6. La classe operaia va nel diner Ore 8.30, colazione in un diner in Baum street. Il diner è un'intersezione culturale fra un bar,
un ristorante e un fast food. È sempre aperto. C'è sempre qualcuno a mangiare.
C'è sempre qualcuno a servire. La mattina assume probabilmente luci e
vesti più umane (come direbbe Fantozzi). Si entra, si aspetta che un cameriere
vi faccia sedere ad uno dei tavolini sui divanetti similpelle color cotto
rustico (zona fumatori: va scelta per partito preso per reazione a una
società che individua di volta in volta i suoi untori e su di loro apre
il fuoco senza alcuna mediazione), si ordina una tazza di quel genere
di caffè che gli americani si portano sempre dietro nelle loro gigantesche
mug (megatazze plastificate con tappo antisgocciolo) come una coperta
di Linus, magari anche un bagel (che è una ciambella di pane commestibile
solo se tostata, a meno che non si desideri un'estrazione dentale senza
anestesia) Ma i veri autoctoni si fanno fuori anche due uova strapazzate,
carne tritata e patate e ketchup, o pancake con sciroppo. Nell'attesa si può inserire
una moneta nei piccoli giubbox che affiancano ogni divanetto. Con un
quarto di dollaro si può provare l'amena sensazione di avere Presley che
ti urla tenere parole nell'orecchio. Intorno, non si vedono i giovani
scapestrati reduci da notti brave che usano frequentare i nostri bar certe
mattine; l'età è ben alta, e per vivacità spicca un quintetto di signore
middle-class, bianche cotonate smaltate e healthy - letteralmente "in
salute", di fatto grassoccie, una di quelle parole che mostrano come sia
facile dall'eufemismo cadere nell'ossimoro. La donna che ci serve non è
molto diversa da loro, salvo il fatto che ha più di 65 anni e che deve
lavorare anche alle 8 di domenica mattina, perché nella sua vita ha
probabilmente collezionato una sfilza di lavori di merda (shity jobs) e
non ha una pensione. O meglio, avrà forse la pensione sociale con cui non
si riesce neppure a fare la fame. Se questa donna dovesse scivolare sul
grasso con cui condiscono le poltiglie di patate, mais e carne scodellate
già di prima mattina e si rompesse un braccio, dato che probabilmente non
ha un'assicurazione sanitaria, sarebbe comunque curata d'urgenza dai
medici del pronto soccorso, trattandosi di un'emergenza, salvo ricevere
poi a casa un rendiconto astronomico. Eppure questa donna sorride. È
gentile, efficiente, servizievole. Non penso che sia solo la mancia, che
qui si aggira sul 15 per cento del conto, e su cui in effetti i camerieri
devono fare affidamento. È questione di cultura. Gli americani sono noti
per essere dei gran lavoratori. I pittsburghesi sono noti per essere i più
grandi fra i gran lavoratori. Ogni stato, ogni città, anche il più
provinciale agglomerato di abitazioni cagate in un campo di mais del
Midwest deve avere il suo piccolo primato, non importa quale: noi abbiamo
più ponti, noi l'edificio più alto, noi i negozi più grandi, noi siamo i
più giovani, noi i più grassi, noi quelli che crepiamo di più per troppo
lavoro, e così via… ma non troverete mai, dico mai, qualcuno di qualsiasi
posto che dica: noi siamo i più tristi. La tristezza, per gli americani, è
solo una categoria cinematografica da giustapporre, per un miglior
effetto, al lieto fine. |
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