23. Bus di razza
- Allora, come ti chiami? - insiste per l'ennesima volta
il nero seduto due posti più in là, rivolto a una ragazza
turca. Circa l'una di notte, il solito bus che attraversa i quartieri bianco-varichina
per approdare ai suburbi neri dell'est di Pittsburgh. L'automezzo è
pieno di gente e la scena si svolge verso il fondo, dove un uomo dai probabili
trentacinque anni mal portati, semisdraiato su due sedili, rilascia disordinatamente
parole, schizzi di saliva e zaffate di alcol. Le braccia si muovono seguendo
la sincope delle parole, dei fuck e di altri strascichi inafferrabili.
La ragazza turca sta impalata senza battere ciglio. L'autobus è pieno di voci e risate, gruppi di giovani che rientrano
dal centro. Il tipo continua a sproloquiare alla ricerca di interlocutori,
ma conserva un'aria innocua. Dice qualcosa nella nostra direzione e non
possiamo fare a meno di ridere. - Che c'è da ridere? ridete di me? eh? che c'è di tanto
divertente? - La voce s'è inasprita, il busto si sporge e si agita
sul sedile. Nessuno osa guardarlo in faccia, cala il silenzio. - Sì certo, è che sono nero eh? cazzo, è questo il
problema, gli sbirri ti fermano come ti vedono, gli uomini ti evitano,
le donne ti respingono, no? che cazzo, non è cosi? eh? - - Ma di che cazzo stai parlando? - Era da due minuti che lo osservava con un sorriso sulle labbra, e poi
ammiccava complice nella nostra direzione: un giovane dai lineamenti messicani,
l'aria da studente-lavoratore, la disinvolta sicurezza di chi conosce
il fondo ma ne è fuori. - Allora, si può sapere di che cazzo stai parlando? - gli mimica
di nuovo con un sorriso canzonatorio e amichevole. Il nero resta interdetto
per qualche secondo. - Allora, qual'è il tuo problema, eh? - - Tu non sai che dici - si riprende il nero, intermezzando le parole con
una moltitudine di fucks - che ne sai tu... - - Ehi, amico, io sono messicano, d'accordo? e mia nonna era nera, sì,
hai sentito bene, e quindi non venirmi a parlare di discriminazione, piuttosto
smettila di lagnarti - - Ma che cazzo dici? - urla il tipo alzandosi di scatto verso il giovane.
Anche questo si alza e i due si fronteggiano mentre il bus si ferma. Entrambi urlano velocissimi parole incomprensibili, metà del bus si vuota, anche perché la fermata è l'ultima del quartiere middle-class, la conducente nera non si muove dal sedile, solo urla anch'essa in direzione del nero dallo specchio retrovisore, il bus resta fermo per altri cinque minuti. Poi tutto svanisce in un secondo, la gente si risiede, il bus riparte e il nero si addormenta, la testa che batte contro il finestrino.
Tre del pomeriggio, stessa linea. Un tipo sui quaranta-cinquant'anni
sta seduto tra le prime file, strascicando lentamente in giro lo sguardo
offuscato. Assomiglia a Eddy Murphy. Si rivolge a una ragazza seduta vicino, ma questa risponde con un monosillabo
e guarda fuori dal finestrino. Si sporge verso una donna seduta di fronte:
- Scusi, scusi miss
-, ma questa assume la tipica espressione a
mandibola serrata e occhio distante. Si rivolge a me: - Hai un dollaro?
- - No, mi spiace - rispondo, pensando che ne ho appena ritirati trecento
dalla banca. Frustrato, ricomincia il giro da capo, quando irrompono una decina di
ragazzette in divisa da high-school, gonnelline e maglioncini, e gli si
assiepano attorno, quasi intimidendolo. Lui resta meditabondo per un po', poi apre l'impermeabile e tira fuori
qualcosa. Si rivolge a una ragazza. Un nero vicino a lui, dall'aria molto
per bene, che sta giovialmente parlando con un altro tipo bianco, lo vede
e gli dice bruscamente di smetterla. - Che vuoi? - risponde offeso l'altro. - Mi vuole picchiare
- dice poi rivolto a un'invisibile platea. - Mi vuole picchiare - ripete,
- sarà dura scendere da questo autobus senza essere picchiato,
non so se ce la posso fare -, continua così, a martello. Poi si cheta e di nuovo tira fuori qualcosa dall'impermeabile: sono due
tappi di plastica, uno grande bianco, l'altro piccolo nero. Li mostra
alla ragazzetta lentigginosa in piedi di fronte a lui. Mette il nero sul
palmo della mano, poi lo copre con quello bianco, infine tira su il bianco,
e, voilà, il nero è sparito. - Magia - dice sorridendo alla ragazza.
- How are you today? -, mi dice l'autista mentre
gli mostro il tesserino dell'università e i suoni striduli della
macchinetta che registra gli ingressi si ripetono dietro di me in una
lunga fila di studenti diretti verso casa. Spinta dall'onda invisibile che avverto alle mie spalle mi dirigo subito
verso il fondo dell'autobus, dove le due file di sedili si uniscono a
formare un salottino. Oltrepasso varie persone in piedi appese ai ganci
e trovo che nel cantuccio del fondo ci sono ancora dei posti vuoti. Declino gentilmente l'offerta e per togliermi dai piedi e dall'imbarazzo
occupo uno dei rimanenti posti vuoti, meditando sulle due contrastanti
possibilità del mio ineluttabile invecchiamento e dell'americana
indisputabile opaca persistenza del segregazionismo. Circondata da quello che un certo sub-immaginario televisivo ha reso viventi
caricature, immersa nella sensazione di essere non bianca, ma invisibile,
trasparente, mi soffermo con evidentemente morbosa curiosità ad
osservare i miei compagni di viaggio. Alla mia destra sta un tipo immerso in completo nike e martellato dal
rap del suo walkman, sprofondato nella giacca, impermeabile a ogni sollecitazione
esterna, come quelle della ragazza che gli sta a fianco e che, tuta nera
e forme straripanti, lo guarda con occhio tigresco e gli rivolge domande
che lui, puntualmente, non sente. Più in là sta una donna che, con le enormi unghie vermiglie
divora pollo fritto del burger king, spostando di tanto in tanto il ciuffo
biondo ossigenato e congelato in una spirale di gel dal ciuffo rame bruciato,
dagli orecchini-lampadario, dalla frangia calcata stile elmo di marine
sulla fronte fino a sfiorare le due bande azzurre di matita che congiungono
gli occhi alle tempie. Alla mia sinistra sta invece una donna nera minuta
(quasi un ossimoro, data la compattezza del blocco razza-classe- educazione-peso),
in tuta, berretto e occhiali proletari, rannicchiata nel mondo dei sogni. Nel mezzo della mia osservazione arriva un'altra ragazza (bianca) e si
mette in piedi dove ero io prima, di fronte al tipo mezzo addormentato:
questi si risveglia un attimo dal torpore, alza gli occhi e meccanicamente
le chiede: - Ti vuoi sedere? - |
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