Manlio Calegari, Cara Marietta - Caro Professore: Premessa, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17

Caro Piero





Caro Piero sul filo dei ricordi cercherò di narrarti la mia esperienza di partigiana. Non è facile parlare così in prima persona e non ti aspettare da me particolari eroici.
La Resistenza è stata una lotta clandestina nella quale ciascuno di noi ha portato il suo contributo più o meno importante però tutti utili per giungere all'Insurrezione, alla cacciata dei tedeschi e dei fascisti.
Molte volte dagli alunni con i quali mi sono incontrata per parlare sulla Resistenza mi sono sentita chiedere perché sono diventata partigiana ed è questa una premessa necessaria che faccio anche con te.
Sono nata con l'istinto pacifista, fin da bambina, per quanto vado indietro nel tempo, non sopportavo vedere qualcuno litigare. Se due compagne di gioco si picchiavano volevo dividerle (molte volte col risultato di buscarle io).
Nella guerra dal '15 al '18 sentivo la gente tra cui vivevo imprecare alle sue conseguenze, sentivo compiangere le famiglie di coloro che cadevano sul fronte, mi sentivo in pena per quei bimbi orfani di guerra ai quali si faceva portare il bracciale nero in segno di lutto. Più che altro mi impressionava la zia Ida che riceveva, per vie traverse, lettere da suo fratello, zio Riccardo, che quaranta mesi combatté sulle Alpi e sulle Dolomiti. In quelle lettere egli parlava delle dure condizioni in cui si trovavano i soldati nelle trincee, della fatica disumana che dovevano sopportare arrampicandosi su quelle rocce scoscese con pezzi di artiglieria sulle spalle; della mancanza di vitto, del militarismo più feroce. Raccontava come gli uomini dovessero uscire dalla trincea per l'assalto alla baionetta, dopo essere stati drogati per vincere la paura. E odiai la guerra.
Ho visto nascere il fascismo ed ho avuto subito la stessa avversione che portavo in me contro ogni forma di violenza. Le squadracce nere che bastonavano e manganellevano senza pietà, che abolirono ogni forma di associazione democratica. Ho visto distruggere tutti i clubs e le Società di Mutuo Soccorso di Cornigliano, ho visto aspettare all'uscita dal lavoro gli operai - uomini o donne che fossero - per ingoiare con l'arma in pugno un litro di olio di ricino se erano sospetti di sovversivismo. Queste cose mi colpivano e facevano così di me, istintivamente, una antifascista.
Preso il potere il fascismo lo consolidò attraverso gli anni con le sue campagne propagandistiche. Naturalmente gerarchi e gerarchetti se la spassavano bene, però non si lavorava senza tessera del fascio. La scuola era fascista e tutto era fatto per esaltare il "bene-amato" duce "l'uomo inviato dalla divina provvidenza" a detta del Vaticano.
Il fascismo era arrivato ad avere un certo consenso nella borghesia piccola e media ed anche tra i lavoratori attraverso le varie corporazioni create. Ma non è mai riuscito a soffocare completamente l'anelito di libertà che qua e là si manifestava nel paese. Per annientarlo emanò le leggi speciali, istituendo quel tribunale per la difesa dello stato (fascista) che colpì duramente con migliaia di anni di carcere e di confino tutti coloro che dissentivano.
Io seguivo questi avvenimenti con interesse.
Anche a Cornigliano il fascismo aveva proceduto a diversi arresti condannando tanti giovani alla galera o al confino. Uno di questi era il cugino Serra segnalato dall'OVRA e che per tutto il periodo fascista fu colpito e perseguitato. Per Lui e per sua sorella Ernestina io avevo molto affetto, anzi poiché mi consideravo cugina (anche se in effetti non lo ero) mi sentivo un po' fiera di questo rapporto perché consideravo Serra - come gli altri arrestati (tra i quali vi era Pieragostini) degli uomini coraggiosi da ammirare.
Ma il regime si avviava verso la sua logica conclusione. L'avventura della guerra.
I discorsi del duce all'Italia e al mondo parlano di grandezze imperiali, di "posti al sole", di civiltà da portare ai barbari e bisogna riconoscere che non erano in pochi a credere a questi miraggi.
Dopo la preparazione psicologica e la propaganda più smaccata l'Italia attacca l'Abissinia. Dal porto di Genova vediamo queste partenze tra inni e suoni di fanfara e la nota triste delle famiglie che salutano dal molo. Eppure tra la popolazione non si sente ancora una reazione vivace a questa avventura forse perché la guerra porta un certo sollievo alla disoccupazione. Le fabbriche lavorano a pieno ritmo per la produzione bellica e perciò c'è un certo traffico commerciale. Tutto questo è accompagnato da una intensa propaganda che parla di vittoriose conquiste e si guarda bene dal parlare dei crimini che si commettono contro popolazioni inermi in nome della civiltà. La chiesa ha benedetto i gagliardetti fascisti e considera questa guerra santa - come farà poco tempo dopo nei confronti della guerra civile di Spagna.
Nel '39 attacchiamo l'Albania - sempre per la grandezza dell'impero - ma quella che doveva essere una "passeggiata", attraverso il tradimento di qualche ufficiale albanese, si rivela invece come una guerra dura. Le nostre truppe si trovano di fronte a dei combattenti che, eliminati i traditori, difendono il loro paese strenuamente e noi paghiamo a caro prezzo la corona d'Albania che il duce offre al piccolo re.
Queste cose, man mano che i combattenti tornano a casa perché feriti, si vengono a conoscere. Le voci corrono e qualcuno comincia a farsi delle domande e sono argomenti di discussione quando capita l'occasione di trovarsi tra persone che avversano il fascismo. Ci sono tanti piccoli centri dove ci si riconosce tra amici, nel bar da "Reciunin", sulla piazza del mercato, da "Serafin", diverse farmacie di Cornigliano sono piccoli centri di discussioni ed in certo qual modo di propaganda se pur non organizzata. Negli stabilimenti, specialmente nella grande industria, era rimasta viva l'attività dei vari partiti che il fascismo aveva messo in clandestinità, ma io non ne ero al corrente. Sapevo solo che c'era un "soccorso rosso" che raccoglieva soldi tra i lavoratori per sostenere le famiglie degli arrestati.
Nel '39 Mussolini firma il trattato di ferro con Hitler - vuole la sua parte di bottino e di gloria - l'asse Roma Berlino ci lega alla Germania. In quei giorni ebbi l'impressione che l'opinione pubblica ricevesse uno scossone.
Era ancora fresco il ricordo della guerra '15-'18, molta gente riteneva di non aver nulla in comune con i tedeschi ed in molte famiglie di "camerati" sentii fare apprezzamenti negativi su questo trattato. Ti voglio ricordare che il mio lavoro mi portava allora a frequentare molte famiglie e tra queste c'erano dei fascisti più o meno ferventi.
Nel '40 Mussolini entra in guerra a fianco di Hitler, vuole dimostrare la potenza bellica del regime. In realtà l'Italia non è in condizione di affrontare nessuna impresa bellica. La guerra non è sentita né voluta dal popolo italiano. Immediati disagi cadono sulla popolazione. Spariscono i generi di prima necessità e chi ne ha la possibilità se ne accaparra e li nasconde, tutto viene tesserato. I magazzini rimangono improvvisamente vuoti e la gente va alla disperata ricerca dei generi di prima necessità. Le città vengono oscurate le autorità invitano a sfollare la popolazione civile. Le gerarchie fasciste provvedono alle disposizioni per i ricoveri antiaerei, nominano i capiscala responsabili della vigilanza, in caso di allarme aereo, sugli inquilini che debbono abbandonare le abitazioni per recarsi al rifugio più vicino. E' tutto una tragica buffonata, pochi sacchi di sabbia all'ingresso delle cartine è tutto quello che protegge dalle bombe che piovono dall'alto. Si tratta in realtà di trappole, come i fatti confermeranno tragicamente, nei bombardamenti che colpirono Cornigliano, in via Pellizzari, ed in via S.G. d'Acri, dove famiglie intere furono estratte dai rifugi. Il nostro caseggiato aveva come rifugio uno stretto cunicolo largo poco più di un metro e la lunghezza corrispondeva alla larghezza della strada soprastante. In quello stretto budello ci stavano circa 50 persone e certamente occorreva più coraggio ad entrare là dentro che non a starsene all'aperto. Certo tu non puoi ricordare. Alla Badia di Castello Raggio c'era una vasta galleria, ch'era certamente un rifugio migliore, ma era un po' lontano. Quando suonava il preallarme e rimaneva quindi un margine di tempo, cercavamo di arrivare fin là.
Avevamo in casa un sub inquilino, un calabrese, Antonio che aveva un sacro terrore dei bombardamenti. Appena sentiva la sirena, in piena notte, balzava dal letto, prendeva te Piero in collo e Renzo per mano e vi trascinava alla galleria Erzelli. La paura gli metteva le ali ai piedi. Non dimenticherò mai quella sua solidarietà.
Subito all'inizio della guerra con la nonna siete stati un po' di tempo a Bussana, in quella casetta proprio vicino al mare. Siete rientrati ma per poco, siete poi sfollati a Sarizzano da una mia amica. Siete ancora tornati a Genova. Era un vivere convulso tra disagi, privazioni e paure di ogni genere e queste ambascie erano vissute da tante altre famiglie.
Mussolini si fa bello con il Führer, mette a disposizione divisioni di combattenti - vuol partecipare alla campagna di Russia - e così partono migliaia e migliaia di soldati per il fronte russo creando sgomento tra la gente che si chiede quali interessi ha l'Italia a seguire i tedeschi in questa impresa. E' vero che il fascismo aveva sempre sventolato il pericolo del bolscevismo e da sempre additato il comunismo come il barbaro da schiacciare. Ma nella classe operaia la rivoluzione russa era stata vista come una vittoria e quindi respingeva l'idea di una aggressione a quel popolo. Non intendo certo scrivere un libro di storia. Mi limito perciò a quello che intendevo allora ed alle mie impressioni. Ho visto partire alla fine di giugno del '42 l'ultimo battaglione della divisione Cosseria che doveva raggiungere il fronte del Don. Ti assicuro che li rivedo come allora ed è una visione veramente dolorosa. Questo battaglione partito da Vallecrosia, all'alba, a piedi era arrivato fin sotto Bussana. Fecero tappa in quel tratto di spiaggia che c'è prima di forte Sant'Elmo. Era una cosa che faceva veramente rabbrividire. Pensare che andavano ad affrontare un clima che poteva raggiungere in inverno i 40 gradi sotto zero, con scarponi di cartone, una coperta acciambellata e gli indumenti soliti che portavano in Italia. Ed ero obbligata a fare il confronto con i soldati tedeschi che li accompagnavano, essi marciavano su camion o su cavalli e mentre i nostri sudavano sulla spiaggia al sole rovente i tedeschi si riposavano all'ombra degli ulivi nel terreno soprastante la strada. La tragica odissea di quelle divisioni è storia ed è stata descritta ampiamente perciò non voglio parlartene. Ma devo però dire come gli scampati dal fronte russo che poterono ritornare alle loro case denunciarono gli orrori di quella campagna. Raccontarono del trattamento ricevuto dai camerati tedeschi durante la ritirata e dell'aiuto che avevano invece ricevuto molte volte dai contadini russi. Questi episodi smontavano molta di quella campagna che il fascismo aveva fatto nei confronti dell'Unione Sovietica e contribuivano ad aumentare il malcontento.
La guerra continua a dissanguarci - i viveri scarseggiano sempre di più - chi fa la borsa nera per guadagnare - chi va alla ricerca di farina, olio per sopravvivere - sulla spiaggia si bolle l'acqua di mare per avere il sale (scarseggia anche quello) per uso proprio e per farne cambio con altri generi.
Nelle fabbriche ci sono proteste, per ottenere miglioramenti salariali ed avere un aumento su generi alimentari razionati. Sui mercati le donne protestano per la mancata distribuzione dei viveri. La situazione si aggrava giorno per giorno finché si giunge al 25 luglio, alla caduta del fascismo. Il re fa arrestare il duce con la speranza di salvare la monarchia. Quel giorno fu una esplosione di gioia nel paese, abbattuti i simulacri del fascismo spariscono come nebbia al sole gerarchi, gerarchetti e fiduciari fascisti, ci accorgemmo con stupore che nessuno era stato fascista.
Sembrava che fosse finita con la guerra ma invece si stava preparando il periodo più duro e doloroso.
Era sparito il fascismo in camicia nera ma la guerra continuava. I partiti che avevano operato nascostamente poterono riprendere respiro, si ricostituivano faticosamente associazioni che il fascismo aveva sciolto ma si vedeva chiaramente che era una situazione anomala e per coloro che si riconoscevano antifascisti la situazione era piena d'angoscia. I prigionieri politici alla caduta del fascio non furono subito liberati, ci vollero dimostrazioni popolari perché le porte del carcere si aprissero ed i confinati potessero tornare alle loro case.
Nella farmacia Trincheri, di fronte alla stazione ferroviaria, si parlava molto di questa situazione. Già da tanto tempo mi incontravo casualmente con persone che frequentavano il locale e che criticavano da lungo tempo la politica del regime. Ricordo il signor Pratis, padre di un magistrato, il dr. Romero, il dr. Minetto medico condotto che il fascismo aveva costretto a lasciare il suo paese, il sig. Carro impiegato al Comune e suo cognato Franchi, qualche volta Migliorini, operai della San Giorgio. Ascoltavamo tutti quanti Radio Londra, clandestinamente. Si discuteva di quanto avevamo ascoltato e si cercava di trarre delle conclusioni ma queste non erano certo esaltanti.
E venne l'8 settembre giorno dell'armistizio.
Badoglio comunicò: l'Italia ha firmato l'armistizio, la guerra continua e noi rimanemmo allibiti. Come continuava la guerra, chi la guidava se la monarchia e la casta militare che aveva bruciato su ogni fronte migliaia di uomini male armati, mal nutriti e ingannati in ogni modo abbandonava a se stesso l'esercito che ancora poteva combattere per il riscatto del proprio paese?
Non fu data nessuna direttiva e noi assistemmo così allo sfascio del nostro esercito e fu uno spettacolo rattristante.
"Tutti a casa" fu la parola d'ordine ma i tedeschi occuparono ben presto le caserme e cominciarono i rastrellamenti. Fu veramente grandioso il modo in cui la popolazione cercò di salvare i militari rifornendoli di abiti civili, di viveri, accompagnandoli ai treni. Ricordo d'aver comprato diversi berretti da ferroviere in quel negozio di via Gramsci (allora via C. Alberto) che esiste tutt'ora e che vende divise militari. Potevano così più facilmente sfuggire ai tedeschi, figurando come personale viaggiante delle ferrovie.
Subito dopo la notizia data da Badoglio, dalla postazione di castello Raggio i militari si erano allontanati tutti. Erano rimasti alcuni ufficiali che, si diceva in paese, avevano ricevuto dai tedeschi l'invito a presentarsi al loro comando che si trovava presso l'albergo Centro di Sampierdarena. Non so se fu idea mia o se mi fu suggerita ma mi ricordo che mi recai a castello Raggio. Trovai qualche ufficiale disorientato. Cercai di convincerli a non presentarsi al comando tedesco e di seguire piuttosto l'esempio dei militari che si erano allontanati. I due ufficiali con i quali parlavo mi guardavano un po' allibiti. Certo era una cosa fuori della norma ricevere consigli da una popolana eppure era già la svolta della storia che avrebbe visto un esercito nuovo dove le donne diventavano combattenti, senza alte gerarchie accademiche ma comandanti e generali che nascevano dal popolo e nella lotta.
Subito dopo l'8 settembre, non ricordo da chi mi venne il suggerimento, mi recai al distretto di Savona. Trovai solamente un capitano che mi informò della situazione: i militari si erano allontanati tutti, la caserma era vuota, era rimasto solo il materiale sanitario dell'infermeria. Fu così che tornai a Cornigliano carica come un asino e depositai tutto presso la farmacia Trincheri.
Al momento dell'armistizio era circolata la voce di raccogliere le armi che i soldati abbandonavano e così si ebbero tanti piccoli depositi di armi: i fondi della Stazione ferroviaria, quelli dell'albergo Serafino (dove pure alloggiavano i tedeschi), il rifugio del n. 50 di via Cornigliano.
I rastrellamenti dei tedeschi, i bandi fascisti che condannano a morte i renitenti alla leva pongono molti giovani nella necessità di allontanarsi da casa. Molti sfollano, molti si raccolgono in bande sui monti della Liguria e del Piemonte. So di giovani che si raccolgono nell'entroterra chiavarese, nel cuneense e nella zona alessandrina ma di preciso non so nulla pur facendo una grande propaganda tra donne e giovani. Con il gruppo della farmacia Trincheri faccio sottoscrizioni e raccolgo quanto è possibile viveri, indumenti, medicinali, materiale per medicazione, armi. Un giorno viene a casa nostra il cugino Serra. Dice di aver saputo della mia attività, mi rimprovera di collaborare con un gruppo badogliano e mi invita a passare nell'organizzazione (che sta rafforzandosi) dell'antifascismo che raccoglie tutte le sue forze nella resistenza clandestina.
Quella sorta di angoscia che mi aveva fino ad allora tormentata si attenua. Comprendo che l'organizzazione che mi ha illustrato Serra darà risultati maggiori ai nostri sforzi. Ho paura ma entro nella Resistenza.
Ed eccomi ad organizzare i primi gruppi difesa donne e per l'assistenza ai partigiani; la nostra zona popolare offre un terreno fertile. Nel giro di due mesi sono più di novanta le donne che lavorano tenacemente nelle raccolte per i partigiani ma soprattutto fanno propaganda contro la guerra.
Il mio lavoro con l'organizzazione femminile non dura molto. Devo occuparmi del Fronte della Gioventù collaborando per la propaganda e la diffusione della stampa clandestina e con dimostrazioni di protesta contro il fascismo e i tedeschi. Dal movimento giovanile operaio e studentesco escono molti gappisti che compiranno imprese eroiche e disperate in città creando scompiglio tra le brigate nere e i tedeschi.
Baldini mi incarica di trovare un'abitazione per un compagno di Torino che viene a Genova a dirigere il movimento clandestino per il PCI. Trovo la casa dai Capurro Lorenzo e Rosetta. Sono piuttosto paurosi ma sicuramente antifascisti. Per non dar loro inutili ansie nascondo la vera funzione dei loro inquilini. Conosco così Luigi e Rina; sono una coppia non più giovanissima che hanno subito lunghi anni di angherie sotto il regime. Si vede tra di loro un grande amore. Rina è felice di essere vicina al marito dopo tanti anni in cui il carcere li ha divisi. Hanno l'aspetto di persone benestanti e non è difficile far credere ai Capurro che si trovano a Genova per un periodo di riposo. Devo trovare un'altra sistemazione per un ispettore clandestino della zona: preparo una valigetta campionario di medicinali e lo colloco presso una famiglia che abitava all'inizio di via Tonale, presentandolo come un rappresentante di farmaceutici. Poiché si trattava di "camerati" nell'ingresso faceva bella mostra un ingrandimento del duce, cosa che non avrà certo rallegrato il clandestino.
Intanto la nostra casa diventa una stazione di smistamento: giovani che vogliono andare nelle formazioni partigiane, che cercano materiale per la stampa e posti sicuri dove nascondersi. Collaboro con i responsabili provinciali, Rossi, De Giovanni e Diodati che ritroverò più tardi in montagna. Luigi mi presenta Renato (Germano Iori) comandante dei Gap che si sono appena costituiti. E' un reduce delle galere fasciste, processato e condannato ripetute volte. E' un uomo sicuro di sé, di poche parole. Vuole liberare un compagno rimasto ferito in uno scontro con i fascisti durante lo sciopero dei tranvieri nel novembre del '43 e che si trova piantonato all'ospedale di Sampierdarena. Concertiamo i preparativi.
Vado alla ricerca di informazioni presso dipendenti dell'ospedale sulle condizioni del ferito e sull'ubicazione della sua camera, alla cui finestra viene messo un segnale. Sul far della sera accompagno Renato a controllare la via da seguire per non perdere tempo al momento dell'azione.
Lucarelli viene avvertito di tenersi pronto, di fingersi disturbato di intestino per allentare la sorveglianza ma il primo tentativo va a vuoto per un guasto al camioncino con il quale i gappisti dovevano raggiungere l'ospedale. Bisogna quindi riprendere contatto, avvertire il ferito del contrattempo e del rinvio. Con grande sorpresa ci fa sapere di sospendere il tentativo perché non corre alcun rischio. Iori è però deciso a togliere Lucarelli dalle mani dei fascisti in quanto gli risulta che la squadra politica ha già sollecitato il trasferimento alle carceri di Marassi. Il colpo riesce; il prigioniero viene liberato e trasportato in una casa di via F.Rolla.
Quando incontro Renato mi racconta di aver trovato il Lucarelli tranquillamente addormentato e come fosse poco convinto della necessità di esser prelevato. A questo seguì poi il fatto che egli non fosse soddisfatto del suo nascondiglio perché temeva i bombardamenti così fu necessario trovare un'altra sistemazione, cosa non certo tanto semplice. Non ho conosciuto personalmente il Lucarelli ma quando penso a quell'episodio e al suo comportamento me ne rallegro.
Luigi mi incarica di andare ad Oneglia a prelevare sette milioni offerti dall'industriale Berio, il cui figlio morirà a Chiusavecchia nel giugno del '44, fucilato dai nazifacisti. Mi reco quindi ad un vecchio frantoio sulle alture di Oneglia, dove incontro Amoretti che ricoprirà insieme al cognato Gilardi posti di grande responsabilità fino alla liberazione. Sette milioni pesano 7 kg., in biglietti da mille grandi e spessi appena usciti di zecca. Da un cumulo di paglia tirano fuori un cestino con i soldi fruscianti. Due milioni come mi era stato detto li lascio per le necessità locali ed i restanti me li metto addosso tra la maglietta e un ampio busto che ho avuto in prestito. Riparto per Genova notevolmente ingrossata e rigida come un baccalà. Fu un viaggio che mi sembrò eterno. Sui treni c'erano frequenti controlli per la borsa nera dell'olio, erano sovraffollati e le interruzioni erano frequenti. Comunque arrivai a Cornigliano sulla tarda sera e appena uscita dalla stazione suonò l'allarme per cui dovetti rifugiarmi alla galleria Erzelli dove mi rannicchiai in un angolo cercando di non sfiorare nessuno. Fu con vero sollievo che consegnai il gruzzolo a Luigi, liberandomi anche dalla sofferenza che mi dava il bordo dei soldi con le profonde escoriazioni che mi avevano provocato.
Occorre trovare un'altra sistemazione. La casa dei Capurro non serve più: trovo in affitto la villetta Narisano. Alla Rina piace molto soprattutto per un crocefisso che trova appeso sopra il letto. In quella casa passano nomi prestigiosi della Resistenza.
Luigi era un bell'uomo, d'aspetto imponente e dignitoso e la casa in cui si trova a vivere è una casa borghese; viene perciò confuso con qualche altro personaggio e salutato con grande deferenza, quando incontra dei fascisti, col saluto romano. Bisogna abbandonare la villetta Narisano e saranno i compagni di Sestri a provvedere.
Intanto giovani e giovanissimi continuano a passare da casa nostra inviati da persone diverse. I Panero, padre e figlia, reclutavano più di un ufficio di leva. Carro è più prudente ma la base comincia ad essere troppo conosciuta e Luigi mi ordina di cercare un'altra abitazione per me ed una camera per Iori. Zia Diana conosce un'anziana signorina che abita nella casa dei ferrovieri alla crocera di Sampierdarena; accoglie volentieri l'inquilino e lo prende in simpatia tanto che talvolta gli offre anche il caffè (difficilissimo a trovare in quel periodo).
In un bar era stato fermato un gappista; non era però stato individuato perché fornito di documenti falsi. Dalle brigate nere era stato consegnato ai carabinieri di Sampierdarena in attesa di trasferirlo a Marassi. Anche in questo caso zia Diana ci aiuta con le informazioni sul maresciallo che è disponibile alla liberazione del prigioniero.
Alla prigione rimane di guardia un piantone e Iori con altri due Gap si reca a prelevare Masnata che venne caricato su di un mezzo e subito allontanato. Già il gruppo lasciava la prigione quando il piantone pregò di essere colpito con un pugno per dimostrare che aveva opposto resistenza ma nessuno dei tre si sentiva di farlo. Alla fine fu Renato che lo colpì alla testa con il calcio della pistola e tra scuse e ringraziamenti gappisti e carabinieri si salutarono. Naturalmente furono sparati alcuni colpi in aria che crearono un fuggi fuggi generale e si sparse la voce che più di venti partigiani con i fazzoletti rossi sul viso avevano assalito le prigioni. Per Masnata fu solo una dilazione al suo tragico destino: verrà arrestato nel giugno '44 a Cornigliano, torturato alla casa dello studente e fucilato al forte di S. Giuliano.
Il fascismo non dorme: rafforza la sua rete di spionaggio nella fabbrica, nell'ufficio, nelle case attraverso i fiduciari di caseggiato. Le spie vengono lautamente compensate. La squadra politica si è rafforzata e incrudelita sotto la guida di Veneziani.
Nel nostro caseggiato avevo sistemato un giovane gappista. Era uno studente vivace e spiritoso, entusiasta e sfegatato. A lui avevo trovato una cameretta presso la signora Ninni. Questa signora aveva una vecchia scimmietta dispettosa ed intrattabile che però va d'accordo con l'inquilino e questo entusiasma la padrona, forse anche per il fatto che Toscano si riordina la camera e si rifà il letto tutte le mattine. Qualche volta ci siamo chiesto cosa sarebbe successo se alla signora Ninni fosse venuta la voglia di guardare sotto il materasso, trovando lo sten smontato o la pistola. Per fortuna la signora non fu mai presa da queste tentazioni e Toscano è rimasto in quella casa finchè non ha dovuto raggiungere le formazioni in montagna.
Si allarga il movimento clandestino e diventa più feroce la reazione. I rastrellamenti, improvvisi e ripetuti in tutti i punti della città, riempono le carceri.
Anche le formazioni di montagna vengono prese di mira. Con grandi spiegamenti di forze e di armi tedeschi e fascisti rastrellano le zone dove si concentrano i partigiani che pur scarsamente armati riescono a compiere coraggiose azioni di guerriglia.
Arriviamo alla Pasqua del '44, Il venerdì santo incomincia il rastrellamento di una vasta zona dell'Appennino ligure piemontese. Circondati da ogni parte, nell'impossibilità di combattere adeguatamente contro colonne nazifasciste armate anche di mezzi pesanti un migliaio di partigiani vengono massacrati o fatti prigionieri alla Benedicta. Le notizie che ci giungono sono spaventose ed io ricordo quei giorni come un incubo. Io pensavo con dolore a quei giovani che erano passati da casa nostra pieni di speranza in un mondo diverso che non avrebbero mai conosciuto. Fu un prezzo molto caro che pagammo all'inesperienza e alla spontaneità.
Negli stabilimenti cresce il malcontento per le dure condizioni di vita; bombardamenti, mancanza di alimenti, borsa nera sono ragioni per protestare contro la guerra. Sotto la guida politica dei partiti antifascisti (il maggior contributo è dato dal PCI) cominciano i primi scioperi e le agitazioni che ottengono qualche risultato, ma i tedeschi non ammettono che ci si possa ribellare al loro volere e cominciano così le deportazioni dei lavoratori in Germania. Già vi erano stati trasportati impianti e macchinari in grande quantità malgrado il sabotaggio fatto dai lavoratori all'interno della fabbrica.
Il 16 giugno il comando tedesco ordina un massiccio rastrellamento di operai. Tedeschi e fascisti circondano la S. Giorgio, la SIAC, la Piaggio e il cantiere Ansaldo. Presi di sorpresa più di 2000 lavoratori vengono caricati sui camion sotto la minaccia dei mitra e portati alla stazione di Sampierdarena dove vengono caricati su carri bestiame piombati.
Iori mi aveva portato un sacchetto di chiodi a tre punte per seminarli sulla via dove avrebbero dovuto transitare i camion con i prigionieri, nel tentativo di forare qualche gomma creando così trambusto che permettesse qualche fuga ma non vi fu tempo e così con i miei chiodi nel sacchetto vidi sfilare i camion carcihi di uomini in tuta da lavoro che ci gridavano il loro nome perché avvertissimo le famiglie.
Non si può far nulla: mi rimane,con il senso della sconfitta, la vista di un giovanissimo operaio che incontrando il mio sguardo fa un atto di rassegnazione ed io rimango lì inebetita con gli occhi sulla sua tuta che rivela il torace tenero quasi di un bambino.
Nel periodo precedente l'azione di guerriglia in città aveva colpito duramente tedeschi e fascisti e la rappresaglia era stata feroce. Il 19 maggio vengono trucidati 59 prigionieri di Marassi in risposta all'attentato al cinema Odeon. Nelle prime ore del giorno da Pra a Voltri lungo la via del Turchino si levano in alto le voci dei condannati che gridano il loro nome e il loro ultimo saluto. Attraverso contatti con l'interno del carcere si sa che hanno prelevato nella notte un gran numero dei superstiti della Benedicta, dei politici… siamo angosciati. A sera tarda viene Toscano: è stato sul posto e mi descrive la scena. Una grande fossa, i segni della baldoria che su quella enorme tomba è stata fatta da uomini ubriachi di furia e di alcool, cartacce, bottiglie vuote sparse dappertutto: ha preso delle foto… Vedo la sua disperazione per la perdita dei compagni, le sue lacrime mentre disperato batte con i pugni sulla grande cappa del camino che rimbomba cupamente.
Sgomento, dolore e paura si superano con l'azione che continua malgrado le perdite subite.
In un attentato contro una brigata nera a Sampierdarena rimane ferito un giovane gappista, Nero. Colpito all'addome riesce a trascinarsi fino alla casa della Gigia. Io avevo conosciuto questa donna alle prime riunioni dei gruppi di difesa. Era comunista schedata il cui marito aveva subito processi e condanne durante il regime; era legata profondamente ai compagni dei quali godeva la fiducia e la stima. Piuttosto brusca nel modo di fare aveva un gran cuore e si esponeva ad ogni pericolo per aiutare i giovani della Resistenza. Ferito e sanguinante Nero arriva a casa sua, viene accolto e messo a letto. La Gigia mi manda a chiamare ed io vado commettendo una imprudenza. Trovo Nero febbricitante, è stato colpito alla vescica. Consiglio di non muoverlo e di mettere ghiaccio e pezze fredde bagnate e di praticare delle iniezioni emostatiche che ho portato; occorre però un medico. Ne parlo con Luigi; ricevo una bella strigliata e la diffida a tornare dalla Gigia. Provvederà lui ad inviare il dott. Santacroce.
La Gigia non mi vide più tornare; anche molto tempo dopo non sono riuscita a convincerla che avevo obbedito agli ordini per la sicurezza di tutti. Questo episodio ebbe ancora uno strascico per me. L'arma servita all'attentato era stata nascosta in un fienile in scalinata dei Landi. Luigi mi incarica di mandare qualche ragazza del fronte della Gioventù a ritirarla assieme a Vasco. Ricevo un rifiuto deciso e ripetuto. Che fare? Il ferito si trova nelle immediate vicinanze. Decido di andare io senza perdere altro tempo. E' suonato il preallarme: siamo nelle prime ore del pomeriggio e la gente si è riversata in prossimità della galleria rifugio; non sarà tanto semplice… C'è una tettoia sotto la quale gli ortolani tengono il carro che porta le verdure al mercato; c'è un mucchio d'erba secca e sotto è nascosto lo sten. Bisogna smontarlo. Con aria indifferente passeggiamo avanti e indietro finché non ci sediamo vicino al mucchio d'erba. Vasco riesce a smontarlo e io ficco i pezzi nella borsa della spesa che mi sono portata dietro. Mentre armeggiamo il più rapidamente possibile dobbiamo tener d'occhio particolarmente due donne piuttosto incuriosite. Finalmente abbiamo finito. Vasco si allontana in una direzione ed io prendo la via di casa. Mentre mi allontano sento il commento che viene dalle due donne. "che vergogna mettersi con un ragazzo". Ci rimango male ma mi consolo pensando sia preferibile la malizia alla spiata. Iori vuol tentare un colpo contro il prefetto Basile; gli servono dati sulla sistemazione degli uffici e sulla possibilità o meno di lanciare delle bombe. Mi metto il più elegante possibile e vado a protestare perché le pattuglie tedesche e fasciste durante il coprifuoco non tengono conto che circolano persone munite di permesso (io sono ostetrica e mi trovo nella necessità di uscire di notte).
L'attesa è lunga e prima di essere ricevuta ho modo di fare parecchie osservazioni che riferisco a Renato che conviene con me sulla impossibilità di un'azione del genere. Si potrebbe invece tentare attraverso le fogne. Mi rivolgo a Carro che mi procura la pianta fognaria sia della questura sia della prefettura ma anche questo tentativo cade nel vuoto perché si sono sistemati sbarramenti di protezione. Il potenziamento della squadra politica di Veneziani ed i rastrellamenti infliggono gravi colpi alla lotta clandestina che viene privata di molti dirigenti di primo piano.
Le carceri traboccano i prigionieri vengono torturati da fascisti ed SS alla casa dello studente, molti si comportano eroicamente; qualcuno cede alle torture. Devo lasciare Cornigliano e trasferirmi in corso Firenze al 38/13. In quella casa vivrò per un breve periodo con la Rina, moglie di Scappini, il compagno che accetterà la resa dei tedeschi nelle giornate dell'insurrezione.
I nonni sono rimasti a Cornigliano; papà ha dovuto allontanarsi dallo stabilimento ed è andato a lavorare a Ventimiglia. Ed eccomi a lavorare con altri compagni, con i quali mi mette a contatto Scappini che per sicurezza non vive con noi ma si fa vedere saltuariamente. Mi incontro con Longhi e riconosco un amico di infanzia. Mi consegna del materiale da portare ad una copisteria di via Cartai, sono matrici da battere per fare poi delle copie al ciclostile e diffondere tra la gente.
Troverò pronto dell'altro materiale ed anche una bella scossa…
C'è una giovane donna seduta al suo tavolino da lavoro, in uno sgabuzzino piccolo e piuttosto buio, mi faccio riconoscere e consegno i fogli e ritiro le matrici già pronte. Compaiono sull'uscio due fascisti, senza batter ciglio la donna termina il suo gesto e dice sorridendo "e mi saluti tanto il commendatore". Se devo essere sincera non ricordo la mia risposta ma il mio spavento e la fretta in cui mi allontanai me li ricordo ancora benissimo.
Con Longhi ebbi altri incontri; l'ultima volta che lo incontrai fu sulla piazza di Carignano e fissammo l'appuntamento successivo per il giorno 6 (eravamo in luglio) avrei dovuto ritirare delle borse con il doppio fondo per trasportare materiale vario, a quell'appuntamento si recò invece la Clara che non trovando Longhi sulla piazza si recò alla sua abitazione in via Pertinace e cadde nelle mani dei fascisti che già piantonavano la casa ed avevano arrestato Longhi e la famiglia Pane che lo ospitava.
Io nel frattempo mi ero recata al confine francese assieme ad una compagna venuta da Milano per prelevare un compagno proveniente dalla Francia e che avrebbe dovuto raggiungere le formazioni partigiane. Fu un viaggio lungo e noioso con parecchi trasbordi per i bombardamenti, scendemmo a Vallecrosia e fummo avvicinate da una guida che ci portò su in alto verso Perinaldo. Sostammo in una baita per la notte e di prima mattina arrivò la persona attesa. Sapevo che si trattava di un esperto di guerriglia, ex garibaldino di Spagna, che avrebbe dovuto raggiungere la terza zona operativa. Il suo accompagnatore ci consiglia di sbrigarci a lasciare la zona poiché c'è in vista un rastrellamento, ci saluta e si allontana in fretta. Ricordo che il tempo era splendido e non potemmo fare a meno di ammirare lo splendore della nostra riviera. Scendiamo verso Bordighera ma facciamo ancora tappa in una casa abbandonata. Al mattino riprendiamo il viaggio. C'è l'allarme ad Oneglia, dobbiamo fare un lungo tragitto a piedi frammisti agli altri viaggiatori. Senza incidenti di sorta giungiamo a Principe; in serata ognuno di noi va per la sua strada.
Non appena uscita dalla stazione vengo avvertita di non andare a casa e dell'arresto della Clara: devo trovarmi un rifugio provvisorio ed attendere disposizioni. Vado dalla zia Diana che mi ospita senza esitazioni. Rimango da lei alcuni giorni finché non viene Baldini e mi comunica che dovrei trasferirmi a lavorare in riviera. Mi oppongo a questa decisione per varie ragioni. Sono facilmente individuabile per le mie caratteristiche fisiche ed inoltre la borsanera dell'olio offre la possibilità di incontri con persone che possono segnalare, anche involontariamente, la mia presenza in riviera. Preferisco andare in montagna. Mi sentirò più sicura anche per l'organizzazione. Baldini mi ascolta e dopo qualche giorno ritorna. Mi tranquillizza per papà e mi racconta come la portinaia della casa avesse messo il marito di guardia lungo la salita che portava a S. Nicola per avvertirlo di non salire all'abitazione perché occupata da tedeschi e fascisti che speravano di operare altri arresti.
Devo spostarmi a Genova in via De Gasperi e rimanere lì fino al momento di andare in formazione. Saluto zia Diana e mi sposto a Genova.
Di fronte a me vedo la villa dove si è insediato il comando tedesco. C'è un via vai continuo e non è una vista che mi rallegri molto però è una sistemazione che offre i suoi vantaggi.
Siamo al 25 luglio: si parte. Devo recarmi a Nervi dove troverò la guida che mi accompagnerà. E' tutto confuso quel periodo nella mia memoria: c'è solo la sensazione della paura per quei brevi tragitti da Sampierdarena ad Albaro e da qui a Nervi. Vengo avvicinata da un uomo alto dall'aria bonacciona, si fa riconoscere come Giacomo e ci incamminiamo verso il monte Becco di cui raggiungiamo pian piano la vetta. Ad un certo punto si unisce a noi un francese che parla stentatamente italiano. E' arrivata sera. Giacomo ci fa sostare in un pagliaio, tira fuori delle provviste e le divide tra noi e ci prepariamo a passare la notte alla meno peggio sul giaciglio di foglie e di ricci di castagne e non fu certo un letto morbido.
Sono due sconosciuti ma non ho nessuna paura; l'ansia che mi ha divorato in questi ultimi tempi è scomparsa me la sono lasciata alle spalle ed io penso al domani con più fiducia. La notte passa in un lungo dormiveglia, sta appena schiarendo che sento un fischietto ed arriva Garibaldi. E' molto giovane, non molto alto, ha capelli e barba biondi ed occhi azzurri; ricorda veramente il generale, ha un'aria sveglia ed allegra. Da questo punto ci guiderà lui: dovremo fare parecchie deviazioni dice ma raggiungeremo Scoffera e Laccio senza pericoli; incontreremo qualche distaccamento in azione.
Prendo improvvisamente contatto con i partigiani: dall'alto vedo un gruppo di giovani sulla statale, portano delle cassette ed altro materiale; scendono sotto il ponte, si muovono con ordine e svelti, si riuniscono e risalgono sulla strada che abbandonano rapidamente risalendo il fianco della montagna verso di noi. Si sente una esplosione e come in un film vedo il ponte crollare. Vediamo più indietro sulla strada interrotta una colonna di automezzi tedeschi, si fermano, un ufficiale guarda con i binocoli, grida un ordine e la colonna torna indietro accompagnata dall'evviva dei partigiani che sono ormai vicini a noi. Ci salutiamo con entusiasmo; io sono commossa. Quei ragazzi male in arnese, sembrano splendidi ed io mi sento libera e come entrata in un mondo nuovo.
Proseguiamo il cammino: siamo ormai in zona partigiana. Sulla strada vediamo spiccare i cartelli messi dai tedeschi "Achtung Banditen".
Scendiamo verso il fondo valle e finalmente arriviamo a Gorreto. Conosco Marzo il comandante della Cichero e Lucio che ne è il commissario politico. Poco prima avevamo incontrato delle pattuglie in perlustrazione e con piacere avevo riconosciuti due "cornigiotti", Ghen e Pirata. Mi chiedono notizie di Cornigliano, degli amici; mi raccontano avventure strabilianti che prendo con beneficio di inventario, mi esaltano la zona partigiana. "Tutto nostro" dicono e mi sembrano regnanti che mostrino il loro regno. Quell'entusiasmo, quei fazzoletti rossi al collo mi riscaldano il cuore ed io penso di essere fortunata a vivere quei momenti. Mi viene assegnato il compito: organizzare ad Ottone un posto di ristoro per i partigiani nella caserma abbandonata dai carabinieri. C'è da lavorare quanto voglio ho però tanta collaborazione da uomini e donne del paese, dai partigiani di passaggio. In breve la caserma è ripulita per bene, con la cucina che funziona ed una piccola infermeria. Sono fiera del risultato; riesco anche a provvedere alla disinfestazione dei pidocchi.
Ottone è una tappa obbligata della val Trebbia. Conosco così tanti partigiani che vanno e ritornano dalle azioni; medico qualche ferito. Ho in consegna dei prigionieri: sono state sciolte delle bande che spacciandosi per partigiani derubavano i contadini. Sono stati allontanati dalla zona ma qualcuno è stato trattenuto e dovrà essere processato e avrà anche il difensore. Passano le staffette che portano le notizie dai comandi ai distaccamenti, altre vengono dalla città, giungono compagni che devono abbandonare la città perché individuati dalla squadra politica, giovani che vogliono unirsi alle formazioni partigiane. Arrivano anche ispettori del Comando militare regionale che vogliono rendersi conto della reale situazione. Rivedo Scappini e Gilardi con grande emozione. Anche Luigi viene in zona e mi porta notizie vostre e dei nonni. Poiché gli confesso la mia preoccupazione per il vostro avvenire se non tornassi più a casa mi rassicura che avreste avuto ugualmente una famiglia che si sarebbe presa cura di voi e da quel giorno io vissi più tranquilla per il vostro avvenire.
Sono informata di quanto succede in città degli arresti e delle torture alla Casa dello studente. So di essere ormai ricercata dalla squadra politica e di essere tra le 81 persone che Veneziani ha deferito al tribunale speciale.
I giorni passano veloci e pieni di attività. Sono circondata da tante donne del paese che aiutano in mille modi e si organizzano anche in gruppi femminili come in città. Nel periodo che mi fermo a Ottone incontro anche De Giovanni diventato comandante di distaccamento con il nome di Carlo. Ci passiamo le nostre informazioni e parliamo delle nostre speranze e quanto ci sembri lontana la realizzazione.
Arriva un giorno un partigiano con due donne che sono state fermate in zona; le prendo in consegna cerco di sapere qualche cosa su di loro. Le perquisisco (non so cosa penso di trovare loro addosso…). Viene Marzo a interrogarle e le accetta in formazione. Io non riesco a dar loro fiducia e non voglio che rimangano a Ottone da dove arrivano e partono troppe informazioni ed il pericolo di spiate è notevole anche per il gran numero di sfollati che fanno la spola con Genova. Le mando quindi in un distaccamento in altra zona; a dire il vero una delle due è rimasta in zona fino alla liberazione facendosi apprezzare ed il nome di Marisa è caro a chi l'ha conosciuta, ma l'altra si allontanò e non ho più saputo nulla.
Sta finendo agosto: c'è movimento di staffette molto intenso lungo la statale del Trebbia da Torriglia a Bobbio; i corrieri già da tempo hanno preannunciato un rastrellamento con grandi concentramenti di nazifascisti da Genova, da Chiavari e da Bobbio. Ci si prepara ad abbandonare certe zone occupate ed a passare ad azioni di guerriglia e di sganciamento.
A Genova si era costituito il Comando regionale militare del quale il generale Cesare Rossi assume la responsabilità, Pieragostini ne è il vice ed è il responsabile delle formazioni garibaldine di tutta la Liguria. In quell'agosto convulso continuano a passare pattuglie e distaccamenti dal nostro comando tappa: la tipografia del giornale "il partigiano" viene spostata da Bobbio a Scorticata, una frazione spersa tra i monti, tre case di pietra appese alla montagna.
Passò un giorno una giovane staffetta diretta a Torriglia. Ha fretta e un contadino gli ha prestato un cavallino con mille raccomandazioni per il ritorno. Era giovanissimo poco più di un bambino con un visino minuto e pieno di efelidi. Ha un paio di scarpe scalcagnate e io mi sovvengo che uno dei prigionieri che ho in consegna ha un bel paio di scarponi (era un tenente dell'esercito che aveva requisito ad una contadina un asinello) e che credeva di poter vivere (dopo l'8 settembre) alle spalle degli abitanti di quelle zone. Non era un mascalzone ma piuttosto un irresponsabile. A dire il vero non solleva obiezioni quando mi faccio consegnare gli scarponi per il giovane corriere, guarda un po' sconsolato le vecchie scarpe che gli ho rimediato.
Aumenta il movimento; abbiamo un vero concentramento di prigionieri; bisogna prepararsi ad abbandonare Ottone.
Sul finire di uno di quei giorni passa una giovane donna: è sfinita dalla stanchezza. Viene da Genova in cerca del figlio, studente, che si è rifiutato di aderire alle fiamme bianche, l'organizzazione giovanile fascista che il colonnello Fiori cerca di creare a Genova per la repubblica di Salò.
Non sa il nome di battaglia assunto dal figlio né in quale zona si trovi di preciso. Non so dirle sul momento nulla di preciso, dovrò chiedere in giro; le dico di tornare. Trovo in quella donna fragile e minuta qualcosa di familiare mi rammarico di non poterla sollevare dalla sua ambascia. Continuo a pensare a lei e poi d'improvviso comprendo perché il suo viso mi era parso familiare; era lo stesso del giovane al quale avevo dato gli scarponi.
Povero figlio. Cadrà pochi giorni dopo a Bobbio e povera madre che non lo avrebbe più rivisto.
Il 24 agosto comincia il rastrellamento: ci sono i primi scontri. Ad Ottone abbiamo il distaccamento prigionieri di cui è stata fatta una selezione lasciandone libera quella parte su cui non gravavano accuse gravi. Il resto vengono trattenuti sia per la gravità delle accuse che per la possibilità di operare scambi con nostri prigionieri in mano ai tedeschi e fascisti.
Tra i prigionieri un tenente della polizia stradale che Marzo e Bisagno avevano fermato e diffidato dal lasciare Ottone. In paese era molto sospetto per i contatti che aveva con i fascisti del luogo e con certi sfollati. Proposi quindi di portare anche lui assieme a noi provocando le vivaci reazioni del fascista che afferma che Marzo e Bisagno gli hanno garantito che alla fine di agosto può rientrare a Genova. Il commissario di distaccamento non vuole assumersi la responsabilità e lo lascia in Ottone con grande mia preoccupazione. Arrivano ordini dal comando: i distaccamenti sono in movimento; tedeschi e fascisti avanzano lungo tutte le vie di accesso alla zona. La nostra colonna prigionieri assieme al distaccamento si mette in marcia seguendo l'ordine di Marzo che passato poco prima, ci ha diretto verso Cerignale da dove unendoci ad altri distaccamenti proseguiremo verso la valle del Brugneto. È una lunga fila che si snoda lungo un tratto della statale del Trebbia: a tutti partigiani e prigionieri, è stato consegnato un pezzo di formaggio grana di cui pochi giorni prima un distaccamento aveva prelevato parecchie forme in un deposito fascista. Fu il nostro vitto per sette giorni. Arriviamo a Cerignale e si riesce ad avere un po' di pane in cambio di formaggio, dobbiamo però sbrigarci.
Dobbiamo inerpicarci per la montagna, facciamo fatica a camminare senza calzature adatte. Io ero arrivata in montagna con un paio di sandali da città, ormai a pezzi; sul terreno ricoperto di aghi di pino si scivola e ci si punge maledettamente. Si cammina e si cammina facendo tappa di quando in quando mentre qualche staffetta va in perlustrazione. Ci arrivano notizie contrastanti. Incontriamo distaccamenti in movimento, corrieri della città che sono stati sorpresi dal rastrellamento, si unisce a noi Remaggi "Manuelin" venuto da Crocefieschi per avere direttive ed anche lui bloccato e con noi si trova pure Migliorini appena arrivato da Genova perché ricercato dalla polizia fascista. Ho l'impressione di un grande sbandamento e sento attorno a me la paura.
Si comincia a sentire la fame; siamo nascosti nei boschi e non possiamo avvicinarci ai paesi; raccogliamo delle meline selvatiche ed acerbe per ingannare il nostro stomaco. Non mi dispiace il loro gusto asprigno; hanno l'inconveniente di aumentare la secrezione salivare per cui abbiamo la schiuma alla bocca come i cavalli, cosa che ci fa ridere malgrado la situazione.
Si trova con noi il Comando militare della regione venuto per una ispezione: il generale Rossi, Pieragostini e Conte cioè Luigi. Avrebbero avuto il tempo di allontanarsi ma hanno preferito rimanere in zona e seguire l'evolversi della situazione; la loro presenza fu determinante anche per lo sviluppo del movimento partigiano fino alla liberazione.
Avevamo degli ufficiali dell'esercito che provenivano dalle accademie militari (Bisagno, Scrivia, Croce, Banfi) i quali guardavano i politici con una certa sufficienza e con riserva.
Continua il rastrellamento; sono giorni e giorni che vaghiamo per i boschi. Una notte siamo sorpresi da un violentissimo temporale; siamo fradici dalla pioggia, investiti da rivoli d'acqua che ci fanno muovere il terreno sotto i piedi. Qualcuno ha con sé una coperta ma serve a poco. Remaggi pianta un ramo in terra e fa una specie di tenda e cerca di infilarsi sotto ma è come sedersi in un torrente e io non posso fare a meno di ridere mentre Manuelin giura che, a guerra finita, non vedrà mai più una montagna…
Passata la burrasca il sole d'agosto ci asciuga rapidamente.
Siamo ormai nel bosco di Brugneto e agosto è finito; ci sono compagni a cui la lunga tensione dei giorni trascorsi sta facendo saltare i nervi. Migliorini è ossessionato dal ricordo di un suo amico caduto alla Benedicta e continua a ripetere "facciamo la fine di Guerra". Cerco di rincuorarlo ma non ci riesco come non ci riescono Remaggi e Montan che mantengono una calma ammirevole.
Poco più in alto di dove siamo concentrati, in una osteria di Brugneto, sono riuniti i capi delle formazioni partigiane ed il comando regionale ligure, così pure l'Istriano, l'Americano, comandanti delle formazioni che operano nel Piacentino. Si decide sul modo di uscire dalla situazione. Bisogna uscire dall'accerchiamento ma come? Le possibilità sono due: forzare il blocco dei nazifascisti spostandoci quindi verso la Spezia oppure disperderci e raccoglierci (chi si salva) in altra zona. Il comando militare regionale ed i comandanti delle varie formazioni partigiane stanno esaminando tutte le possibilità per trarci in salvo e poter riprendere l'attacco. Intanto siamo tutti raccolti in una valletta, partigiani e prigionieri. C'è stanchezza e paura in molti: più in basso si sentono vocii furiosi e colpi d'armi. Ancora una volta non posso fare a meno di notare la calma di Remaggi che seduto vicino a me per terra sta parlandomi della squadra calcistica neroverde. Io nascondo la mia ansia e la mia paura, passando da un gruppo all'altro e cercando di distogliere il pensiero dalla gravità della situazione in cui ci troviamo. Trascorre così tutto il pomeriggio senza che ci giunga nessuna notizia dalla sede provvisoria del comando. Con Maranza che aveva mansioni di capo di stato maggiore decidiamo di salire all'osteria per sapere e avere notizie. Non avevamo da salire molto ma un breve tratto di quella stradina era scoperto e fummo obbligati a percorrerlo carponi mentre sentivamo i proiettili piantarsi nella terra sopra le nostre teste. Arrivammo all'osteria che la riunione era appena stata sciolta, trovai Luigi e Pieragostini sul piccolo piazzale e seppi così le decisioni che erano state prese, come erano stati assegnati i compiti e come sarebbe stata organizzata la guerriglia che avrebbe dovuto diventare più rapida e veloce nelle sue azioni evitando il pericolo dei grandi concentramenti.
Dobbiamo riprendere il cammino e lasciare la boscaglia. Per nostra fortuna i colpi che ci avevano sfiorati poco prima furono gli ultimi di quel rastrellamento.
Riprendiamo quindi il nostro viaggio. Durante il rastrellamento, pur tra difficoltà enormi era stato mantenuto il contatto tra i vari gruppi partigiani ed il Comando e questo grazie ai corrieri, alle staffette partigiane ed alla collaborazione degli abitanti della zona che non solo offrivano ospitalità ma anche informazioni preziose per la nostra salvezza.
Il 3 settembre ci rimettiamo quindi in moto per tornare in val Trebbia: il maltempo e la nebbia ci fermano a Sella dove veniamo sistemati dal prete in alcuni magazzeni della chiesa. Tutti raggruppati al coperto discutiamo questa nostra esperienza e ci comunichiamo le nostre impressioni: siamo più sereni.
Nella notte del 5 settembre scendiamo da Ottone: passiamo in prossimità della caserma ora occupata da fascisti ed alpini che i tedeschi hanno lasciato a presidiare la zona.
Siamo rimasti un centinaio di persone ed alcuni quadrupedi carichi di materiale diverso. Ci trasciniamo dietro anche un cavallo bianco che le lingue maligne dicono Marzo cavalcherà per entrare in Genova liberata.
E' una notte chiara; i partigiani sono ai lati della colonna che comprende prigionieri, membri del comando, corrieri e servizio di intendenza. Badoglino, giovanissima staffetta, ha fatto da battistrada e attraversato il Trebbia ci segnala che la via è libera. Dobbiamo sfilare vicinissimo alla caserma buia e silenziosa.
E' impossibile pensare che cento persone più i muli possano sfilare in quel silenzio assoluto senza che nessuno se ne accorga. Mi aspetto da un momento all'altro lo scoppio di un'arma: ai bordi della colonna i partigiani hanno il mitra puntato. Sfiliamo lentamente: entriamo nel letto del fiume quasi asciutto, sorpassiamo una passerella e siamo sull'altra sponda ricca di piante frondose che sembra ci vogliano accogliere e proteggere. Guardo verso il fondo, al gruppetto dei partigiani che chiude la nostra fila, temo ancora lo scontra ma tutto è silenzio.
I fascisti e gli alpini della caserma probabilmente hanno preferito evitare lo scontro, perché non è possibile pensare che il nostro passaggio non sia stato avvertito.
Saliamo verso l'Antola e ci fermiamo un giorno a Bertone. Gli abitanti ci informano e le staffette che giungono man mano da direzioni diverse confermano come tedeschi e fascisti stiano ritirandosi. Hanno lasciato agli alpini del Monterosa il compito di presidiare la vallata e di tenere la zona pulita dai "ribelli".
Gli alpini della divisione Monterosa sono stati addestrati dai tedeschi per la controguerriglia; in buona parte provenivano da campi tedeschi dopo la disastrosa ritirata del Don. Un battaglione era stato dislocato in Valtrebbia e mentre una parte era rappresentata da fanatici fascisti, l'altra era invece formata da alpini che avevano accettato di farne parte con l'intento di tornare alle loro case. Avvenne così che giorno per giorno le file del Vestone (nome del battaglione) si assottigliavano mentre i fascisti resi ancora più accaniti e rabbiosi si sfogavano bestialmente su quanti capitavano nelle loro mani.
Da Bertone saliamo alle Capanne di Carrega da Driulin e sua moglie Lina: ci vorrebbe un poeta per cantare la bontà, l'eroismo, il coraggio di questa gente che con tanta grandezza e tanta umiltà partecipa alla Resistenza e che offre ai primi "sbandati" che giungono al casone aiuto e collaborazione.
In questo lungo andare avevo l'occasione di stare spesso vicino a Pieragostini e a Luigi dai quali avevo avuto tutte le informazioni di quanto avveniva a Genova, difficoltà successi e insuccessi della organizzazione clandestina. Spesso io pensavo alle donne che avevo lasciato e ai rischi che correvano e mi ritenevo fortunata di trovarmi in formazione. Pieragostini aveva voluto dei ragguagli sul lavoro da me svolto prima di andare in montagna ed io gli avevo raccontato di un incontro avuto in Sampierdarena con una compagna che rientrava dalla Francia e seppi così da lui che si trattava della moglie e come lei aspettasse un figlio. Mi confessò che sperava che fosse una femmina e somigliante alla madre perché, disse ridendo, "ci avrebbe guadagnato". Era partito da Genova con un paio di scarpe autarchiche da città. Le asperità del terreno, il lungo vagabondare per quei monti scoscesi gli aveva provocato una escoriazione al calcagno. Io lo vedevo zoppicare ma non osavo chiedere il perché. Vedendolo stentare e soffrire sempre di più alla fine glielo chiesi e gli feci togliere la scarpa: gli si era formata una piaga spaventosa che per fortuna potei curare con il materiale da medicazione che mi portavo sempre dietro nello zaino. Era molto gentile e continuava a ringraziarmi ed a congratularsi perché ero stata previdente appena si era parlato di rastrellamento a riempire uno zaino di tutto quanto fosse possibile ed utile. Fui felice grazie all'acqua ossigenata e alla polvere di xeroformio di vederlo guarire abbastanza rapidamente e poter tranquillamente infilare le sue scarpe per tornare a Genova accompagnato da Nicola, il bravo corriere della nostra zona.
Anche il generale Rossi tornò in città per altra strada e con un altro corriere: mi è rimasto di lui il ricordo di un compagno che visse con noi quel tempo senza albagie e in tutta umiltà.
Luigi fu l'ultimo a partire: eravamo ormai a Carrega dove Marzo e Miro avevano trovato la casa per ospitare il comando della sesta zona operativa che nasceva dal travaglio di quel rastrellamento.




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Manlio Calegari

Cara Marietta, Caro Professore

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Indice
Premessa
4 marzo 1987
12 marzo 1987
20 marzo 1987
Il partigiano Fran
Caro Piero
4 maggio 1987
5 maggio 1987
Pro-memoria
Sestri 8 maggio
13 maggio 1987
Sestri 12 maggio
Sestri 26 maggio
3 giugno 1987
16 giugno 1987
17 giugno 1987
25 agosto 1987
10 ottobre 1987


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