Cesare Magalotti: e1 e2 e3

Un uomo dei Barberini (con molte riserve)

Ho avuto occasione di citare più volte il nome di Cesare Magalotti, uno dei personaggi principali di queste note. Cesare Magalotti era un solerte raccoglitore, ma soprattutto un prolifico autore di scritture di Conclave. I codici (spesso autografi) che gli sono appartenuti e che in massima parte si conservano tra i manoscritti chigiani della Biblioteca Vaticana, costituiscono un’ottima testimonianza dei modi di elaborazione di questo genere di scritture e aprono più di uno squarcio sugli ambienti in cui maturavano.[1] Alcuni di quei codici sono brogliacci contenenti minute, a stadi diversi (ma in genere piuttosto avanzati) di elaborazione di testi, alcuni dei quali sono rimasti in abbozzo e mai resi pubblici, altri, invece, completati e messi in circolazione, hanno in qualche caso incontrato, per quel che si può capire dalle copie presenti nelle biblioteche, una notevole fortuna.
Cavaliere di Malta e storico (inadempiente) dell’Ordine,[2] Cesare Magalotti apparteneva per nascita al clan dei Barberini (era nipote del capo della casata, Carlo Barberini, che aveva sposato Costanza sua zia), il che, però, non bastò a garantirgli una brillante carriera. Nel 1625 aveva seguito Barberino nella legazione a Parigi, di cui scrisse più tardi una Relazione diaria, non priva di interesse: bella, ad es. la descrizione di Genova minacciata dall’avanzata dei franco-piemontesi, «ripiena di terrore, di miseria e di spavento», ma anche di rabbia, sicché chiunque vestisse alla francese rischiava di esser linciato; oppure quella della gran folla che a Vienne aveva accolto il Legato, e della calca nella quale diversi membri del seguito, e tra gli altri lo stesso Magalotti, erano sati derubati da borsaioli giunti in gran numero, per l’occasione, da ogni parte del paese: «s’era adunato in Vienna», scrive Cesare, «tutto il cattivo della Francia». Ma proprio nel corso della legazione in Francia gli era morto il padre che, come zio di Barberino, guidava il seguito del Cardinal legato: una perdita irreparabile per lui e per la sua famiglia, a cui si aggiunse, di lì a qualche anno, la disgrazia del Cardinale Lorenzo, confinato nella sua diocesi di Ferrara.[3]
Nel 1629 aveva sperato di ottenere il canonicato di San Pietro vacante per la morte di mons. Aldobrandini, suo zio, ma il Papa gli aveva preferito un altro.[4] Nel 1632 la nomina, su segnalazione del cardinal Barberino,[5] a storico dell’Ordine di Malta non ebbe, a quanto pare, gli effetti sperati: se lui si dimostrò poco sollecito nello svolgere l’incarico affidatogli, la Religione di Malta, lo fu ancor meno nel pagargli gli emolumenti promessi, tanto che nel 1635 Cesare chiese a mons. Chigi, allora inquisitore a Malta, di intervenire in qualche modo in suo favore.[6]
Mi domando se Cesare quella volta si sia rivolto, oltre che a Chigi, anche a un Barberini o a qualcuno della famiglia Magalotti, sempre assai influente nonostante l’allontanamento del cardinale Lorenzo dal centro del potere. Nell’epistolario del cardinale Lorenzo, dove pure compaiono numerosi parenti e affini: Magalotti, Macchiavelli, Vaini, Filicaia, Cesare non è mai nominato e un paio di cenni che sembrano riferirsi a lui non suonano particolarmente affettuosi o lusinghieri.[7] Posso sbagliarmi, ma ho la sensazione che nel clan dei Barberini Cesare Magalotti non fosse particolarmente apprezzato.
Naturalmente era anche la sua impressione. Cesare non nascondeva né la delusione per esser stato così poco e così male impiegato dai padroni, né l’irritazione per la preferenza accordata ad altri servitori, come l’odiato Angelo Parracciani, «l’Angiolo Nero» come veniva chiamato «dal suo natural colore»,[8] meno qualificati per nascita, studi e talento, di lui. Era senza dubbio a Barberino che Cesare pensava quando attribuiva ai nipoti di Papa la tendenza a deprimere le famiglie antiche e a innalzare le plebee per non dividere con altri gloria e potere: «dalla più sordida e vil massa de cortigiani usano i Nepoti di sceglier i confidenti», sperando di riceverne in cambio fedeltà ed obbedienza cieca.[9] Ma, sosteneva, era un’illusione, come dimostrava ad abbondanza il caso Panciroli, «nato di un sarto lombardo spregiato in Roma», «parto mostruoso delle Api Barberine»: parto per l'inopinata scalata sociale che il favore dei Barberini gli aveva consentito, mostruoso per l’ingratitudine con cui aveva ripagato i benefattori.[10]
Nel ’50 Cesare riconosceva ancora la sua dipendenza dai Barberini e dalla Francia perché, scriveva, «sperar non posso alcun avanzamento se l’una non risorge o l’altra d’autorità non cresce», ma, a quanto pare, non aveva gran che da sperare né da Barberino, che preferiva i villani ai cavalieri, né da Mazzarino, che, come padrone, e sia pure per tutt’altre ragioni, dimostrava di non valere molto di più:

«trascurando di far pagare a tutti le pensioni assegnate e dimostrando non haver altro pensiero che di far in Francia grandi li suoi nipoti sprezza la patria, la quale sì come gli ha dato l’essere, così potrebbe anche servirgli per porto sicuro dopo una incerta e dubia navigazione» [11].

Nel ’52 il legame di Cesare con i Barberini, mai rinnegato, appariva più problematico, le critiche a Francesco, capo della Casata, più nette.

«Ho scritto il presente discorso con una penna temperata all’uso de gli huomini da bene […] ma non posso negare di haver havuto nello scrivere un poco di compiacenza percioché tre fini mi ho proposto cioè dir la verità, render qualche profitto così ai viventi come a i posteri e servir alla Casa Barberina e specialmente al Card. Antonio. Sarò forse da qualcuno tacciato di mancamento per haver detto più di quello che dovevo dire e per non haver taciuto quello che potevo tacere. Mi persuado che da i savi sarò scusato e compatito per non haver mai havuto pensiero che questa scrittura si spargerà ne i tempi correnti; ma farei torto alla mia nascita et al talento che Dio mi ha dato se non conoscessi c’havrei potuto e saputo servire i Barberini così bene come qualsivoglia altro, se da essi fossi stato sollevato a condizione e stato di poterlo fare con generosità e intrepidezza, senz’altra paura e timore che di Dio, e con la mia persona non havrei sicuramente oscurato dignità veruna, potendomi anche vantare di haverli serviti e servendoli di haver meritato altro che un mezzo picciolo canonicato, quando a massa hanno dato i più opulenti e principali benefizi a molti villani senza merito e sino a gli Angioli Neri…» [12].

La scrittura in cui esprimeva con tanta asprezza le sue critiche, assicurava Cesare, non era destinata, almeno per il momento, ad esser resa pubblica e forse era vero: ne conosco infatti solo una copia di lavoro, il che mi induce a credere che non sia mai stata messa in circolazione. Ma si trattava pur sempre di una rassegna di cardinali, scritta in vista di un Conclave che si reputava ormai prossimo e alcuni passi della quale (quello, ad esempio, che prevedeva l’elezione di Chigi al Pontificato) si ritrovano nelle Osservazioni al marchese Riccardi di poco posteriori.[13]
Certo non si scrivevano pronostici di Conclave per le generazioni future. È probabile che la scrittura, come altre dello stesso anno, fosse diretta, nelle intenzioni di Cesare, a una ristretta cerchia di amici e sodali, barberiniani critici, sbandati o delusi, le cui riserve circa la politica della fazione si erano già manifestate vivente Urbano e che ora, disorientati dall’ennesima rottura tra Antonio, tutto francese, e Francesco, ormai tutto romanesco e già intento a rientrare, a spese di Mazzarino, nelle grazie della monarchia spagnola, erano, come lui, alla ricerca di una nuova e più sicura sistemazione. Con l’ultima delle scritture del ’52 Cesare cercava di accreditarsi presso i Colonna i cui rapporti con i Barberini erano stati non poco turbati dall’ormai annosa questione della restituzione della dote di donna Anna.[14] In particolare si rivolgeva al cardinale Girolamo

 «un Principe magnanimo e generoso il quale per decoro della porpora e per protezione delle lettere è stato in Cielo impetrato dalla fortuna di questo secolo. Ben nata dunque sarà la mia elezione se questi pochi fogli saranno graditi e letti benignamente da quel Principe, la cui stirpe chiarissima è la vera Colonna della Patria e del nome Italiano, sì come esso è della Chiesa vero sostegno e cardine. Non m’intero qui nelle sue lodi […] ma mi sia lecito in quest’occasione di considerarlo non altrimenti che come Principe Romano et indipendente da ogni altra sovranità, che dalla Chiesa».

Non so quale seguito abbiano avuto le avances di Magalotti, ma è evidente il suo malessere per non essere stato impiegato come avrebbe voluto dai Barberini e un po’ patetico appare il tentativo di fare di necessità virtù, ossia di assimilare, in faccia al Cardinale, la sua condizione di forzato disimpegno all’indipendenza di cui avrebbe potuto vantarsi come storico:

«Perché da niuno di coloro, de quali sono per discorrere io sono stato mai beneficato né a seguir la fortuna di alcuno son obligato, non tacerò quello che di ciascun sento e rappresentando non meno lo stato che le stravaganze de’ tempi correnti non mi allontanerò dalla verità».[15]

A Barberino, «aspro nel trattare, pieno di artifizi e poco atto a conservarsi gli amici», Cesare Magalotti rimproverava, oltre l’incapacità di scegliersi i collaboratori giusti, una lunga serie di errori che avevano finito col mettere a repentaglio le fortune della Casa. Per la verità Cesare sembrava voler attribuire a Barberino anche responsabilità non strettamente sue. Ad esempio, giudicava sbagliata, fin dall’inizio, la politica matrimoniale dei Barberini, che però si doveva ad Urbano e, semmai, al Principe Carlo, assai più che a Francesco, al tempo ancora poco autorevole a Corte. Il cardinale Lorenzo Magalotti, ricordava Cesare, era stato contrario all’alleanza coi Colonna, una presa di posizione che gli era costata l’allontanamento da Roma, ritenendo assai più prudente, e gli eventi gli avevano poi dato ragione, che Taddeo sposasse l’erede di qualche stato o dominio in grado di offrire un rifugio sicuro ai Barberini dopo la morte del papa: Anna Carafa, ad esempio, col principato di Stigliano, o Margherita Branciforte con quello di Botero in Sicilia.[16] Dopo il matrimonio con Anna Colonna, però, la politica matrimoniale dei Barberini aveva continuato ad accumulare insuccessi e, in previsione della morte di Urbano e in occasione del Conclave, la maniacale determinazione di Francesco di imparentarsi con la famiglia del nuovo Pontefice, accoppiata alla grave sottovalutazione della doppiezza di Pamphili, aveva quasi portato la Casa e la fazione alla catastrofe.
Che Barberino, «dopo haver maneggiato un Pontificato di venti e più anni come se egli stesso fusse stato Pontefice» si fosse fidato di un personaggio come Pamphili e ne avesse sostenuto in Conclave, con tutti gli artifizi dell’arte, la candidatura, mettendosi praticamente nelle sue mani, appariva a Cesare Magalotti inspiegabile. A meno che, e il sospetto era formulato da Cesare nella scrittura del ’50 senza reticenze, il legame con Pamphili, noto nemico di Antonio, non dovesse trovare una spiegazione proprio nel rancore e nella gelosia di Francesco nei confronti del fratello. C’era qualche perfidia nell’aver indotto Antonio in Conclave a fabricarsi con le sue stesse mani «la propria rovina, la quale dapoi è riuscita comune di tutta la Casa».[17] Due anni più tardi Cesare confermava le accuse: all’origine delle disgrazie dei Barberini non c’era che il «capriccio» di Francesco «di tener basso il proprio fratello, verso del quale non potendo soffrire la benevolenza et inclinazione del popolo [...] intraprese ardentissimamente l’elezione di Papa Innocenzio». Tanto più riprovevole, oltre che improvvido, appariva a Magalotti il comportamento di Barberino, in quanto il successo della candidatura Pamphili era stato fatto dipendere dal sacrificio, cinicamente previsto e perseguito con un che di irridente ostinazione, del più devoto amico dei Barberini, il cardinale Sacchetti:

«Nel passato Conclave l’istesso Barberino non ostante c’havesse stabilita nell’animo suo l’esaltazione di Panfilio, si prese gusto di riempir la scena con la persona di Sacchetti e li Spagnoli credendo che Barberino dicesse da vero contro ogni ragione l’esclusero. […] Non havea Barberino motivo veruno di burlar in quella maniera Sacchetti. […] Cominciò la pratica di Sacchetti secondo le relazioni che si videro, con l’esclusione delli Spagnoli per timore di vederlo Papa et avanti che si serrasse il Conclave fu tumultuariamente publicata e da Barberino, il quale fingea di volerlo, per burla fu continuata la pratica».[18]

Papa Innocenzo era, invero, un rarissimo esempio di simulazione e di ingratitudine, il che scusava in qualche misura l’errore di Barberino. La Giusta statera de’ porporati, una scrittura, per altro, dichiaratamente filopamphiliana, illustrava l’atteggiamento del Papa con l’episodio, non so quanto reale, ma che rende assai bene la situazione, dell’udienza concessa al cardinal Antonio, artefice della sua elezione in Conclave:

«Non molto doppo la sua assuntione s’intese che il Cardinale Antonio andasse da sua Santità e prorupesse in queste formate parole. Beatissimo Padre non sono queste le promesse fatteci in Conclave a tempo del Cardinalato, al che rispose, sì come intendessi, dicami Monsignore chi è stato quello che vi ha promesso e data parola non è stato il Cardinale Pamphilio? hor dunque andate da lui, per che io sono Innocentio X, e non quello che voi v’inmaginate…».[19] 

Anche la promozione cardinalizia di Camillo, prima, poi il matrimonio dello stesso Camillo con la principessa di Rossano e la sua conseguente e apparente disgrazia erano stati, secondo Cesare Magalotti (che rifletteva una convinzione comune), meri e strumentali colpi di teatro: per sottrarsi agli impegni matrimoniali con i Barberini la prima, per raccogliere l’eredità Aldobrandini il secondo. Un bel po’ di teatro c’era anche nella successiva e temporanea caduta di Donna Olimpia e nella reintegrazione, temporanea e parziale, di Camillo nella grazia del Papa. Ma Francesco persisteva, nonostante tutto, nel suo proposito di legarsi al clan dei Pamphili (Innocenzo, ma anche e soprattutto Donna Olimpia). Eppure, osservava Cesare, «il disegno di maritar D. Lucrezia sua nipote con un nipote di papa [lo stesso Innocenzo o un suo successore] Dio sa se gli riuscirà essendo la Casa così imbarazzata che difficilmente potrà darle quella dote ch’in altri tempi le haverebbe data», mentre la promessa di Innocenzo di un cappello cardinalizio per Maffeo, ammesso e non concesso che la si dovesse prender per sincera, appariva di assai difficile esecuzione [20].
In realtà Barberino riuscì a realizzare il suo progetto, sia pure attraverso un’operazione complicatissima, pienamente conforme, per altro, al suo genio: Carlo Barberini, il primogenito di Taddeo, rinunciò alla primogenitura in favore del fratello Maffeo e fu promosso cardinale, liberandosi così del matrimonio a cui era impegnato con una nipote di Mazzarino; Maffeo poté allora sposare una nipote di Innocenzo X, realizzando l’agognata unione delle due casate; Lucrezia, sottratta a un temutissimo (da Francesco) matrimonio francese e poi, non senza violenza, distolta da quella vita monastica per la quale aveva mostrato una robusta vocazione,[21] finì, come terza moglie di Francesco I d’Este, duchessa di Modena. E duchessa di Modena sarebbe diventata, di lì a qualche anno, anche Laura Martinozzi, la nipote di Mazzarino, già promessa a Carlo Barberini e che andò invece sposa al figlio di Francesco I, Alfonso.[22]




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[1] Tra i mss. chigiani della Vaticana sono attribuiti a Cesare Magalotti più di trenta codici molti dei quali autografi: C.III.60 (contiene le minute autografe di diverse scritture di Magalotti); E.VI.200 (autografo; è una raccolta di sentenze); F.VIII.214 (autografo, contiene una vita della Beata Margherita di Savoia); F.VIII.215 (in parte autografo; contiene vite di santi, cardinali, papi, tra cui quella di Gregorio VII, di Magalotti, a cui è allegata una lettera di Alessandro Ughelli, quella di Mazzarino che comincia: “Serenissimo prencipe, Sono li cenni de’gran personaggi...”, il Compendio della vita di Sforza Sforza conte di Santa Fiora; a cc.301-329 è di suo pugno Joannis Jacobi Cardinalis Panziroli vita et mores, incipit: “Sutrinae Tabernae…” a cui seguono un compendio della stessa e una minuta del compendio; a cc. 334-337 una breve biografia di Panciroli in latino e la minuta della stessa in italiano); G.I.16 (autografo; notizie di Siena e Lucca); G.III.69 (albero della famiglia Este); G.III.78 (autografo; appunti diversi); G.IV,107 (alberi genealogici: Maidalchini, Savoia ecc.); G.V.139-146 (autografi: 8 voll. di genealogie e notizie diverse); G.V.147 (autografo; genealogie di imperatori e duchi); G.V.148-150 (autografi; genealogie di famiglie nobili); G.VI.164-165 (autografi; genealogie, in particolare di famiglie romane); G.VII.189 (autografo; notizie di Pontefici); G.VII.190 (autografo; famiglie); G.VII.191 (autografo; famiglie di Firenze e Siena); G.VIII.223 (autografo; alberi genealogici, famiglie); M.I.22 (autografo; contiene la Relazione diaria del viaggio card. Barberini legato di Urbano VIII in Francia e Spagna); N.II.43, (autografo; contiene notizie diverse su pontefici e cardinali tra cui, a cc. 404 sgg una biografia di Panciroli del 1644); N.III.77 (documenti diversi e materiale relativo all’ordine di Malta); R.I.21 (autografo, contiene la Difesa dei Signori della Gran Croce della sacra Religione di S. Gio Gerosolimitano contro all’ambasciatore della medesima Religione residente della Corte di Roma data alla Santità di Nostro Signore dal Cavalier Magalotti istorico della detta religione, 1635); R.I.25 (c’è tra l’altro, la nomina di Cesare a storico dell’Ordine di Malta); R.II.46 (famiglie, cardinali; a cc. 24 sgg un interessante Diario di Roma d’alcune mie particolari attioni. Quinternetto primo,scritto tra il 1592 e il 1593 da un giovane aspirante curiale). È di Cesare Magalotti e in buona parte autografo anche il codice chigiano I.III.87, Relationi et altro nella morte di Urbano VIII che contiene tra l’altro le scritture che cominciano “Io voglio pur credere…” (forse proprio di Magalotti), “Facciasi quanto si vuole…” (attribuita a Spada), “È materia troppo ventilata…”, il Discorso sull’ingratitudine de i Barberini (incipit: “A torto V.S. querela…”), il Discorso sopra i cardinali viventi nella presente sede vacante nell’anno 1644 sicuramente di Cesare Magalotti (incipit: “Il Card. Lanti Decano…” ovvero “Il card. Cennino ha oggi…”). È infine di Cesare Magalotti (e scritto di suo pugno) il codice BAV, Ferr. 59, che contiene, dello stesso Cesare, le Osservazioni sopra la futura elezione... Al Sig. Gabrielle Riccardi... (incipit: “Quanto a gli huomini sia difficile...”). Molti di questi manoscritti sono stati segnalati da Neri 1888. Su Magalotti come storico e genealogista vedi Fosi, Genealogie che segnala tra l’altro una sua ricca corrispondenza con altri eruditi e genealogisti in rapporto con le famiglie Ruspoli e Marescotti. Per l'attività di Magalotti quale canonico di S.Maria in Via Lata vedi C.Baglione

[2] Era stato accolto nell’ordine il 13 settembre del 1604 (Bonazzi). Quale storico dell’ordine, non scrisse mai l’opera che gli era stata commissionata; accumulava però materiali, come risulta anche dai codici della Chigiana. Di lui Neri 1888 ricorda le richieste di documenti rivolte al Granduca nell’agosto del ’34 e, nel marzo del ’35, alla Repubblica di Genova (dalla quale, per altro, in quanto cavaliere di Malta e in quanto fiorentino, due qualifiche poco amate dal governo genovese, non ebbe alcuna collaborazione) e la stesura della Difesa […] contro all’ambasciatore… cit. (una copia in BAV, Barb.lat. 5324, segnalata da Alessandro Bonnici, Due secoli di storia politico-religiosa di Malta nel fondo Barberini della Biblioteca Vaticana, in “Melita Historica”, IV, 1967, 4, pp. 229-256; un’altra in AST, Biblioteca antica, Manoscritti, Raccolta Mongardino, vol. 171).

[3] La dedica della Relazione diaria a Barberino ha la data del 1° dicembre 1633: l'opera voleva forse essere da parte di Cesare una forma di ringraziamento per la nomina a storiografo dell’ordine di Malta e insieme un modo per ricordare al potente cugino la propria esistenza. Come ho detto, l’autografo è in BAV, Chig. M.I.22; due copie in BAV, Barb.lat. 5686 e 5687, ma non ne mancano altrove, per es. AST, Biblioteca antica, Manoscritti, Raccolta Mongardino, vol. 101. La relazione riproduce in gran parte le lettere che Cesare aveva scritto ad ogni tappa al Cardinale Lorenzo fornendogli un minuzioso resoconto del viaggio (si conservano in ASF, AM 46. La corrispondenza tra il Card. Lorenzo Magalotti e Francesco Barberini durante la legazione è in ASF, AM 45. Altro materiale relativo alla stessa legazione - memorie e istruzioni al Card. Barberini - in ASF, AM 47. Sul fondo Magalotti dell'ASF vedi Camerani Marri). Carlo Magalotti morì nel maggio del 1625 mentre precedeva sulla strada di Parigi il nipote Francesco Barberini. Della sua morte esiste un'abbondante documentazione: vedi in particolare, in ASF, AM 46, la lettera di Francesco Barberini del 13 maggio, quando Carlo era in fin di vita, la relazione del medico Collicola e, per quel che riguarda gli effetti che quella morte poteva avere sulle fortune della famiglia, la lettera di Cesare allo zio del 27 maggio e quella della madre di Cesare, Settimia Aldobrandini, allo stesso, del 20 agosto.

[4]  BAV, Barb.lat., ms. 10015, c. 45, Cesare Magalotti a un cardinale Barberini, probabilmente Francesco. Dell’epistolario di Cesare - a parte le cinque lettere conservate in questo codice, quelle, citate, in ASF, quelle pubblicate da Neri 1888, quelle segnalate da Fosi, Genealogie e infine la lettera a mons. Chigi che cito più sotto - conosco solo una lettera a Paganino Gaudenzio del 9 febbraio 1630 in BAV, Urb.lat. 1624 che lascia intuire uno scambio epistolare piuttosto intenso e una a Leopoldo de Medici del 4 luglio 1665 in BNF, Carteggi vari, Lett. Aut. IV.33 (Autografi Palatini) in cui Cesare, ringraziando per l'aggregazione all'Accademia della Crusca chiede al Principe (su suggerimento del cugino Lorenzo) di dettargli nome e impresa.

[5] Monterisi, 2° vol., p. 152, n.21. 

[6] BAV, Chig. B.I.3, Lettere di diversi a Alessandro VII prima dell’assunzione, c. 563.  Appena promosso cardinale Chigi fu, tra i papabili, il candidato preferito di Magalotti (vedi BAV, Chig. C.III.60, inc: “La pietà cristiana e’l precetto di Dio...”, c. 286, e BAV, Ferr. 59, Osservazioni sopra la futura elezione…, incipit: “Quanto a gli huomini sia difficile… ”, cc. 101 e 106). Eletto Papa, Chigi concesse a Magalotti, come uomo di fiducia e «giornaliero intrattenitore nelle geniali conversazioni così care al Papa, dove si discorreva di poesia e di lettere» (Neri 1888, p. 127) le soddisfazioni che i Barberini, a quanto pare, gli avevano negato; vedi nel diario di Alessandro VII (BAV, Chig. O.IV.58) le annotazioni, frequenti soprattutto negli anni Sessanta, sulla partecipazione di Cesare Magalotti alle conversazioni del dopo pranzo. La familiarità col pontefice, di cui si trova qualche cenno nelle corrispondenze del tempo (vedi per es. BNF, FB 258 V.6 (18), Carlo Antonio Dal Pozzo a Carlo Roberto Dati, 16 agosto 1660) gli valse naturalmente altri onorifici riconoscimenti come, nel giugno del 1665, l'aggregazione all'Accademia della Crusca (Severina Parodi, Catalogo degli accademici della Fondazione, Firenze, Accademia della Crusca, 1983, n° 363, pp. 115 e 377). Nel fondo galileiano della BNF (Gal 282, div. 5, p. 3, t. 23, vol. 8, 104 U.C. cc. 128-130) c'è una lettera a Cesare del 1° novembre 1965 con la quale Lorenzo Magalotti incarica il cugino di presentare al Papa l'igrometro di Folli: la lettera, già pubblicata da G. Targioni Tozzetti, si può leggere ora anche nella tesi di Antonella Sacchetti, Il cerchio della vita: filosofia e scienza nell'opera di Francesco Folli (1624-1685), www.unisi.it/ricerca/philab/tesi/sacchetti.

[7] Lettere di diversi Magalotti ai Barberini sono in BAV, Barb.lat. 8729-8732 (lettere del cardinale Lorenzo), 9892, 9895, 9896 e 10015.

[8] BAV, Chig. C.III.60, incipit: “Roma dalle ceneri di Troia…”, c. 127r-v; su Parracciani anche c. 137.

[9] Ibidem c. 126r. Nel Discorso intorno al Pontificato presente del marzo 1650 (incipit: “È opinione invecchiata…”) Cesare aveva osservato che se Barberino nella scelta dei collaboratori avesse badato di più al merito e meno alla loro disposizione a una supina sudditanza, nei giorni difficili della persecuzione avrebbe probabilmente incontrato una maggiore e più efficace solidarietà: BAV, Chig. C.III.60, cc. 244-246. Ma tra i meriti Cesare Magalotti annoverava in primo luogo la nascita. Si spiega così l’insistenza sulle origini oscure di personaggi diventati illustri: non solo Panciroli, che considerava un nemico, ma anche Mazzarino, da cui dipendeva (vedi ad es. Osservazioni sopra la futura elezione…, cit., incipit: “Quanto a gli huomini …”, BAV, Ferr. 59, c.10).

[10] Osservazioni sopra la futura elezione…, cit., incipit: “Quanto a gli huomini …”, BAV, Chig. C.III.60, c. 33. BAV, Chig. C.III.60, Discorso intorno al Pontificato presente. Considerazioni pel futuro (incipit: “È opinione invecchiata…”, c. 166v: «Panzirolo non so se debba esser ammirato per miracolo stupendo della Corte Romana o per mostro orribile di una superba ingratitudine»..

[11] BAV, Chig. C.III.60, Discorso intorno al Pontificato presente (incipit: “È opinione invecchiata…”), c. 248v.

[12]  BAV, Chig. C.III.60, cc. 282-287, incipit: “La pietà cristiana e’l precetto…”. Il “mezzo picciolo canonicato” era quello della chiesa di S.Maria in Via Lata ottenuto nel 1639.

[13] BAV, Chig. C.III.60, cc. 1-106, incipit: “Quanto a gli huomini…”. Il brano relativo a Chigi è a c. 101r.

[14] Francesco, nel tentativo di restaurare le finanze della Casa disastrate dalla persecuzione panfiliana, difendeva gli interessi dei nipoti contro le richieste della cognata, che, dopo la morte di Taddeo, aveva preteso la restituzione integrale della dote. Anna, però, la cui «capricciosa e fervida instabilità» (sono parole di Rapaccioli, che nella vicenda ebbe, assieme al card. Giori e a mons. Marcellini, il ruolo di volonteroso ma sfortunato mediatore) riusciva a mettere in crisi ogni accordo faticosamente raggiunto, si difendeva, secondo il suo solito, con molto vigore. Antonio, dopo la fuga dei nipoti dalla Francia, e di fronte all’atteggiamento ambiguo del fratello, assunse una posizione di assoluta neutralità e ordinò anzi a Gio Antonio Costa, suo familiare, che era in qualche modo intervenuto nelle trattative, di assicurare Anna che lui di tutta la faccenda non sapeva e non voleva sapere nulla. Vedi le corrispondenze di Giori (BAV, Barb.lat. 8725; Ott.lat. 3267, p.II, cc. 384-403) e Rapaccioli (BAV, Barb.lat. 8746; Ott.lat. 3267, p.II, cc. 454-462). Diverso altro materiale in BAV, Barb.lat 8801, 8802 e 8807, Ott.lat. 3267, p.I, 295-332 e Arch.Barb. Indice IV, 222, 223. Cfr. Pecchiai Barberini,pp.182 sgg. e ora Feci, pp. 199-200, 219.

[15] BAV, Chig. C.III.60, cc. 109-167, incipit: “Roma dalle ceneri di Troia...”, c. 111r. La scrittura è degli ultimi mesi del 1652.

[16] Discorso intorno al Pontificato presente (incipit: “È opinione invecchiata…”), BAV, Chig. C.III.60, c. 237r. Come ricorda tra gli altri il Braccini, Discorso intorno allo stato presente del Collegio Apostolico, cit. (incipit: “Il governo ecclesiastico in tutti i tempi...”, BAV, Barb.lat. 4657,  c. 115) Lorenzo Magalotti era avversato sia dal Principe Carlo, che trovava che avesse ecceduto nel beneficare i parenti, sia da Antonio, che vedeva in lui un pericoloso rivale quale consigliere del papa. Con la sua opposizione al matrimonio con Anna Colonna, si era inimicato anche il Contestabile che manovrandogli contro e rivelando al Papa «le secrete pratiche che teneva con Lodovisio» ne provocò la caduta e l’esilio a Ferrara dove, scrive ancora Braccini, Magalotti se ne stava «come se non fosse al mondo». Di simpatie filospagnole, Magalotti, che era legato effettivamente ai cardinali Ludovisi e Aldobrandini (in ASF, AM 118, 4 c’è in difesa dei due, un suo abbozzo di risposta a una scrittura «velenosissima nella quale si da ragguaglio della natura di ciascun cardinale […] secondo l’ordine delle promotioni», che non so identificare e della quale Magalotti scriveva: «Io non so chi egli sia l’autore ma o la scrittura è stata originalmente composta d’altra lingua che italiana o da autore non italiano per quanto mi avvedo da molte forme e modi di dire») restò sempre amico di Francesco Barberini, con il quale anche nell’esilio di Ferrara mantenne – sono parole di Braccini – «secreta intrinsichezza»  (“intrinsichezza” è corretto nella minuta di Braccini su: intelligenza). Dalle lettere di Magalotti a Francesco Barberini e viceversa degli anni di Ferrara (BAV, Barb.lat. 8729-8732; altre, ma meno interessanti, in ASF, AM 51 e 55) si ricava che l’ostilità di Carlo (e di Urbano) continuava a farsi sentire anche lì e si manifestava, tra l’altro, con l’addossargli incombenze, come la sovrintendenza dell’armi, che lo mettevano in conflitto col Buratti, in teoria un suo subordinato, di fatto uomo di fiducia del papa, che operava in assoluta e sprezzante indipendenza. Nel gennaio del ’29 Magalotti pregava Francesco di liberarlo della qualifica di sovrintendente dell’armi che, scriveva, poteva metterlo «in necessità di havere a usar […] delle facultà ch’io fo conto e professo di non havere». E, aggiungeva, «dovendo io con l’aiuto del Signore vivere e morire in questa Città mi torna molto male l’haver parte di Ministero in quelle operationi, nelle quali ogn’un sa ch’io ne ho d’interesse per la mia Chiesa e con le quali una parte del popolo commesso alla mia cura spirituale verrà temporalmente tribolato» (BAV, Barb.lat. 8730, c. 10; cfr. cc. 3, 14-15, 27-29). È singolare e forse non casuale che Cesare, nel rivendicare la lungimiranza del cardinal Magalotti, non abbia ricordato l’amicizia che Barberino continuò a professargli anche nella disgrazia.

[17] Discorso intorno al Pontificato presente (incipit: “È opinione invecchiata…”), BAV, Chig. C.III.60, c. 233v.

[18] Osservazioni sopra la futura elezione del Sommo pontefice… (incipit: “Quanto a gli huomini…”), BAV, Chig. C.III.60, cc. 22v, 37-38.

[19] Giusta statera, pp. A6v-A7r. Sul finire del 1652 Cesare Magalotti scriveva: «E’ veramente opinione di molti che li Pontefici imparentar non debbino co i parenti de i loro predecessori perciocché questi se sono stati odiosi, il Regnante viene a partecipare dell’odio e se ricevettero dapoi qualche disprezzo cercano vendicarsene. Né io credo che s’ingannino coloro i quali hanno opinione che dentro il Conclave fusse stabilito il parentado tra Papa Innocenzio e li Barberini, benché da molti si dubitasse dell’effetto, sì per la natura delle donne dell’una e dell’altra parte, poco atta ad accomodarsi insieme, come per l’impedimenti che succedere poteano e che dapoi succedettero fomentati dalli scrupoli, li quali per malignità più che per delicatezza di coscienza furono considerati da quelli li quali con finto pretesto di zelo ricoprivano un ansioso desiderio di vendetta contro i Barberini» (BAV, Chig. C.III.60, incipit: “Roma dalle ceneri di Troia....” c. 146r)

[20] Osservazioni sopra la futura elezione… (incipit: “Quanto a gli huomini…”), BAV, Chig. C.III.60, cc. 12-13 e 23-24. Sulle riserve manifestate in proposito anche dal Cardinale Antonio e sul progressivo approfondirsi della frattura con Barberino vedi la sua corrispondenza tra l’autunno del ’50 e la primavera del ’53 in BAV, Barb.lat. 8802, per es. cc. 80, 84 e 8803, cc. 19,27,33, 38-39 ecc., 8804 specialmente cc. 60-67.

[21] La vicenda meriterebbe di essere raccontata sulla base delle lettere di Lucrezia allo zio card. Francesco (BAV, Barb. lat. 7412) e di Francesco a Lucrezia (BAV, Barb. lat. 9895 cc. 72-88): un bel romanzo epistolare che, tra tante monacazioni forzate attribuite alla Chiesa secentesca, mette in scena, per mano di Barberino e altri cardinali, una non meno forzata smonacazione. In appendice pubblico qualche estratto di tale corrispondenza, in attesa della biografia di Lucrezia annunciata da Angela Groppi.

[22] Un rapido ma, allo stato delle ricerche, esauriente ritratto di Laura Martinozzi è l'intervento di Manolo Guerci, Laura Martinozzi, protectrice des Vigarani: de la simple " mazarinette " à la regente de Modene, al Colloquio internazionale «De la Cour d’Este à celle de Louis XIV: Gaspare et Carlo Vigarani» (Reggio Emilia, Modène et Versailles, 6-10 juin 2005). Efficace il sunto che dell'intera vicenda fa Gualdo Priorato 1678, pp. 45-46: per effetto delle spedizioni di Orbetello e Piombino, la Casa Barberini «restò in breve dallo stesso Pontefice [Innocenzo X] ristabilita e poscia con strana metamorfosi riabracciata e terminata la commedia delle loro peripetie in una stretta unione e parentella con una pronepote dello stesso Pontefice maritata a Don Maffeo Barbarino a cui Don Carlo Principe di Pellestrina rinunciò la primogenitura essendo promosso alla porpora, col che poté honoratamente sottrarsi dall’impegno in cui si trovava di non prender altra moglie che la Contessa Martinozzi nepote di Mazzarino».


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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