7. Di-vagando
Mentre aspetto, in una macchia di sole
che lentamente mi sfrigola in quel sudore torpido delle estati mediterranee,
che passi infine, dopo quasi quaranta minuti, l'autobus diretto allo Strip
District, non posso fare a meno di considerare la natura bizzarra di questo
paese. Il cuore pulsante - ma forse dovrei dire il megachip, il chip di
tutti i chip (quasi lo spot di uno snack) - dell'economia mondiale si
può ben permettere scarti, sprechi e impensabili inefficienze.
A parte la scarsezza di autobus, mi dico contemplando in controluce la
Cattedrale dell'Apprendimento, che si erge sui suoi 42 piani che vanno
assottigliandosi goticamente - il più alto edificio scolastico
del mondo dopo, si dice qui a denti stretti, l'università di Mosca
- e che di socialista-realista ha l'affumicatura rimasta sul lato esposto
alle defunte acciaierie; scarsezza di mezzi, mi dico, giustificata dal
fatto che tutti usano la macchina, e che non c'è motivo di aumentare
i trasporti pubblici per i pochi utenti della domenica - studenti squattrinati,
neri, poveri o sfigati che siano. A parte dunque le attese alla fermata,
è proprio il funzionamento intrinseco del bus che si rivolta a
un tempo contro ogni logica dell'economia classica e del buon senso. Innanzitutto: l'uso dell'aria condizionata.
Questo lusso è controbilanciato dal suo stesso abuso, per cui si
viaggia in queste celle frigorifere come tanti prosciutti (e alcuni viaggiatori
invero si avvicinano a simile stato dell'essere) rischiando ogni volta
di mettere alla prova la propria assicurazione sanitaria invece, che so,
di aprire i finestrini e godersi la brezza cinico-indotta. Sperperi energetici
a parte (devo specificare che d'inverno ci si squaglia dal caldo?) c'è
poi la questione della gestione degli spazi. Malgrado ogni bus sia dotato
di uno stupefacente sistema automatico per far salire anche persone in
carrozzella o disabili di varia natura, l'ostacolo principale a ogni razionale
uso degli spazi risiede proprio nelle porte. E qui vi chiedo tutta la
vostra attenzione: ogni bus è fornito di due porte; si entra da
quella del guidatore e si esce da quella del guidatore. A che serve la
porta al centro? Mistero. Un mistero che suscita irritazione quando si
viene a sapere del meccanismo di pagamento: si paga al guidatore all'entrata
se l'autobus sta andando in direzione downtown (ma solo fino alle 13);
oppure si sta andando via da downtown, e allora si paga quando si scende
(ma solo fino alle 13). Dopodiché i sensi s'invertono, e al cospetto
del novizio si apre una serie combinatoria di possibilità, che
fa sì che, comunque sia, ci si predisponga a pagare (che è
poi la filosofia di questa società). Il tutto innaffiato dalla
friendly discrezionalità di conducenti (veri e propri duci che
stanno sulla loro poltroncina a molla assisi in un'aura di gloria e universale
rispetto, senza sudare, imprecare o litigare come fanno quegli infelici
di casa nostra. Ma mi sono persa per strada
) Il nodo centrale di questo groviglio
legislativo in cui s'incrociano il diritto consuetudinario, quello statale
e l'intraprendenza dello yeoman sta nella relazione fra le due porte:
e cioè a dire che in ogni caso, che l'autobus sia pieno come un
uovo o deserto, che raggiungere la porta davanti sia facile o piacevole
come passare attraverso i rulli compressori di un auto-lavaggio, comunque
si esce sempre dalla porta del guidatore. La seconda resta eternamente
chiusa nel suo segreto. Inattingibile. Che sia perché, accanto
al biglietto, si deve pagare al deus ex-machina un compiacente sorriso? Ad ogni modo, approdai allo Strip,
infine. Lo Strip (nomen omen) è una striscia di terra fra il fiume
Allegheny e la Collina (the Hill) - un quartiere nero librato sopra il
centro cittadino, conosciuto negli anni '50-'60 per un breve rinascimento,
ed oggi per la sua cattiva fama. Lo Strip invece non conosce case, ma
edifici bassi e lunghi, fratelli maggiori dei tir e dei camion bassi e
lunghi che li costeggiano. In mezzo a questi piazzali enormi e apparentemente
abbandonati, tra pile di cassette e pneumatici, s'intravede il fiume,
mentre la fuga diritta della strada è bloccata dai grattacieli
di downtown (la city). In fondo, nel pulviscolo caldo dell'aria, un grande
tabellone pubblicitario in cerca di pubblicità, come recita la
sua scritta parodiante un annuncio matrimoniale: "tabellone single
e piacente cerca bello e simpatico spot". Come aveva capito Warhol
- pittsburghese fuggito a New York, come incautamente ricordano le stesse
guide turistiche cittadine - la tautologia è la vera arte americana
(dopo quella dei nativi). Tuttavia, se si continua a camminare
fra questi edifici, la strada improvvisamente acquisterà vita,
persone e rumori, mercati, café, negozi e profumi. E, soprattutto,
lingue di tutti i tipi. E poi stampe e foto della Pittsburgh infernale
degli anni'50, tutta fumi e fiamme industriali; e ancora, gli onnipresenti
berretti degli Steelers, i maglioni di lana nepalesi, le granite e i falafel,
i cd di mazurche e di Nino D'Angelo, le creme naturali e il parmigiano
reggiano. >Così, nelle mattine del fine
settimana, si viene allo Strip non solo perché frutta e verdura
sono più fresche ed economiche, ma anche perché questo rettangolo
di cemento senza nulla intorno, coi suoi tavolini all'aperto e il suo
sgomitare di gente, è la cosa più vicina, in tutta Pittsburgh,
all'Europa. Ed anche perché, dopo aver fatto
la spesa e aver attraversato la corrente scalcinata e querula di persone,
si può andare al Café italiano che spande aromi dolciastri
e proverbi italiani scritti ogni giorno sulla lavagna; di modo che, mentre
si sorseggia il cappuccino all'ombra del "primo sole" e si osserva
la gente passare, quattro vecchi italoamericani bestemmiano una partita
di scopone, e può capitare di scoprire che il proprietario del
bar s'intende di letteratura italiana, e che conosce pure Sanguineti.
(E dunque, per la legge della donna avvisata mezza salvata, mi sto dedicando,
fra un libro e l'altro, allo studio dei processi di torrefazione. Nella
vita non si sa mai
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