Caduta e fuga: 2a, 2b, 2c, 2d, 2e, 2f, 2g, 2h

I conti della guerra

Anche secondo i «pratici di Palazzo» nelle rappresaglie contro Antonio si era «corso troppo», senza cioè rispettare tempi e modi consueti in questo genere di procedure.[1] E tutto lasciava credere che una valanga di guai stesse per abbattersi su Francesco e Taddeo:

«si dice che il Papa facci tuttavia studiare se sii stata giusta o ingiusta la guerra mossa da Urbano VIII contra il Duca di Parma et altri Prencipi, con fine in tutti li modi di farli perder ogni cosa, perché se sarà giudicata ingiusta li sii tolto irremissibilmente tutto il danaro che tengono, se giusta faranno che rendino conto dell’amministratione, in che si pretende siino per trovarsi gran mancamenti contro di loro».[2]

Nel novembre arrivarono al Papa da Parigi messaggi minacciosi. Il 16 il Cancelliere Séguier aveva convocato il nunzio Bagni e aveva pronunciato, anche alla presenza del Condé, uno dei grandi personaggi che a Roma si immaginava di poter contrapporre a Mazzarino, una durissima requisitoria, poi resa pubblica, contro la politica papale. Una lettera del Re al Papa del 20 novembre riprendeva i toni sferzanti usati da Séguier a proposito della persecuzione dei Barberini e dell’ingratitudine di cui questi erano vittime: «Cela passera quelque jour pour un paradoxe», aveva detto il Cancelliere. «Nous aurions eu peine a nous persuader», era scritto nella lettera, «que la Maison Barberine eût pu avoir besoin de nos offices près de Votre Sainteté..».[3]
Ma in Roma per i Barberini l’intervento francese, osservava Alvise Contarini, aveva sortìto un pessimo effetto

«perché immediate si è progredito avanti nelli atti giudiciarii contro la Casa. Un cursore del Papa è stato ad intimar in persona al Cardinal Francesco di venir a render conto et il simile si è fatto a Don Tadeo. Mentre mostrava questo renitenza e timor in essercitar l’officio suo, il medesimo Cardinal Francesco le fece animo con dire che esseguisse pure quello li era stato commandato, poiché tutto quanto quello teneva era della Chiesa et a lui bastava haver solo da viver et non esser necessitato di mendicar il pane. Volle in somma mostrar generosità e parlò con faccia ridente, cosa che ha irritato maggiormente il Pontefice parendo che vogli sprezzar questa accione [...] tuttoché si sappi che è afflittissimo nell’animo suo. Dice ch’egli non ha mai amministrato danaro, né meno il Cardinal Antonio et così afferma Don Tadeo tutto essendo passato sotto l’occhio de Commissari e Tesorieri. Ha nondimeno il Papa annullati li chirografi ultimi di Urbano e deputato una congregatione che dovrà riveder li conti de Barberini nella quale interviene il Cardinale Sforza, nuovo Camarlengo, alcuni chierici di Camera e il Tesoriero.[4] Si pretende che in fine della vita di Papa Urbano habbino estorto li medesimi Barberini dal zio un milione e 200 mila scudi per investire in alcuni castelli comperati dalli Orsini.[5] In poche settimane si professa di voler vedere e terminare questa causa et si parla sarà venduto Monte Rotondo et altri beni della stessa Casa Barberina, questo danaro volendo applicar il Pontefice alla guerra contro il Turco».[6]

Francesco e Taddeo opposero inutilmente i brevi assolutori di Urbano che li esentavano da ogni rendimento di conti «cosa che anco dalli altri Pontefici predecessori è stata pratticata con li nipoti et osservata da successori, particolarmente ad Aldobrandino». Ottennero solo una piccola dilazione dei termini di presentazione dei conti, allo scadere dei quali sarebbe scattata una penale di 500 scudi al giorno per ciascuno.

«Se li è domandato che mostrino come siino stati spesi 15 millioni dei quali resta intaccata la Camera vivente Papa Urbano suo zio. Hanno risposto che loro non tengono libbri ma sono nelle mani delli Thesorieri. Si vedino le partite e se ve n’è alcuna defettiva per mancamento suo pagheranno, negando vi possi esser un tale intacco. Fecero instanza che non si proseguisse con la forma camerale, ma che vedendo li stessi libri potessero rispondere. Ciò non li è stato voluto concedere insistendo li ministri che presentino li conti, perché li libri principali sono stati portati via da un tale Falseti che fuggì li mesi adietro e non tengono in Camera che le copie, con dubio che li stessi Barberini siino complici e che habbino volontariamente fatto allontanare con artificio il medesimo Falseti. Finalmente si sono ridotti a dirli che li trovano deficienti di 5 millioni, li quali non sanno vedere come siino stati spesi».[7]

All’inizio di gennaio del 1646 Francesco e Taddeo  presentarono, bene o male, i loro conti, dai quali risultava che il primo era forse debitore alla Camera di seimila scudi e il secondo era creditore del suo salario di generale. Innocenzo non gradì affatto la cosa: ancora sei mesi più tardi continuava a lamentarsi «che il Cardinale Francesco si è burlato di lui mentre se li è dimandato conto di 9 millioni et egli ne ha presentato uno di vintimille scudi».[8]
In ogni modo Francesco e Taddeo avevano rifiutato di giurare le proprie dichiarazioni visto che era stato loro vietata la consultazione dei libri - pubblici, come lo stesso Pontefice ammetteva - della Camera. Questo rifiuto valse loro (e ad Antonio) l’applicazione della penale di cinquecento scudi al giorno a testa, per esigere la quale «di ordine assoluto del Papa, senza l’assenso della congregazione» il Cardinale Sforza «ha col mezo de notai fatto inventariare tutti li mobili et argenti di Don Tadeo, sequestrate tutte le rendite de ufficii et de monti ascendenti a 70 mila scudi l’anno e così anco le rendite di alcune abbatie del Cardinal Francesco». Nello stesso tempo, però, il Cardinale Sforza si era offerto in via riservata con i Barberini «se voglino trattare di componere con la Camera [...] di esser il mezano». Il che, commentava Alvise Contarini, «fa credere che non trovino veramente li ministri tutto quello che stimavano contro di loro e si dice anco il Papa habbi rinfacciato alcuno d’essi che non doveva metter queste cose a campo se non haveva tutti li fondamenti neccessarii».[9]
Ma le intimidazioni si susseguivano senza tregua e a questo punto, osservava Alvise Contarini, i Barberini avevano ragione di temere che «si voglia caminar avanti e di passare dal civil al criminale». Per la città correvano voci su un imminente arresto di Taddeo, per il quale, si diceva, «si preparavano le stanze in Castel S. Angelo».[10] Una seconda fuga dei Barberini era nell’aria e quando essa avvenne, la facilità con cui fu realizzata e soprattutto «il soverchio rigore» con il quale si era proceduto contro di loro nei mesi precedenti e che sembrava fatto apposta per metterli in allarme, fece nascere il sospetto, naturale in una Corte dove la doppiezza era di casa, che un esito del genere fosse stato voluto dallo stesso Pontefice.[11]




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[1] Secondo Brusoni 1661, p. 446 il Papa aveva addirittura deputato «a rivedere i conti della sua [di Antonio] amministrazione Fantino Rensi, huomo ricchissimo, ma di pessima fama di sordidezza, per essere stato sotto il governo de’ Barberini condannato di pubblico usuratico». Non ho riscontri all’affermazione, e, pur dando per scontato il furore di Innocenzo, la cosa mi sembra assai strana: Fantino Rensi (o Renzi) era infatti un noto bancarottiere e nel 1647 morì in carcere (o quasi: ne uscì infatti due ore prima di morire), dove era rinchiuso per reati finanziari: Ameyden, Diario, BCR, ms. 1832, c. 285r (ma cfr. ivi, 1831, cc. 25, 28, 76). Vero è che Innocenzo lo aveva per suo uomo di fiducia e che, fin quando non rifiutò «d’impiegare li suoi denari [...] secondo il gusto di Sua Beatitudine» e non si mise a fare affari addirittura con i Barberini, non gli fece mai mancare la sua protezione (sulla disgrazia di Rensi vedi i dispacci di Francesco Mantovani in ASM, CA, Roma 244).

[2] ASVe, DAS, Roma 123, cc. 35-37 e 50-51, Alvise Contarini, 28 ottobre e 4 novembre 1645. Cfr. ivi cc. 76-77 (18 novembre 1645) le tesi della Francia e dei Barberini come furono esposte ad Alvise Contarini dal Cardinale Grimaldi: Antonio non vuole sottrarsi al giudizio del papa, ma pretende di essere prima citato nelle debite forme; non c’è alcuna legge che proibisca ai cardinali di assentarsi da Roma senza licenza del Papa e non mancano precedenti, anche recenti, in proposito; è illegittimo privare Antonio del Camerlengato prima che sia stato formulato un giudizio sulle sue presunte colpe, ecc. Le stesse argomentazioni in Della Torre, Fuga.

[3] Arnauld, I, pp. 141 sgg, 157 sgg. Per le reazioni in Francia all’alleanza di Mazzarino con i Barberini contro il Papa cfr. tra le altre le testimonianze di Estrées, p. 229, Goulas, p. 49, Ormesson, pp. 332, 347, 353.

[4] È del 14 novembre 1645 l’ordine di Innocenzo X di procedere «cum facultatibus congregationum Computorum et Montium et Baronum» alla revisione dei conti di Taddeo e di arrivare a sentenza senza tener conto dei chirografi liberatori di Urbano VIII: ne furono incaricati il Cardinale Federico Sforza, in qualità di Vicecamerlengo e Lazzaro Botto in qualità di Commissario Generale della Camera con l’assistenza dei chierici di Camera Girolamo Buonvisi, Innico Caracciolo, Lazzaro Pallavicino, Luca Torregiani e Prospero Caffarelli (leggo il testo del provvedimento in BAV, Barb.lat. 3206, c. 437, ma copie un po’ dovunque, ad es. in BAV, Chig. O.I.7, c. 278).

[5] Si tratta del feudo di Montelibretti.

[6] ASVe, DAS, Roma 123, c. 89, Alvise Contarini, 25 novembre 1645. Del pericolo turco il Papa aveva parlato nel concistoro del 20 novembre 1645 annunciando l’invio di nunzi ai Principi cristiani per sollecitarne l’unione.

[7] ASVe, DAS, Roma 123, cc. 103r, 128v, 139 Alvise Contarini, 2, 16 e 23 dicembre 1645. La dilazione accordata era di un mese per Francesco e Taddeo e di sei settimane per Antonio, ma fu poi ridotta rispettivamente a quindici e a trenta giorni. Gli argomenti addotti a propria difesa da Francesco e Taddeo Barberini sono ricordati da Teodoro Ameyden nei suoi diari: «ch’egli haveva un breve assolutorio pienissimo di Papa Urbano che totalmente lo liberava d’ogni redditione de conti [...]. Né ostare che questo breve sia revocato da Papa Innocentio, che non di meno rimaneva in lui la buona fede [...] che non può esser tolta per la revocatione del breve»: Ameyden, Diario, BCR, ms. 1832, c. 192. Linage 1678, p. 69: «sur cette injustice quelques docteurs firent courir un ecrit par lequel les Barberins faisoient voir l’injustice qu’on leur faisoit». In Memoriali alla Santità di Nostro Signore nella materia de conti de Barberini, s.d., (una copia in BAV, Barb.lat. 8782, cc. 83-85) sono riprodotti due memoriali l’uno a firma di Francesco, l’altro di Francesco e Taddeo, tendenti ad ottenere dilazioni nella presentazione dei conti e nel pagamento delle multe «havendo in consideratione la buona fede con che sin hora si è vissuto per la liberatione che si è havuta dalla felice memoria di Papa Urbano dall’haver a render i conti che si domandano». Due scritti del dott. Sebastano Belliardo a favore dei Barberini nella causa dei conti in BAV, Ott.lat. 2487, 3°, cc. 427-431 e 433-437. Carte (minute, appunti, ecc.) relative ai conti Barberini in BAV, Ott.lat. 3267, parte I, cc. 11-14, 44. Un Discorso sopra la revisione de’ conti de’ Signori Barberini in BAV, Arch.Barb., Indice IV, 224.

[8] ASVe, DAS, Roma 124, c. 16r, Alvise Contarini, 16 giugno 1646. Nel concistoro del 5 febbraio 1646 in cui aveva espresso la ferma volontà di punire i Barberini per le loro malversazioni e per la loro fuga (che giudicava un’ammissione di colpevolezza), Innocenzo aveva parlato di dieci milioni: fin dall’inizio del nostro pontificato, aveva detto, siamo venuti a sapere «Apostolicam Cameram occasione dicti belli remanere gravatam aere decem millionum [...] et a viris peritis rerum militarium affirmatur impossibile esse quod tam parvi temporis spatio tam immoderata ac tanta pecuniarum summa potuerit expendi» (BAV, Barb.lat. 2928, Acta consistorialia, parte II, p. 2).

[9] ASVe, DAS, Roma 123, cc.162-163 e 174-175, Alvise Contarini, 6 e 13 gennaio 1646: fu necessario un energico intervento del Cardinale Grimaldi presso il Papa perché ai Barberini fosse concesso vedere i libri della Camera.

[10] «Hanno preso li sbirri un auditore di Don Tadeo», segnalava Contarini, «e li corsi sono stati a Palestrina, castello di sua giurisdizione, per certi misfatti che sono stati commessi e per prender alcuni banditi creduti favoriti da Barberini» (ASVe, DAS, Roma 123, cc. 174v, 180v, Alvise Contarini, 13 e 20 gennaio 1646).

[11] ASVe, DAS, Roma 123, c. 180r, Alvise Contarini, 20 gennaio 1646: «Monsù Bidò giunto ultimamente da Parigi con un dispaccio da quella Corte vogliono che sii stato il direttore di questa machina che non può essere che sensibile per la forma con la quale è stata praticata essendosi levati si può dire con armata mano li sudditi in faccia al proprio Prencipe et avanti le sue spiagge, se bene alcuno dice che il Papa ne possi haver havuto piacere e che desiderasse Barberini se n’andassero dicendo concetti contro di loro per farli absentare». La fuga avvenne nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1646, ossia dieci giorni dopo l’ingresso di Antonio a Parigi. Francesco affidò le sue carte al Cardinale Spada a cui rilasciò un’ampia procura (ASV, Fondo Spada, 22, cc. 46-50). Prima di partire Francesco era stato in visita da Donna Olimpia. Sulle modalità della fuga cfr. le fonti indicate da Pastor, XIV, I, p. 44 nota 1, tra cui il più volte citato T.Raggi, utilizzato già da Rossi 1936. Sulla vicenda Pecchiai, Barberini, sembra piuttosto male informato. Di nessuna utilità Tassi. Sulla fuga del gennaio 1646 c’è la dettagliata relazione di un gentiluomo di Francesco (o di Taddeo? le indicazioni sui manoscritti discordano) che non so individuare, interessante per la descrizione della violenta fortuna di mare che spinse i fuggiaschi, che avevano come meta Genova, fin sulle coste della Provenza (“Fu sì improvvisa...” riassunta da Frati 1911, che utilizza le copie in BUB, mss. 1662 e 1706. Una copia annotata e corretta è in BAV, Arch.Barb., Indice IV, 221: qui in nota si indica il Signor Riccardo Sada come il gentiluomo che, per la fretta, sarebbe fuggito da Roma in pianelle). Bidaud aveva atteso i fuggitivi a bordo di un vascello al largo di Civitavecchia, ma per una serie di contrattempi l’appuntamento era saltato. Altre carte relative alla fuga di Francesco e Taddeo in BAV, Ott.lat. 3267, I, cc. 15-38. L’intera vicenda è volta in epopea da Gibbes. Nel concistoro del 5 febbraio Innocenzo ebbe parole durissime per i Barberini («Nos ne relinqueremus impunitam tantam culpam...»): BAV, Barb.lat. 2928, Acta Consistorialia, parte II, 1. La Constitutio super recessu S.R.E. Cardinalium a Statu Ecclesiastico sine licentia Summi Pontificis di Innocenzo X venne condannata dal Parlamento di Parigi e dall’assemblea del clero. Cfr. Tornetta, 1941, III-IV, pp. 113-114.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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