricerche sui musicisti che hanno rivestito di note questi versi potrebbero portare a definire gli ambienti nei quali queste rime circolarono, e contribuire ad una più approfondita conoscenza della fortuna degli scritti di Anton Giulio Brignole Sale. Quello che è certo è che queste composizioni dovettero avere un largo consumo nelle corti, nelle accademie e nelle case patrizie: nonostante la diversità delle denominazioni (arie, cantate, ariose vaghezze, capricci poetici, villanelle), e nonostante alcune di esse siano state composte per voce sola ed altre per due voci, in realtà si tratta di forme e stili riconducibili alla monodia che, a partire dagli inizi del Seicento, aveva conquistato rapidamente la posizione sociale che nel secolo precedente aveva avuto il madrigale polifonico. Di un'ampia circolazione fanno fede inoltre le caratteristiche editoriali della maggior parte delle composizioni in esame: per renderle accessibili a diversi strati sociali, la melodia viene accompagnata dal basso continuo (affidato al clavicembalo, chitarrone « o altro simile stromento ») o dalla chitarra spagnola, strumento allora molto in voga perché caratterizzato da una notevole facilità di esecuzione.
Non sono stati trovati sino ad ora altri testi di Brignole Sale che siano stati musicati. Tuttavia ciò non esclude che non si possano trovare in futuro altre rime profane o sacre che abbiano avuto un rivestimento musicale. Quanto è fin qui emerso è comunque sufficiente ad indicare la notorietà del Brignole anche nel mondo musicale, e a inserirlo, insieme a Paolo Foglietta, Angelo Grillo, Gabriello Chiabrera, Ansaldo Cebà, Giovanni Andrea Spinola e Francesco Frugoni, tra i liguri "poeti per musica".  



Appendice

I testi qui riportati, modernizzati nella scrittura, seguono la lezione musicale. Le varianti rispetto alla prima edizione a stampa non sono di particolare rilievo; di maggiore importanza sono invece quelle relative alla lezione manoscritta contenuta nel Quaderno di appunti.


I.
a - Giovanni Felice Sances, Il quarto libro delle cantate et arie a voce sola cit., pp. 9-10
b - Le Instabilità dell'Ingegno cit., p. 288
c - Quaderno di appunti cit., c. 109


Dove n'andrò che non mi segua Amor?
S'io volo in ciel,
ha l'ali rapide questo crudel,
s'io fuggo in mar,
ei nudo et agile corre a nuotar.

È forza pur ch'a lui s'involi il pié,
folle pietà
promette all'anima poi morte dà:
troppo schernir
sa questo perfido, nol vo' soffrir.

Chi dunque a lui m’asconde per  mercé?
Da tal timor
deh voi scioglietemi, donna mio cor,
nel vostro sen
presto celatemi, ch’ivi non vien.

v. 2             c: fuggo
v. 3             a: rapidi
v. 4             c: fuggio
v. 5             a: notar
v. 6             b e c: E forza è pur
v. 7             b: dolce pietà, c: falsa pietà
v. 10           a: fa; b: vuò
v. 13           c: voi deh
v. 15           b e c: ch’ivi ei non vien
b e c: separano in due il III e V verso di ogni strofa.



II.
a - Giovanni Felice Sances, Il quarto libro delle cantate et arie a voce sola cit., pp. 13-14
b - Le Instabilità dell'Ingegno cit., pp. 173-174
c - Quaderno di appunti cit., c. 49


Lagrime tutte amare
che versa il mio dolor,
lagrime tutte care
che stilla la mia fé;
uscendo dal mio cor
ite al mio cor a domandar mercé.
Siate candide,
siate flebili,
sperar vuò
goccia ch'ogn'or cadé, marmo spezzò.

Dal sangue mio prendete
lo spirto vital,
dal sangue mio sciogliete
la fiamma più fedel;
dolente, e in un leal
me dipingete innanti alla crudel.
Solo pregovi
ch'ella mirivi,
poi chi sà?
Non si mira martir senza pietà.

v. 6             c: dimandar
v. 9             b e c: vò
v. 12           b: spirito; c: spirto più vital
v. 13           b e c: foco; a: sciolgliete; b: sciegliete; c: scegliete
v. 16           c: inanzi
b e c hanno una terza strofa dall'incipit: « Dite che tutto essangue ».
c presenta diverse cancellature.



III.
a - Giovanni Felice Sances, Il quarto libro delle cantate et arie a voce sola cit., pp. 29-30
b - Le Instabilità dell'Ingegno cit., pp. 472-473
c - Quaderno di appunti cit., c. 47


Chiesi un bacio e me ‘l negasti,
ma tua bocca diventò
così bella in dir di no
che si fé
il negar quasi mercé.
Filli, dimmi or qual sarà
se di sì già mai dirà?

Se il tuo labbro all'or che crudo
le sue rose avvelenò,
così dolce risonò,
tutto mel
ben sarà meno crudel.
Come caro s'aprirà
se di sì già mai dirà?

Tutto il nettare più puro
che nel ciel mai si formò
che dal ciel mai si versò,
vago Amor
stillerà da un labbro all'or.
Ahi, che dolce n'uscirà
se di sì già mai dirà?

v. 1             a e b: mel
c ha una seconda strofa completamente diversa e dall'incipit « Se quel labro ritrosetto ». La terza strofa presenta notevoli varianti testuali.



IV
a - Giovanni Felice Sances, Il quarto libro delle cantate et arie a voce sola cit., pp. 61-62
a' - Giovanni Felice Sances, Capricci poetici cit., p 3
b - Le Instabilità dell'Ingegno cit., pp. 215-216
c - Quaderno di appunti cit., c. 150v


Chi nel regno almo d'Amore
brama l'ore trar serene
fuor di pene,
d'una sola amante stolto
non si chiami,
molte n'ami,
ma non molto.

Finga pene per ciascuna,
ma nessuna abbia la palma
d'arder l'alma;
tal or esca in mezzo al viso
breve pianto,
ma fra tanto
in cor sia riso.

La modesta se ti scaccia,
tu procaccia che l'audace
ti dia pace.
Se la bianca ti beffeggia,
la brunetta
per vendetta
e tu vagheggia.

Quando vede donna bella
che sol ella nel tuo petto
ha ricetto,
in trofeo meschin ti mena,
flagellato
condannato
in vil catena.

Ma se scorge che tu scaltro
tosto ad altro amabil volto
sarai volto,
non si mostra più severa,
ma pietosa
amorosa
e lusinghiera.

Quel van titolo di fede,
ch'ogn'un chiede e ogn'un desia,
è pazzia.
A vestirsi è fede avvezza
di candore
ch’è il colore
di sciocchezza.

v. 12              c: caldo pianto
v. 19-20         a': sono tra loro invertiti
v. 21              a': manca la e iniziale
v. 25               c: per trofeo
v. 28               a', b e c : a vil catena
v. 35              a' e b: manca la e iniziale; a: lusinghera
v. 36 e segg. a’: manca tutta la strofa
v. 37              c: manca la e di congiunzione; a: crede
b e c hanno gli ultimi due versi di ogni strofa uniti in un unico verso.
c ha anche un'altra strofa dall'incipit: « Se la donna sol si gode »; la poesia presenta numerosi cambiamenti all’interno delle singole strofe e nella loro successione.
Sances interpreta questa poesia come un duetto e pertanto ai versi 5 e 23 la seconda voce intona « ti chiami » e « suo petto »



V.
a - Carlo Milanuzzi, Nono libro delle ariose vaghezze cit., p. 29
b - Le Instabilità dell'Ingegno cit., pp. 287-288
c - Quaderno di appunti cit., c. 109

Tu sei pur bella, o cara,
cara, tu sei pur bella;
non sei già sol, né stella,
ma più che stella e sol sei vaga, e chiara.
Tu sei pur bella, o cara.

Tu sei pur fiera, o cruda,
cruda, tu sei pur fiera;
non sei tigre severa,
ma di pietà sei più di tigre ignuda.
Tu sei pur fiera, o cruda.

Et io son pur amante
anche di questo orgoglio;
non son, non son già scoglio
ma più che scoglio son fermo e costante.
Et io son pur amante.

v. 3              c: tu sol
v. 4             c: vaga, chiara
v. 6             a: e cruda; c: verso in parte depennato e corretto
v. 9              b: che tigre; c: ma più che tigre sei di pietà ignuda
c: i versi 15-17 hanno diverse correzioni



VI
a - Pier Paolo Sabbatini, Prima scelta di villanelle a due voci cit., p. 18
b - Le Instabilità dell'Ingegno cit., pp. 154-155
c - Quaderno di appunti cit., c. 108


Nel suo regno Amor non ha
maggior ben, pregio più bel
d'uno sdegno non crudel
ove irata è la pietà.
Ha gioie languide,
troppa dolcezza,
e tutte avvivale
dolce fierezza.

Quel soave minacciar
a' trionfi invita il cor;
ha il desir gloria maggior
s'egli vince col pugnar.
Se si contendono
sono più care,
prede più amabili
se ben più amare.

Dunque sparso sia al mio sol
d'alcun'ira il bel seren;
ma sia sparso e non ripien
porga duol, ma dolce duol.
Deh, discacciatemi
per poi chiamarmi,
deh, trafiggetemi
per poi sanarmi.

v. 4              a: rata
v. 6              c: tanta dolcezza
v. 8              c: verso depennato e corretto: la prima parola non è chiara, segue: asprezza
vv. 9-19      c: la strofa ha numerosi ripensamenti
v. 12            c: con; a: pugnare
v. 17            b e c: sia mio sol
v. 18            c: d'alcun sdegno
v. 23            a: traffigetimi
v. 24            c: bearmi




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[1] Anna Sorrento, Scherzi, rida e brilli il mar! Alessandro Stradella e il mare dei genovesi, Programma di concerto, Genova 1989, p. 18; Maria Rosa Moretti, Musica e costume a Genova tra Cinquecento e Seicento, Genova, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, 1990, pp. 67, 206 nota 79.

[2] Carolyn Gianturco, Alessandro Stradella, 1639-1682: his life and music, Oxford, Clarendon Press, 1994; Alessandro Stradella (1639-1682): A Thematic Catalogue of His Compositions, a cura di Carolyn Gianturco e Eleanor McCrickard, Lucca, LIM, 1991.

[3] Modena, Biblioteca Estense (Mus. F. 1146); Torino, Biblioteca Nazionale (Giordano 10).

[4] Archivio Storico del Comune di Genova (da questo momento ASCG), Fondo Brignole Sale (da ora B.S.), Registro n. 77 Libri Diversi 1637 in 1751, « Spese di casa » anno 1681: 30 giugno « a Suonatori per la festa da ballo » e « a Tedeschi n. 8 per la festa da ballo ». Il 26 dicembre, a saldo del servizio di tutto l'anno, viene registrato il conto per l'accordatura del cembalo « di più mesi ».

[5] Ivi, Conti, filza XX, doc. non numerato: « Nota delli Musici che han cantato il giorno del banchetto L. 196/16 ». Il pagamento è segnalato anche nel Registro n. 77 Libri Diversi 1637 in 1751, « Spese di casa » del 1681: « E alli Musici per il giorno del banchetto 196.16 ».

[6] Daniele Calcagno, Gian Enrico Cortese, Gino Tanasini, La scuola musicale genovese tra XVI e XVII secolo. Musica e musicisti d'ambiente culturale ligure, Genova, Graphos-AMIS, 1992, pp. 119-122.

[7] Remo Giazotto, La musica a Genova nella vita pubblica e privata dal XIII al XVIII secolo, Genova, Comune di Genova, 1951, p. 269; Armando Fabio Ivaldi, Teatro e società genovese al tempo di Alessandro Stradella, in “Chigiana”, n. s. xxxix (1989), pp. 447-574: 530; Calcagno, Cortese, Tanasini, La scuola musicale genovese cit., pp. 50, 113.

[8] Calcagno, Cortese, Tanasini, La scuola musicale genovese cit., p. 124

[9] Giazotto, La musica a Genova cit., pp. 243, 253-5; Calcagno, Cortese, Tanasini, La scuola musicale genovese cit., p. 119; Warren Kirkendale, The Court Musicians in Florence during the Principate of the Medici. With a Reconstruction of the Artistic Establishment, Olschki, Firenze, 1993, pp. 432-437.

[10] Si tratta forse di Padre Marco Solimano, violinista a Palazzo (Moretti, Musica e costume a Genova cit., p. 203 nota 183).

[11] Moretti, Musica e costume a Genova cit., pp. 49-69; Ead., La musica e i Cybo: madrigali encomiastici per Marfisa d'Este, in Alberico I Cybo Malaspina. Il Principe, la Casa, lo Stato (1533-1623). Atti del Convegno di Studi, Massa e Carrara, 10-13 novembre 1994, Modena, Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, 1995, pp. 285-305. Ead., Intorno a Giovanni Battista Dalla Gostena: cento anni di storia della musica a Genova, in Intorno a G. B. Dalla Gostena. Aspetti della musica a Genova e in Europa tra Cinque e Seicento (Atti del Convegno di studi, Genova, 25-26 novembre 1994), a cura di Giampiero Buzelli, Genova, Associazione ligure per la Ricerca delle Fonti Musicali, 1998; Ead., “In lode et gloria d'alcune signore et gentildonne genovesi”: Gasparo Fiorino e l'aristocrazia genovese (Convegno Internazionale di Studi Villanella Napolitana Canzonetta. Relazioni tra Gasparo Fiorino, compositori calabresi e Scuole Italiane del Cinquecento, Arcavacata di Rende - Rossano Calabro, 9-11 dicembre 1994), a cura di Maria Paola Borsetta e Annunziato Pugliese, Vibo Valentia, Istituto di Bibliografia Musicale Calabrese, 1999, pp. 405-430.

[12] ASCG, B.S., Registro 25, c. 52 (1585, 19 novembre) « per il suo maestro da sonare »; c. 147 (1586, 3 gennaio) « per dare al maestro di musica per dieci mesi finiti »; c. 202 (1589, 23 dicembre) « al suo maestro della musica »; Registro 30, cc. 102, 402 (1593, 11 settembre) « alli maestri di musica suo e di Gio. Batta »; c. 444 (25 ottobre 1594) « Gio. Antonio musico »; c. 454 (18 febbraio 1595) « Gio. Antonio musico »; Registro 53, Libri diversi 1627-1637, anno 1635, c. 57 « al maestro da ballare ». Per i documenti del Registro 25 cfr. anche Laura Tagliaferro, La magnificenza privata. "Argenti, gioie, quadri e altri mobili" della famiglia Brignole: secoli XVI-XVII, Genova, Marietti, 1995, pp. 20-23, 40 n. 28.

[13] ASCG, B.S., Registro 30, c. 454 (1595, 5 ottobre) « per insegnare quattro mesi del liuto ».

[14] ASCG, B.S., Registro 30, 1592, 18 gennaio e Registro 77, Libri Diversi 1637-1751, « Conto di Gio.Giacomo di Ridolfo 1676-1681 » Spese di Casa: 1680, 26 agosto « due libri di fresco Baldi p.ma e 2° parte ». Non risultano libri musicali tra gli acquisti registrati agli inizi del secolo XVII (Laura Malfatto, Alcuni acquisti di libri effettuati da Gio. Francesco Brignole tra il 1609 e il 1611, in “La Berio”, xxxiv/ 2 (1994), pp. 33-66).

[15] L'acquisto dovette riguardare le ristampe edite a Roma da Nicolò Borboni nel 1637 (Oscar Mischiati, Catalogo delle edizioni originali delle opere di Girolamo Frescobaldi, in “L’Organo”, xxi (1983 [1987]), pp. 3-82).

[16] ASCG, B.S., Registro 48, cc. 123 (3 marzo 1623) e 270 (21 gennaio 1625); Registro 50, c. 8 « liuto da sonar » (Cfr. Tagliaferro, op. cit., p. 45 nota 37).

[17] ASCG, B.S., Registro 77, Libri Diversi 1637-1751, « Conto di Gio. Giacomo di Ridolfo 1676-1681 », « Spese di Casa »: 1678, 23 agosto, 25 settembre, 26 e 30 settembre. Ivi, « Avarie »: 1676, 26 aprile.

[18] ASCG, B.S., Registro 30, c. 430, 28 febbraio 1594, pagamento a Giacomo Gallo « per li sonatori del giorno del pasto e veglia »; Registro 53, Libri diversi 1627-1637: anno 1636, c.73 pagamenti a musici e sonatori, c. 80 a musici diversi, c. 87 per sonatori.

[19] Tagliaferro, op. cit., p. 46 nota 44. Si tratta di Giovanni Lorenzo Cipollina Balbi (Giazotto, op. cit., pp. 269-270). Cfr. anche infra.

[20] Moretti, Musica e costume a Genova cit., p. 219 nota 107

[21] Moretti, Musica e costume a Genova cit., pp. 67 e 219; Daniele Calcagno, Musiche e musicisti per i Gesuiti in Liguria tra XVI e XVII secolo, in I Gesuiti fra impegno religioso e potere politico nella Repubblica di Genova, Atti del convegno internazionale di studi (Genova, 1-3-4- dicembre 1991), a cura di Claudio Paolocci, in “Quaderni Franzoniani”, anno V n. 2 (1992), pp. 177-208: 197-199.

[22] ASCG, B.S., Registro 77, Libri Diversi 1637-1751, « Conto di Gio. Giacomo di Ridolfo 1676-1681 », « Avarie », 1680, 3 gennaio « Per un horologio donato la Sig. Paoletta a Carl'Ambro. Lunati musico 112.16 ». Su Lonati cfr. anche infra.

[23] Agostino Guerrieri, Sonate di violino a 1. 2. 3. 4. Per Chiesa & anco aggionta per Camera, opera prima, Venezia, Francesco Magni Gardano, 1673.

[24] Calcagno, Musiche e musicisti cit., pp. 200-201 il quale rinvia a Archivio di Stato di Genova, Fondo Università, n.g. 25, Libro de Conti Della Congregatione Della Madonna della Pietà.

[25] ASCG, B.S., filza XX, doc. del 23 dicembre 1681.

[26] Calcagno, Musiche e musicisti cit., p. 201.

[27] Cioè l'Opera del Rifugio voluta dalla beata Virginia Centurione Bracelli.

[28] Testamento e codicilli del magnifico Emanuele Brignole fondatore dell'Albergo dei Poveri e ristauratore del Refugio, Genova, Gaetano Schenone, 1870, pp. 26, 63-4. Si tratta dell'ultimo testamento che Emanuele Brignole stese l'8 giugno 1677 presso il notaio G.B. Camere e dei successivi codicilli. Il riferimento alla costruzione dell'organo è contenuto nel terzo codicillo del 5 gennaio 1678 (cfr. anche Luigi Alfonso, Tomaso Orsolino e altri artisti di "Natione Lombarda" a Genova e in Liguria dal sec. XIV al XIX, Genova, Biblioteca Franzoniana, 1985, p. 272 nota 36; Elena Parma Armani, Pauperismo e beneficenza a Genova: documenti per l'Albergo dei Poveri, in “Quaderni Franzoniani”, anno I n. 2 (1988), pp. 69-180: 80 nota 37). Sull'impegno di Emanuele per la costruzione della facciata architettonica che avrebbe ornato l'organo della chiesa dell'Albergo dei Poveri cfr. Alfonso, Tomaso Orsolino cit., pp. 111-112.

[29] Moretti, Musica e costume a Genova cit., pp. 62-67; Franco Vazzoler, Chiabrera fra dilettanti e professionisti dello spettacolo, in La scelta della misura. Gabriello Chiabrera: l'altro fuoco del barocco italiano, Atti del Convegno di Studi su Gabriello Chiabrera nel 350° anniversario della morte (Savona, 3-6 novembre 1988), Genova, Costa & Nolan, 1993, pp. 429-466: 446-448.

[30] Cfr. la dedica di P. F. Minozzi, Delle libidini dell'ingegno, Venezia, Pinelli, 1636 e Agostino Lampugnani, Diporti Accademici, Milano 1653. Cfr. R. Gallo Tomasinelli, Anton Giulio Brignole Sale e l'Accademia degli Addormentati, in “La Berio”, XIII (1973), n. 2-3, pp. 65-74.

[31] Nonostante queste informazioni arricchiscano le nostre conoscenze su Giovanni Paolo Costa, la biografia di questo autore è ancora in gran parte da definire. Cfr. Moretti, Musica e costume a Genova cit., pp. 35-37, 104, 154, 210, 215, 258. La data di nomina a maestro di cappella di Palazzo può essere ulteriormente precisata: l'incarico gli fu affidato alla morte di Simone Molinaro, avvenuta nel mese di maggio del 1636. Cfr. Maria Rosa Moretti, Simone Molinaro e la tipografia Francesco Castello di Loano, in “La Berio”, xxxii (1992), 3-58: 31.

[32] Nonostante queste informazioni arricchiscano le nostre conoscenze su Giovanni Paolo Costa, la biografia di questo autore è ancora in gran parte da definire. Cfr. Moretti, Musica e costume a Genova cit., pp. 35-37, 104, 154, 210, 215, 258. La data di nomina a maestro di cappella di Palazzo può essere ulteriormente precisata: l'incarico gli fu affidato alla morte di Simone Molinaro, avvenuta nel mese di maggio del 1636. Cfr. Maria Rosa Moretti, Simone Molinaro e la tipografia Francesco Castello di Loano, in “La Berio”, xxxii (1992), 3-58: 31.

[33] Nel conto relativo all'acquisto delle otto viole (vedi nota 16) compare infatti il nome del Costa. Il documento era già citato da Laura Tagliaferro (op. cit., p. 45 nota 37) la quale però non riportava il nome del musicista.

[34] Quaderno cit., c. 54v. La consuetudine di paragonare il colore degli occhi a quello delle note era ancora molto frequente nei primi decenni del Seicento, così come le parole passaggio, aria, imitar lampi, fulmini, saette e sospiri sono un chiaro riferimento a rapidi movimenti e allo stile barocco degli “affetti” musicali. A c. 55 si legge la minuta di una seconda lettera indirizzata allo stesso destinatario e contenente analoghi concetti musicali.

[35] Quaderno cit., cc. 154v-155. Si tratta di una serie di punti in cui Anton Giulio annota pensieri da sviluppare. Ne riferiamo alcuni: « Provar della stagione in cui si fa barcheggio ch'egli è più nobile », « Far un paragone tra quello che inventò il navigare e quello che inventò il barcheggio. L'uno si espose al spavento, l'altro al diletto », « Far paragone de i diporti delle veglie e del barcheggio e mostrar che quelli di questo sono più nobili ».

[36] Quaderno cit., c. 125v. Notizie su Falconieri a Genova in Giazotto, op. cit., pp. 161,172-173; Dinko Fabris, Andrea Falconieri napoletano. Un liutista-compositore del Seicento, Roma, Edizioni Torre d'Orfeo, 1987, Collana Istituto di Paleografia Musicale Roma. Serie I: Studi e Testi, 2., pp. 48-52; Moretti, Musica e costume a Genova cit. pp. 139, 141, 201, 223.

[37] Quaderno cit., c. 148. Altra bozza di lettera al Chiabrera a c. 147v.

[38] Leonora, detta l'Adrianetta (Mantova 1611-Roma 1670), è figlia primogenita di Adriana Basile e Muzio Baroni. Essa è comunemente nota col nome della madre (Cfr. Alessandro Ademollo, La bella Adriana, Città di Castello, Lapi, 1888). Valerio Pindozzi ipotizza che « l'Adriana Sirena » citata da Chiabrera in una lettera del 1635 (Gabriello Chiabrera, Lettere a Pier Giuseppe Giustiniani […], con la giunta d'altre inedite e due opuscoli, a cura di V. Canepa, Genova, Pellas, 1829, p. 88), sia da individuarsi in Leonora (cfr. Valerio Pindozzi, Pier Giuseppe Giustiniani e Gabriello Chiabrera, in La scelta della misura cit., pp. 107-125: 120, nota 16). Si tratta dunque degli stessi anni in cui possiamo ritenere che Brignole Sale abbia annotato questo appunto.

[39] Il Satirico di Gio. Gabrielle Antonio Lusino [anagramma del Brignole], s.n.t. (una copia è conservata nella Biblioteca Universitaria di Genova, segnatura 3.GG.I.25).

[40] Il Satirico Innocente. Epigrammi trasportati dal Greco all'Italiano e commentati dal Marchese Anton Giulio Brignole Sale, dedicati all'Illustrissimo Signor Agostino Pinelli, Genova, Pier Giovanni Calenzani, s. d. (l'Imprimatur è datato 1648).

[41] Il Satirico Innocente cit., p. 288. In Il Satirico cit., p. 428 leggiamo: « cerca far andare le persone in cimbalis con la dolcezza, che vuol dire in buon volgare a i tasti: poco cura la sua fama Donna, che si cura troppo della sua voce ».

[42] Il Carnovale di Gotilvannio Salliebregno [ms.: « cioè Anton Giulio Brignole Sale Genovese »], Venezia, Gio. Pietro Pinelli, 1639, pp. 63 e 190 (si descrive la danza che fu eseguita sui versi « Quella bocca gentil che tumidetta »). Riferimenti alla ciaccona anche in Il Satirico cit., p. 303 e Tacito Abburatato. Discorsi politici e morali del Marchese Anton Giulio Brignole Sale, Genova, Pier Giovanni Calenzani, 1643, p. 39, in cui si mette in dubbio l'onestà di una certa Gabriella che è « Spagnuola, e Comediante, e danzatrice di Ciaccona ».

[43] Il Satirico innocente cit., p. 6; Il Satirico cit., p. 116 (il verso n. 5 è sostituito con: « Io giuro a tutte quante le persone »).

[44] Panegirico Sacro in lode del B. Gaetano Tiene, in Panegirici sacri Dell'Illustriss. Marchese Anton Giulio Brignole Sale. Recitati nella Chiesa di Santo Siro di Genova ne’ giorni de’ B.B. Gaetano Tiene et Andrea Avellino, p.10, ristampati in appendice a Maria Maddalena peccatrice e convertita di Anton Giulio Brignole Sale, Venezia, Baba, 1662.

[45] Brignole Sale, Panegirico Sacro in lode del B. Andrea Avellino, in Panegirici sacri cit. pp. 44, 45-46.

[46] Quinto Marini, Anton Giulo Brignole Sale gesuita e l'oratoria sacra, in I Gesuiti fra impegno religioso cit., p. 136 (le citazioni del Brignole si trovano in Panegirico Sacro in lode del B. Andrea Avellino cit., pp. 47-48).

[47] Partitura delli sei libri di madrigali a cinque voci, dell'Illustrissimo, & Eccellentiss. Prencipe di Venosa, D. Carlo Gesualdo. Fatica di Simone Molinaro Maestro di Capella nel Duomo di Genova, Genova, Giuseppe Pavoni, 1613. Edizione in facsimile a cura di Elio Durante e Anna Martellotti, Firenze, SPES, 1987 (Cfr. Moretti, Simone Molinaro e la tipografia cit., pp. 9-10 e Graziano Ruffini, Sotto il segno del Pavone. Annali di Giuseppe Pavoni e dei suoi eredi: 1598-1642, Milano, Franco Angeli, 1994, p. 229 scheda n. 200).

[48] Si tratta di Almidèa Lindamira che in un elenco manoscritto posto in fondo al libro si identifica con Violante Sauli.

[49] Il Carnovale cit., pp. 53-56.

[50] Remo Giazotto, Poesia del Tasso in morte di Maria Gesualdo, in “Rassegna Musicale”, 1948, pp. 15- 28

[51] Genova, Biblioteca Civica Berio, mr. III 5. 67: manoscritto contenente sette sonetti di Chiabrera con traduzione latina. Cfr. Fulvio Bianchi, Chiabrera "latinista": riflessioni e indagini sui rapporti chiabrereschi con la cultura latina, in La scelta della misura cit., pp. 254-294: 278. Questo il sonetto Per D. Maria D'avala uccisa dal marito « Deh qual il mio pregar Musa cortese / Fia che qui mesta di Parnaso scenda, / E con note di duol non anco intese / La bella AVALA meco a pianger prenda? // E s'altri l'arco, e le saette hà tese / Perché 'l nome di lei forte s'offenda; / Amor, che di sua man tanto l'accese / Egli pur di sua man sì la diffenda. // Intanto far 'l dolor, ch'alto rimbomba / Mesto debito lagrimosa vena / Versa dal fonte e più da gli occhi fuora. // Ne più ti caglia homai l'antica tomba; / Ma lasciata in oblio l'alma Sirena / Di questa sua grand'urna oggi t'honora » (a p. 279 la vesione latina).

[52] Brignole Sale, Tacito cit., pp. 53-56.

[53] Le Instabilità dell'ingegno. Divise in otto giornate dell'Illustriss. Signor Marchese Anton Giulio Brignole Sale […], Bologna, Giacomo Monti e Carlo Zenero, 1635 (ed. moderna a cura di G. Formichetti con introduzione di C. Mutini, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1984). In ASCG, B.S., Conti, filza XIII, alla data del primo settembre 1641, viene registrata la spesa per la ristampa delle Instabilità.

[54] Le Instabilità cit., p. 472.

[55] Le citazioni sono tratte dalla prima edizione a stampa.

[56] Nelle edizioni successive questo testo fu modificato in: « Chiesi un guardo e mel negasti / Ma il tuo ciglio diventò/ Così bello in dir di no, / Che si fe’ / Il negar quasi mercé. / Filli, dimmi or qual sarà / Se di si giamai dirà // Se il tuo ciglio allor che crudo / I suoi raggi avvelenò / Così dolce lampeggiò / Tutto mel / Ben sarà meno crudel / Come caro scoccherà / se di si giamai dirà ». Il verso « Stillerà da un labro allor » viene sostituito con « Pioverà da un ciglio allor ». Per il testo musicato cfr. infra.

[57] Notizie biografiche e musicali potranno esser lette in un saggio di prossima pubblicazione dal titolo: I Pinello e la musica: documenti e testimonianze.

[58] « Per altro la loro vanità non mi dispiace se saranno trattate come da cantarsi. Ma i miei anni non soffrono, ch'io le tenga apresso: e considerando, che riguardano gli anni giovanili, e che vogliono la gentil compagnia della musica, io loro dò confine nelle mani di V.S., mettendole innanzi se pensando a tutto potesse senza vergogna e senza peccato raccomandarle ad un giovinetto Signore, e vago di musica, e pieno di gentilezza, et amico di onore. Si fatto è senza dubbio il Sig. Agostino Pinello » (Chiabrera, Lettere a Pier Giuseppe Giustiniani cit., lettera n. 50). La lettera è già stata da me citata in Musica e costume a Genova cit., p. 66.

[59] Il primo libro de madrigali a due, tre e quattro voci di Gio. Maria Costa genovese, maestro nella Real Capella della Serenissima Republica di Genova, Venezia, Alessandro Vincenti, 1640 (Moretti, Musica e costume a Genova cit., Catalogo, p. 271).

[60] Quaderno cit., c. 148. A c. 153v in un'annotazione non facilmente decifrabile leggo: « Il Sig. Agno Pin [Agostino Pinello] ».

[61] Secondo le annotazioni manoscritte, poste in fondo al volume, i tre personaggi sono da identificarsi rispettivamente in Gio. Batta Raggiotto, nello stesso Anton Giulio e in un amico fiorentino. A queste annotazioni si rinvia anche per la identificazione dei personaggi che seguono.

[62] Il Carnovale cit., pp. 32-33.

[63] Romola Gallo Tomasinelli, Anton Giulio Brignole Sale cit.; Franco Vazzoler, Letteratura e ideologia aristocratica a Genova nel primo Seicento, in La letteratura ligure. La Repubblica aristocratica (1528-1797), Genova, Costa & Nolan, 1992, vol. I, pp. 217-316: 227-230.

[64] F. Saverio Quadrio, Storia e ragione d'ogni poesia, Milano, Agnelli, 1752, tomo V, p. 354; Tomaso Belgrano, Delle feste e dei giuochi dei Genovesi, in “Archivio Storico Italiano”, serie III, tomo XV, 1872, pp. 431-432. Sugli Annuvolati si veda I comici annuvolati, foglio volante edito da Giuseppe Pavoni nel 1635 (Graziano Ruffini, Appunti per la storia dell'editoria genovese (secoli XVI-XVII), in Genova nell'Età Barocca, a cura di Ezia Gavazza e Giovanna Rotondi Terminiello, [Bologna], Nuova Alfa Editoriale, 1992, pp. 441-456: 444).

[65] Anton Giulio Brignole Sale, I due anelli simili, a cura di Romola Gallo Tomasinelli, Genova, Sagep, 1980.

[66] Francesco Maria Marini, Il Fazzoletto. Tragicommedia inedita del secolo XVII, a cura di Fiorenzo Toso e Roberto Trovato, Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XIX, Bologna 1997. Per l'attribuzione al Brignole Sale delle stampe de Il fazzoletto (Venezia 1673 e Bologna 1683) cfr. l'introduzione di Trovato alla citata edizione moderna (pp. XIII-XIV).

[67] Intermedio composto dal signor Anton Giulio Brignole. Il manoscritto, apografo e mutilo, è conservato a Genova presso la Biblioteca Berio (m.r. II. 2.2). Edizione moderna in Marini, Il Fazzoletto cit., pp. 233-243. Una precedente edizione in Michele De Marinis, Anton Giulio Brignole Sale e i suoi tempi (Studi e ricerche sulla prima metà del Seicento), Genova, Libreria Editrice Apuana, 1914, pp. 309-317.

[68] Le citazioni sono tratte dall'edizione moderna a cura di Trovato e Toso, pp. 233-243.

[69] Sulla figura del nobile, dilettante attore o musicista, cfr. Franco Vazzoler, Comici professionisti, aristocratici dilettanti e pubblico nella Genova barocca, in Genova nell'età barocca cit., pp. 516-520.

[70] Moretti, Musica e costume a Genova cit., p. 66.

[71] Ivi, pp. 37 e segg.

[72] Li Comici schiavi. Comedia di Gabrielle Antonio Luisino rapresentata in S. Pier d'Arena…, Cuneo, Strabella, 1666.

[73] Giovanni Felice Sances, Il quarto libro delle cantate et arie a voce sola […] commode da cantarsi sopra spinette, tiorbe, arpe o altro simile instrumento con due canzonette a due et una arietta a tre voci, Venezia, Vincenti, 1636 (esemplare a Roma, Biblioteca del Conservatorio di S. Cecilia, segnatura G.CS.5.E.5.4). In occasione del Convegno sono state eseguite Dove n'andrò che non mi segua Amore, Lagrime tutte amare che versa il mio dolor e Chiesi un bacio e me ‘l negasti. Interpreti: Giulietta Picco (soprano) e Claudio Crobu (chitarra).

[74] Il testo della prima strofa è pubblicato, anonimo, in Erich Raschl, Die textlichen Vorlagen zur weltlichen Monodie im italienischen Frühbarock, in Festschrift zum zehnjährigen Bestand der Hochschule für Musik und darstellende Kunst in Graz, hrsg. Otto Kolleritsch e Friedrich Körner, Wien, Universal Edition A.G., p. 202.

[75] Edizione moderna in Knud Jeppesen, La Flora. Arie antiche italiane, Copenhagen, W. Hansen, 1949, p. 91. In questa edizione non viene data indicazione dell'autore del testo poetico.

[76] Carlo Milanuzzi, Nono libro delle ariose vaghezze commode da cantarsi a una, e due voci nel clavicembalo, chitarrone, o altro simile stromento, con le lettere dell'alfabeto per la chitarra alla spagnola […], Venezia, Vincenti, 1643 (unico esemplare alla Biblioteka Jagiellońska di Cracovia che ringrazio per avermi inviato il microflim della pagina in esame).

[77] Giovanni Felice Sances, Capricci poetici […] a una, doi, e tre voci […], Venezia, Gardano, 1649 (unico esemplare alla Biblioteka Uniwersytecka di Wrocław - segnatura 50115 Muz - che ringrazio per la riproduzione inviatami).

[78] Pier Paolo Sabbatini, Prima scelta di villanelle a due voci […] da sonarsi in qualsivoglia instromento con le lettere accomodate alla chitarra spagnola in quelle più a proposito, Roma, Mascardi, 1652 (dell'esemplare posseduto dalla British Library di Londra ho esaminato il microfilm grazie alla cortesia dell'Ufficio Ricerche e Fondi Musicali di Milano. Ringrazio la dott. Maria Angela Donà e i suoi collaboratori, Laura Nicora e Gabriele Rossi, per avermi aiutato nella ricerca).

[79] Lettera di G. B. Manzini « A chi legge » contenuta nella prima edizione delle Instabilità dell'ingegno cit., p.  478.




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Anton Giulio Brignole Sale.
Un ritratto letterario

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Anton Giulio nel ricordo di Francesco Fulvio Frugoni
Carminati
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