Manlio Calegari, Cara Marietta - Caro Professore: Premessa, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17

Ge-Sestri 12 maggio '87





Caro Professore,
tu, quando mi hai spinto a scrivere, sicuramente sapevi che mi avresti fatto perdere anche quel poco sonno di cui ho tanto bisogno. Ma volevi andare a fondo. Per sapere quello di cui probabilmente sei già convinto? O perché non ti occupi solo di storia e vuoi conoscere i miei pensieri di oggi - non i ricordi di ieri - sulla politica? Ma come li userai? Lo sai che il tuo mestiere è un po' crudele?
Vorrei sapere se quel che succede a me succede anche agli altri che incontri. Già tirare fuori la roba dai cassetti sollecita ricordi non sempre piacevoli ma se poi ci ragioni sopra - perché facevi quella cosa, come giudichi oggi quei fatti, quali conseguenze hanno avuto ecc. - finisci che perdi quelle poche sicurezze su cui hai impiantato la tua vita. Non è neppure una brutta sensazione ma dovrebbe esserci il tempo per ricominciare. Invece non c'è.
Ripensare alla propria vita non solo alla luce di ciò che ci è successo "dopo" ma cercando di ricostruire i sentimenti con cui abbiamo vissuto serve a non ridurre il passato a una serie di preparativi. Così la mia vita può apparire qualcosa di nuovo, persino più interessante di come l'avevo considerata sino ad ora. Ma sento pesare su di me, come una fatalità, la vecchiaia. La vecchiaia mette a confronto con la solitudine dei sentimenti; non confidi più di poterli comunicare. E' proprio il contrario della giovinezza.
Mi sono accorta prima di tanti altri che il vecchio diventava un vuoto a perdere. Non era così nel mondo dove sono cresciuta. Allora c'erano meno vecchi di oggi ma avevano una loro vita e mi sembra che godessero anche di un certo credito. Oggi mi colpiscono gli anziani messi davanti alla televisione già dalla mattina. Mangiamo meglio ma abbiamo perso le parole.
Con affetto Marietta
Ti allego le risposte alle prime due domande. Non so se riuscirò ad andare avanti perché già queste mi sono costate molta fatica.
 
1. Il mio antifascismo e il mio comunismo. Per dirti del mio antifascismo "da sempre" comincio con una nota di colore. Ero una figgetta e al tempo del processo Matteotti ricordo che andavo a cercare tutti gli articoli - non c'erano ancora le leggi eccezionali, si leggeva ancora - e li ritagliavo, li mettevo da parte, li rileggevo e mi piaceva parlarne. Ero capace di farlo anche nella pescheria dei miei, i genitori che mi avevano adottato, dove c'era un ambiente antifascista. Lì dei fascisti si parlava con disprezzo. Li chiamavano batusi e, a volte, quelli mascarsuin. La Cornigliano vecchia era un ambiente di ribellione, di antifascismo. Il fascismo però aveva già vinto anche se allora io - ma neanche loro - lo credevamo. Le società operaie, le Fratellanze le avevano già tutte distrutte. Vicino a dove stavamo c'era il Club Eguaglianza e la Società Silvio Pellico e io li ho visti sfasciare. Sono venute quelle bande armate; hanno buttato tutto in mezzo alla piazza e poi hanno dato fuoco: libri, seggiole, quadri. Erano posti dove ogni giorno c'era pieno di gente che io conoscevo, gente del popolo, magari pescatori, che mi volevano bene. Lì parlavano, giocavano a carte, leggevano; molto più di oggi. Bruciare voleva dire: ora basta, state a casa, non leggete più, non vi vedete più. Contro questa violenza io avevo sentito una ribellione terribile. Ma era continua e se non era un giorno era l'altro. Li vedevi radunarsi, prendevano i gagliardetti, pugnali - non erano fascisti veri ma una accozzaglia di gentaccia reclutata per quei lavori - avevano i teschi bianchi stampati sul nero, e capivi che andavano a fare una scorribanda. Già quando partivano per chi non si levava il cappello erano botte. Ricordo un giorno un uomo appoggiato a un edicola dei giornali - allora mi sembrava anziano - con il suo gazzu in testa, quei berrettini di maglia, che li guardava. Uno di quelli s'è voltato e quando si è accorto che non se l'era tolto, è tornato indietro e gli ha dato una randellata sulla testa. Così forte che ho visto il vecchio cadere come un burattino che gli si rompe il filo. A distanza di tanti anni vedo ancora quella scena, quell'afflosciarsi come se dentro fosse vuoto, e sento lo stesso male al cuore che ho sentito allora…Eravamo prima del '21, della scissione, c'era l'Avanti, i socialisti e io leggevo molto, "l'Asino", il "Cuore" per i bambini; parlavo e capivo. Ho capito allora che c'era la violenza, la crudeltà. Ma non capivamo cosa stava succedendo, nessuno nemmeno allora lo immaginava.
Ti ho raccontato questo fatto e ne potrei raccontare altri di cui sono stata testimone ma penso che tu ne conosca chissà quanti tutti simili. Se dico che hanno prodotto il mio antifascismo è però solo una mezza verità. Ti ho detto che ero una pacifista, forse dovrei dire una pacificatrice. Soffrivo quando sentivo la gente litigare o anche solo i bambini che si picchiavano tra loro. Lo stesso se erano i grandi a dargliele. Soffrivo di fronte alla prepotenza; a quei tempi nelle famiglie ce n'era molta. La violenza sui deboli mi faceva piangere. Magari scappavo da qualche parte per non farmi vedere ma piangevo, con le lacrime.
Non so da dove venissero questi miei sentimenti ma oggi capisco che l'integrità fisica, il rispetto fisico e morale delle persone, anche dei bambini per me era importantissimo. Credo che il mio antifascismo fosse inevitabile perché il fascismo era l'opposto del rispetto, era violenza e prepotenza insieme. Bastonare uno a morte, la vergogna dell'olio e quei bravacci che ridevano, che picchiavano gente più vecchia di loro, indifesa, che tremava. Una volta uno ha cominciato a farsela addosso mentre ancora non lo avevano fatto bere e loro gli hanno tolto le braghe che erano piene e gliele hanno messe sulla testa così che gli colasse dall'alto. Dopo la Liberazione a quelli che avevano sopportato hanno dato dei pecoroni. Forse lo erano ma dico che bisognava esserci. C'era tanta paura e l'olio faceva più paura del manganello. Io ho sempre detto quello che pensavo anche con dei fascisti ma penso che mi volessero bene perché non mi hanno mai fatto del male anche se avrebbero potuto.
Il 25 luglio, quando il fascismo è caduto, è risultato che quasi nessuno era stato fascista e oggi lo dico senza l'ironia che invece ci mettevo in passato quando facevo questo commento. Era davvero così e la stragrande maggioranza della gente che quei giorni festeggiava era sincera. Come era stato possibile che la maggioranza d'una popolazione fosse finita vittima di una minoranza prepotente e screditata? Non dovremmo pensarci? Oggi la storia del fascismo mi è meno chiara di come me la raccontavo 20 anni fa. Pochi lupi possono spaventare e mangiarsi un intero gregge ma, appunto, un gregge. Io subivo come tutti gli altri ma non mi sono mai sentita parte del gregge.
A Cornigliano dove abitavo, c'era la farmacia Trincheri e la frequentavano persone intelligenti: il padre di un magistrato, un medico, un impiegato comunale e suo cognato, a volte qualche operaio. Lì ascoltavamo Radio Londra e si discuteva. Non c'era scoraggiamento ma incertezza sì. Io ero la più giovane, la più dinamica e dopo il 25 luglio mi era sembrato giusto che fossi io ad andare a parlare coi militari. Tra l'altro come donna rischiavo meno anche se - allora però il dubbio non mi aveva sfiorato - presso di loro non potevo godere di troppo credito. Mi viene in mente di quando, sarà stata la seconda metà di settembre, sono arrivata al Castello Raggio e c'era lì un gruppetto di ufficiali, chissà magari erano fascisti, e io che gli dicevo di non presentarsi ai tedeschi mentre loro mi guardavano allibiti. Una donna che andava a fargli quei discorsi. E io che gli avevo anche detto che c'era già chi raccoglieva armi per la lotta futura.
Come sono passata ai comunisti? Quando il cugino Serra mi ha fatto la proposta non ho avuto un attimo di esitazione. Eppure a quelli della farmacia ero e sono rimasta molto legata. Forse i comunisti erano socialmente persone più vicine a me o forse c'entrava il fatto che a farmi la proposta era un parente ma penso che sono gli aspetti del carattere che ci fanno scegliere. I comunisti ti facevano capire che erano tanti, forti e segreti al punto che io non sapevo niente di loro ma loro sapevano tutto di me. Quelli della farmacia erano piuttosto problematici mentre loro non passavano tanto tempo a discutere o almeno non lo facevano con me. Erano più operativi. Ti affidavano dei compiti e ti dicevano anche come dovevi eseguirli senza tanti perché o percome. Io le cose che avevo fatto in precedenza me le ero quasi inventate da sola e non mi dispiaceva che fosse arrivato qualcuno che studiava per me dicendomi fai così e così. La segretezza, la gerarchia, il loro presentarsi come una organizzazione militare - anche se poco dopo ho capito che non erano tanto forti neanche loro, - il richiamo continuo alla disciplina mi piacevano. Ma sono ragioni che ho individuato dopo che mi hai invitato a ripensarci. Allora sentivo confusamente che per vincere c'era bisogno di quello e sono andata con loro. Ma ero specialmente una antifascista e Marx nella mia scelta non c'entrava. Era anche quello che pensavi tu, no?

2. "Fisicità" Non mi ero mai accorta di quello che mi hai fatto notare. Posso pensare che dipenda dal lavoro che praticavo - ostetrica e infermiera - ma, di nuovo, non ne sono certa. Per i giovani, ragazzi e ragazze, per le donne, anche se erano già madri, provavo allora - e ho provato in seguito - un sentimento di protezione. Sentivo di doverle difendere. A volte mi sembravano degli uccellini senza esperienza mentre io mi sentivo forte, capace di sopportare, come una che aveva vissuto e conosceva il mondo. Non era certo così e poi cosa vuoi che avessi vissuto: ero cresciuta a Cornigliano e avevo poco più di 30 anni. Eppure erano quelli i miei sentimenti. Forse, anche così, cercavo di tenermi fuori del gruppo o di rispondere a delle regole superiori. Nelle ultime settimane prima di andar via dalla città, nel giugno del '44, ricordo benissimo che circolava tra noi una specie di volantino, che pressappoco si intitolava "come dev'essere un comunista". Il contenuto lo puoi immaginare: era tutta una rinuncia e un sacrificio. Una cosa proprio eccessiva che in certo qual modo mi esaltava. Voglio diventare così, pensavo, avere questa tempra. Per cambiare il mondo, la vita ci volevano persone speciali. Mi esaltava il modello eroico, il sacrificio, cose che in realtà già allora giudicavo retoriche ma che forse mi affascinavano perché appartenevano agli uomini. Tanto per farti un esempio, Conte - che mi stimava molto - mi diceva spesso: "ricordati che non sei una donna ma una comunista che sta combattendo" oppure "dai compagni non devi essere vista come donna ma come una militante". Il sentimento dell'amore era bandito e anche vissuto in solitudine dovevi vergognartene. Il sentimento di emulazione dei maschi invece era accettato o suggerito ma dovevi saperti fermare prima di raggiungerli.
I miei sentimenti però erano sentimenti di donna, di madre. Ne avevano la sofferenza. I partigiani erano dei ragazzi ma più spesso mi sembravano dei bambini. Forse ancora di più di quanto non sarebbe oggi. Erano ingenui. La maggior parte erano vergini. Parlavano di fidanzate e poi capivi che erano ragazze con cui si erano solo guardati. Si capiva da molti particolari. Chissà io cosa sarò sembrata a loro. Li fasciavo, li consolavo come la madre e l'infermiera che ero. Erano impauriti, molto più di quanto hanno raccontato dopo anche perché nel corso dei mesi sono cambiati. Il grosso dei partigiani non era formato da volontari ma da ragazzi costretti a scappare per non arruolarsi. La Resistenza è stata importante perché è stato il segnale del cambiamento delle coscienze: è cominciata come una guerra di disertori, di imboscati, gente che va nei boschi per non essere pigliata, ed è finita come è finita. E' un po' come quando si dice: io me ne vado ma se venite a cercarmi prendo un mitra e vi sparo. È cominciata con una ribellione alla guerra e ai fautori della guerra e dopo, grazie anche a noi comunisti e ai vari Bisagno, è diventata una grande lotta. Non so se è opportuno ma penso che bisogna dire, anche per smetterla con la storia del giovane che si butta nella guerra, del patriottismo e di tutte le storie di questo genere. In montagna, se si va a ben vedere, tutto, Benedicta compresa, è cominciato con un rifiuto della guerra fascista. C'erano anche quelli saliti per combattere ma erano pochissimi. Anche le armi sono venute dai lanci più che dai disarmi. Magari qualcuno dirà di no. Con delle ragioni perché ognuno di noi ha una visione particolare, personale dei fatti e quello che io ho visto in una zona può essere diverso in un'altra, come cambiano gli occhi, l'angolazione per vedere un fatto. Nulla viene raccontato due volte allo stesso modo anche se a raccontare è la stessa persona.
Concludo dicendo che in me il sentimento di avversione alla guerra era più profondo di qualsiasi altro. Lo avevo dentro quando sono salita in montagna e l'ho conservato anche in seguito. Penso che sia questo sentimento che mi ha spinto a vedere sotto le divise o gli abiti del momento gli uomini e le donne come in realtà erano.




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Manlio Calegari

Cara Marietta, Caro Professore

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Indice
Premessa
4 marzo 1987
12 marzo 1987
20 marzo 1987
Il partigiano Fran
Caro Piero
4 maggio 1987
5 maggio 1987
Pro-memoria
Sestri 8 maggio
13 maggio 1987
Sestri 12 maggio
Sestri 26 maggio
3 giugno 1987
16 giugno 1987
17 giugno 1987
25 agosto 1987
10 ottobre 1987


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