Caduta e fuga: 2a, 2b, 2c, 2d, 2e, 2f, 2g, 2h

L’alleanza tra Barberini e Francia

Il mutato atteggiamento francese nei confronti dei Barberini fu subito percepito in Roma. Come scriveva Angelo Contarini il 15 aprile, «sperano Barberini in questi torbidi e disgusti della Corona di Francia col Pontefice di riacquistare la gratia e prottetione di quelle Maestà confidandosi massime molto nell’abboccamento che dovrà seguire fra li Cardinali Mazzarini e Valansé».[1] Lo stesso giorno un avviso analogo trasmetteva al suo governo l’agente genovese: «già si vede che tutta la colpa delle cose seguite nel passato conclave s’imputa al Cardinal Theodoli».[2] Ma presto si sparse la voce che anche il Cardinale Teodoli si apprestava a partire per Parigi per riconciliarsi con la Corte «cosa che si crede possi facilmente riuscire havendo massime rinonciato il suo vescovato d’Imola con disegno in questo mentre di ritirarsi a Santo Vito luogo del marchese suo fratello».[3] La situazione, però, non era così semplice: «Vedo la perplessità in che bisogna continuare de’ negotiati del Signor Cardinale di Vallenzé», scriveva Antonio a Francesco il 1° maggio, «ma il tempo non ci può far desiderar di vantaggio».[4]
All’inizio di giugno Valençay rientrava a Roma lasciando intendere che le cose dei Barberini in Francia stavano mettendosi per il meglio. «Per quanto si vocifera, porta egli buone nuove a favore de Barberini, non già perché questi sian protettori di Francia, ma bene per esser ricevuti essi in protettione di quella Corona, per adesso». I Barberini tornavano ad ostentare sicurezza: «van fastosi più dell’usato, si fan vedere per Roma affettando con sollecita et non ordinaria maniera la pompa di numerosi corteggi di carrozze quando vanno alle pubbliche funtioni di Palazzo, divulgandosi da parteggiani loro esser questa l’aurora del lor risorgente sole» [5].
In realtà Valençay aveva lasciato la Francia un po’ deluso, senza che i molti problemi sul tappeto avessero trovato una vera soluzione. Le trattative procedevano, ma non spedite, «publicandosi che si vadino maturando le cose a profitto di questa Casa, per publicarle poi tutte in un tratto secondo l’opportunità».[6] Si trattava sia a Roma sia a Parigi, per dove il primo di aprile era partito Bichi. A Roma ai negoziati, oltre a Valençay, partecipava in veste di mediatore l’ambasciatore di Savoia (che forse si era mosso in questo senso sin dal febbraio) e, per conto di Mazzarino, Zongo Ondedei.[7] Una delle difficoltà che ritardavano la conclusione dell’accordo era appunto la questione, accennata da Contarini, della protezione di Francia, che Antonio non voleva cedere al Cardinale d’Este, che fin dall’ottobre del 1644 aveva brigato per ottenerla.[8] Un’altra e più importante pare che fosse «il maritaggio preteso da Mazzarino» e negoziato dal Valençay tra Carlo, figlio di Taddeo, e una delle nipoti di Mazzarino, giacché «non inclinava Barberino ad ammogliare un pronipote di Papa Urbano (come gli pareva allora) sì bassamente».[9] C’erano infine delle difficoltà di carattere finanziario, almeno in parte legate all’acquisto dello stato di Montelibretti dagli Orsini, ma dietro le quali non è escluso che si nascondessero, almeno da parte di Francesco, riserve di natura essenzialmente politica.

«Vado subodorando», scriveva Contarini il 22 luglio del 1645, «che la dilatione, anzi una delle maggiori difficoltà che versi nel negotio de Barberini con Francesi sia che questi per haver quelli sempre legati voglino che da essi sia comperato uno o più Stati in Francia e che di questa maniera si guadagnino, per così dire, a peso d’oro la protettione di quella Corona, ma che all’incontro Barberini medesimi se ne mostrino difficili con addurre l’impossibilità di far quest’esborso, stante la necessità che hanno havuto d’investir molto denaro in diverse terre dello Stato Ecclesiastico.[10] Non si resta però di negotiare hinc inde e la maggior parte del giorno e della notte a quest’effetto Valansé si trattiene in casa del Cardinale Antonio [...] sperandosi nel rimanente molto frutto in ciò da negociati che haverà havuti in quella Corte il Cardinale Bichi».[11]

Mentre le trattative con la Francia mostravano di andare per le lunghe, a Roma, contro i Barberini, era cominciata per davvero la campagna persecutoria da tempo annunciata. Il Cardinale Antonio si convinse della necessità di riprendere di persona i negoziati per condurli, senza intermediari ma soprattutto, forse, senza le reticenze e le doppiezze di Francesco, a conclusione. [12] A questo fine, come scriveva all’abate Gio Antonio Costa il 9 settembre, si era preoccupato di ottenere dalla Corte di Parigi l’autorizzazione a trasferirsi in Francia:

«perché tutto ho creduto e credo facile ad aggiustarsi molto più con l’abboccarmi col Signor Cardinale Mazzerini che col farne trattar per altri et più spedita la conclusione, mi esibii di portar me medesimo in Francia nel modo che più fusse piaciuto a Sua Eminenza di significarmi». [13]

Venti giorni più tardi (il tempo, ritengo, di ricevere l’assenso di Mazzarino) Antonio abbandonava Roma.




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[1] ASVe, DAS, Roma 122, c. 207r. Sull’incontro tra Mazzarino e Valençay Battista Nani mostrava di saperne parecchio: «A Villeroy l’abboccamento è seguito e secreto», scriveva il 4 aprile, «cenato li due cardinali insieme la sera et il giorno seguente trovatisi a pranzo. Le accoglienze, le lusinghe son state abbondanti, non tralasciato alcun testimonio di stima et d’affetto giocando gl’ultimi tratti la simulatione dell’uno et dell’altro. Machine e rigiri non hanno mancato, ma la sostanza è che le scuse de Barberini son accettate et messo in piedi con loro negotio del quale Valanzé è cautione e mezzano. Tutto questo tende senz’altro a far paura al Papa, l’amicitia del quale sarà sempre preposta a quella de’ Barberini, ma quando con la Santità Sua non vi sii fondamento per poter stabilir confidenza, si stringerà con quest’altri» (ASVe, DAS, Francia 102, c. 71r-v).

[2] ASG, AS 2355, avviso del 15 aprile 1645.

[3] ASVe, DAS, Roma 122, cc. 213-214, foglio di avvisi allegato al disp. 49 del 22 aprile 1645. Teodoli però fu autorizzato ad alzare sul suo palazzo le insegne di Francia solo nel giugno del 1646.

[4] BAV, Barb.lat. 8800, c. 30r, 1° maggio 1645.

[5] ASVe, DAS, Roma 122, cc. 249r e 319v, 10 e 24 giugno 1645.

[6] ASVe, DAS, Roma 122, c. 256, 17 giugno 1645. Alla vigilia della partenza scriveva a Francesco: «procu[rai] me se mandasse qua monsieur de Lionne principale et quasi un[ico] ministro del Sig. Cardinale Mazarini col quale trattai quello have[vo] in commissione da lei. Tornò poi qua un’altra volta detto mon[sieur] de Lionne e non portò ancora per all’hora i dispacci del Sig. [Card.] Mazarini quali ho havuto d’aspettare e gl’ho ricevuti hoggi solamente. Vostra Eminenza vedrà dall’annesso foglio inciffrato quel [che] io ho negotiato il che se è stato con poca fortuna è stato con grandissimo mio disgusto come non credo Ella ne stii in dubio. P[arto] in questo stesso punto alla volta di Roma dove credo d’arrivar presto e spero esser più habile a servir a Vostra Eminenza conforme a gl’oblighi miei. Riporto meco tutte le lettere tanto sue quanto del Sig. Cardinale Antonio...» (BAV, Barb.lat. 7952, c. 223r, 15 maggio 1645).

[7] Nel maggio del 1645, quando Grémonville si apprestava a lasciare Roma in segno di protesta per le ripetute offese alla Francia culminate con gli incidenti di Ripetta, Contarini raccoglieva la voce che Madama Cristina avesse offerto ad Antonio i suoi buoni uffici per la riconciliazione della sua Casa con la Corte di Francia (ASVe, DAS, Roma 122, c. 235r, 6 maggio 1645). In un biglietto da Genova del 4 ottobre 1645 Antonio pregava l’abate Gio Antonio Costa di scusarlo con l’ambasciatore di Savoia «per non avergli prima di partire communicata la resolutione del mio viaggio». Ondedei è nominato in una lettera di Antonio Barberini all’abate Costa del 9 settembre 1645 (BAV, Barb.lat. 8806, cc. 1-4). L’abate Costa era uno dei più stretti collaboratori del Cardinale Antonio e nel 1655 fu suo conclavista.

[8] Quando Antonio era stato privato della comprotezione di Francia, i primi aspiranti al titolo erano stati Rinaldo d’Este, in procinto di passare dal partito austriaco al francese e il Cardinale Virginio Orsini, le cui profferte il Grémonville ebbe ordine, già nelle istruzioni del dicembre del 1644, di declinare (Arnauld, I, pp. 76-77). Sulla questione della protettoria di Francia a Rinaldo d’Este vedi Simeoni, pp. 58-61 e 67-70. Cfr. in ASM, DP, 431 il Parere del marchese Tassoni per entrare nel partito di Francia dal Sig. Cardinale d’Este (senza data; incipit: “Li negotiati di Francia...”) e, circa l’evolversi delle trattative, la corrispondenza tra Francesco I, Rinaldo e l’agente a Roma (ASM, CP, 102-103, 229-230 e CA, Roma, 249): sembra che l’idea del passaggio alla Francia di Rinaldo (ma non ancora del Duca Francesco) fosse nata assai per tempo (Simeoni pp. 60-61 parla dell’ottobre 1644), e che il primo a scriverne in Francia fosse stato mons. Bentivoglio. Ma un ruolo importante sembra averlo avuto Maurizio di Savoia (vedi per es. ASM, PE, Roma 1393/132, Lettere di Mazzarino a Francesco e Rinaldo d’Este, 15 luglio, 13 e 31 dicembre 1645). L’incertezza sul buon esito dell’affare durò però in Rinaldo sino alla fine 1645. Il Cardinale Antonio, dal canto suo, non disperava di recuperare il titolo di Protettore e dopo la fuga da Roma cercò di impedire la conclusione dei negoziati tra Rinaldo e la Francia: «il modo», suggeriva a Francesco il 31 ottobre da San Remo, dove si era fermato nel corso del suo lento viaggio verso Parigi, «è che gli Spagnoli diano presentemente denari all’Ambasciatore dell’Imperatore, che gli dia al Cardinale d’Este  et altre mercedi si vedano vicine [...]. Anco il differire opererebbe [...]. Se si proponesse dall’Ambasciatore dell’Imperatore al Cardinale d’Este di aspettare un tempo determinato per esser provisto e dopo quello restar libero, non so come il Cardinale potesse negarlo». Alla fine Antonio si rimise, né poteva fare diversamente, alle decisioni di Mazzarino: «Della protettione», scriveva l’8 dicembre a Francesco Buti che lo aveva preceduto a Parigi, «non ho da volere, né dir altro, se non quello le medesime Maestà vorranno, ma credo ci sia forsi modo di agiustar le cose anche senza sodisfatione cattiva del Signor Cardinale d’Este. Pure in questo et in ogn’altra cosa devo et voglio non pensarci più di quello mi verrà prescritto di costà et accennato dal Signor Cardinale Mazzarini» (BAV, Barb.lat. 8800, c. 49, 51v, 60r). Tra gli Este e i Barberini c’erano da tempo (oltre quelle, in occasione del conclave, per il ventilato legame matrimoniale tra le due Case) trattative molto riservate relative sia alla questione della Protettoria di Francia sia a una vecchia controversia circa l’abbazia di Pomposa. La lite su Pomposa si risolse nel dicembre con un accordo che prevedeva la permuta di quell’abbazia con Nonantola, accordo che il Papa si rifiutò però di sanzionare. Ancor prima che la cosa diventasse di pubblico dominio il principe Borghese, sempre attivo tra i nemici dei Barberini, aveva tentato di mandare a monte l’intesa cercando di persuadere Rinaldo «che sarebbe stato miglior consiglio l’appigliarsi al partito della lite, che la giustizia della causa era manifesta e che la vittoria havrebbe portato troppo maggior vantaggio», tanto più che era «molto ben informato ch’a Palazzo non sarebbe facile ottenersi il beneplacito nella maniera addimandata» laddove, riferiva Rinaldo a Francesco I, in caso «d’un formale giudizio [...] si troverebbe un’ottima disposizione a vantaggio nostro». Alla replica di Rinaldo che l’affare, concluso con piena soddisfazione delle parti, non poteva onestamente essere rimesso in discussione, il Borghese «scoppiò in dire che forse si haveva havuta intentione mediante questo accordo di stringer unione co’ Barberini non solo per lo presente, ma anche per operazioni c’hanno relazione all’avvenire». Il che era proprio vero e l’avance di Borghese non aveva probabilmente altro scopo che di accertarlo (ASM, CP, 230, Rinaldo a Francesco I, 2 dicembre 1645; cfr. ASVe, DAS, Roma 123, c. 130, 16 dicembre 1645).

[9] Brusoni 1661, pp. 443-445. «Succedendo il parentado», aveva detto Valençay a Malatesta Albani al suo ritorno in Roma, prima ancora di presentarsi al Papa, «Vostra Eminenza [il Cardinale Barberini] assieme con i Signori suoi fratelli saranno assolutamente arbitri delle cose di Francia in questa Corte». La nipote destinata a Carlo era Laura Martinozzi, su cui vedi gli accenni nel paragrafo dedicato a Cesare Magalotti dell'appendice II. La scelta di una Martinozzi era stata suggerita da Giovanni Nicolò Tighetti, ascoltato consigliere dei Barberini, «perché», aveva detto allo stesso Albani, «non vi sono né fratelli né zii né vi essendo altro che il Signor Vincenzo e perché anche non si haverebbe altri attorno che l’istesso Signor Vincenzo persona di quel garbo e modestia che è nota all’Eminenza Vostra» (BAV, Barb.lat. 8000, c. 120, Malatesta Albani a Francesco Barberini, 9 giugno 1645). L’ipotesi di una forte reticenza dei Barberini (o piuttosto di Francesco) a imparentarsi con Mazzarino e a legarsi alla Francia è condivisa da diverse fonti ed è stata ripresa da Coville, pp. 69-72. Cfr. Tornetta, 1941, III-IV, p. 107. Fonte comune parrebbe essere l’Istruttione data dall’Em.mo Cardinale Barberino al padre Mignozzi teologo del Signor Cardinal Antonio per la Corte di Francia (incipit: “Mandai primieramente...”) che Siri, Mercurio  V, 1655, I, p. 364, giudica prodotto della «risoluta irresolutione in somiglianti pratiche del Cardinale Barberino» ma che Raffaele Della Torre considerava «artificio del Signor Cardinale Barberino» per «uccellare» i suoi avversari e «per potere al coperto di essi far meglio i fatti suoi senz’essere impedito». Non è detto che non fosse insieme entrambe le cose.

[10] Anche dell’impossibilità in cui si trovavano i Barberini di fare importanti acquisti in Francia si parlava nell’Istruttione citata alla nota precedente. Si trattava di difficoltà reali o almeno facilmente credibili: oltre all’oneroso acquisto di Montelibretti, avevano contribuito a determinarle le numerose elargizioni fatte o promesse nel tentativo di recuperare alla Casa le simpatie delle corti europee. Ho ricordato l’offerta all’Imperatore di 500.000 scudi e di quella di Antonio di mantenere cinquecento soldati per otto mesi in un’eventuale lega contro il Turco. Di altre analoghe proposte esistono qua e là tracce (alla Repubblica di Venezia, per esempio, ma più tardi e per ottenere l’ascrizione alla nobiltà veneta: BAV, Barb.lat. 8802 c. 30, 31, 37, 71, 84 e 8806, c. 29). In cambio della protezione francese il Cardinale Barberini doveva impegnarsi ad acquistare in Francia beni per duecentomila scudi, una cifra non piccola (BAV, Barb.lat. 8000, c. 124, 14 ottobre 1645). Vero è, però, che Mazzarino aveva promesso a Valençay che se si fosse concluso il matrimonio tra Laura Martinozzi e Carlo Barberini, avrebbe procurato a questi un Ducato del valore di almeno duecentomila scudi (ivi, c. 120r, 9 giugno 1645) sicché in sostanza ai Barberini l’operazione non sarebbe costata nulla.

[11] ASVe, DAS, Roma 122, c. 379r. L’intervento di Bichi era stato sicuramente importante. Cfr. a questo proposito Mazzarino (Chéruel), II, p. 250, Mazzarino al Card. Grimaldi, 29 ottobre 1645: «Il Sig. Card. Bichi ha contribuito qui in quanto poteva dependere da lui alle rissolutioni in avantaggio della Casa Barberina». Vedi quanto scriveva Bichi il 20 dicembre 1645 a Francesco, che lo ringraziava dei suoi buoni uffici: «rendo gratie humilissime all’Eminenza Vostra del buon concetto che s’è degnata formar dell’ossequio mio in questa congiuntura»; Bichi si era sempre considerato sua creatura e «così in effetto», scriveva, «mi son governato alla Corte» (BAV, Barb.lat. 8680, c. 159 ma in generale cc. 156-162). L’8 dicembre Antonio Barberini aveva scritto a Francesco Buti: «Per quello riguarda al Signor Cardinale Bichi credo poter haver fatto a bastanza conformandomi con li senzi del Signor Cardinale Mazzarini con quello ho scritto a monsignor fratello di Sua Eminenza» (BAV, Barb.lat. 8800, c. 60r).

[12] «Comincio a non intender più niente nel negotio dei Signori Barberini», aveva scritto Mazzarino a Vincenzo Martinozzi il 30 agosto: Mazzarino (Chéruel), II, p. 218.

[13] BAV, Barb.lat. 8806, Antonio Barberini all’abate Gio Antonio Costa cc. 2-3, 9 settembre 1645.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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