Ritorno in armi: 3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

Contro Mazzarino

Nel febbraio del ‘46 Venezia aveva inviato a Roma Pietro Foscarini a dar man forte ad Alvise Contarini nel tentativo di distrarre la mente del Pontefice dall’ossessione dei Barberini e di riportarla ai problemi della pace in Europa e della guerra contro il Turco.[1] Foscarini doveva offrire formalmente al Papa la mediazione di Venezia nella contesa con la Francia e con i Barberini. Ma le prospettive non erano promettenti. Dei Barberini Innocenzo, dagli ambasciatori di Venezia, non voleva più sentir parlare. Su questo punto Alvise Contarini agli inizi di quello stesso mese, replicando al suo governo che gli aveva ingiunto di rinnovare con il Pontefice le esortazioni ad un atteggiamento più accomodante, era stato costretto a tagliar corto: «Io de Barberini non posso parlare né nominarli senza espresso risoluto ordine dell’Eccellenze Vostre». [2] Quanto alla Francia,

«le differenze con quella Corona e particolarmente col cardinal Mazarini sono ridotte a tal segno che sebene il Pontefice pare che tutto disimuli e desideri trattare con dolcezza, è intrinsecamente malissimo impresso et irreconciliabile nemico del medesimo cardinal Mazarini. Per questo viene creduto per fermo ch’ogni persuasione et eccitamento a bene conciliarsi gl’animi di quel governo sia poco valevole, sempre sentendosi amaramente li progressi di quella natione e canonizandosi li Francesi auttori d’ogni male. Li ministri austriaci vanno attizzando il foco, né potendo direttamente portar il Papa alla rottura con quella Corona, procurano per via indiretta di condurvelo persuadendo che si facci il peggio contro Barberini acciò, impegnato il Papa contro di loro, e dall’altro la Francia in proteggerli, si venghi agl’estremi et alle mani».[3]

Il Duca di Parma era della partita. Si diceva in Italia il più francese di tutti, ma restava il più furioso avversario dei Barberini e la sua già manifesta antipatia per Mazzarino s’era tramutata in ostilità dichiarata quando tra questo e quelli s’era ristabilita un’intesa.[4] Dalla fine del 1645 il Duca di Parma non trattava più con Mazzarino, né per lettera né attraverso il Residente.[5] Viceversa, pur restando sempre irrisolta la vecchia questione dei monti Farnese e di Castro, che avrebbe condotto entro breve a una nuova rottura e a una seconda guerra tra Roma e Parma, in forza delle comuni inimicizie, Pamphili e Farnese avevano preso a lavorare di concerto,[6] come si vide nel dicembre del 1645 con la promozione a cardinale del principe Francesco Maria «dichiarata», come scriveva il cardinale d’Este al fratello Francesco I, «in un concistoro inaspettato» e in circostanze «straordinarie e per avventura singolari», tali, cioè, da suscitare «strepito grandissimo». Colpiva in particolare e scandalizzava che fosse stato onorato con la porpora il fratello di un Principe, che non solo aveva portato le armi contro la Chiesa, ma che

«sin’hora dicono non haver adempiuto le condizioni della pace capitolata colla Chiesa: non ha pagato i montisti, non ha redintegrati gli ecclesiastici, non ha data nessuna apparente soddisfazione alla Chiesa, sprezzando anche riconciliarsi in dovuta forma in ordine alla medesima scomunica».[7]

«Comunemente», scriveva ancora Rinaldo, «si conclude haver voluto il Pontefice collocare in faccia de’ Barberini un cardinale loro dichiaratissimo nemico» forse anche nella speranza che, dati i tradizionali legami dei Farnese con la Francia, a lui venisse assegnata la Protettoria della nazione, sbarrando così la strada al cardinale Antonio e allo stesso Rinaldo.[8]
Nell’intendersi col Duca di Parma sembrava al Papa che perfino i debiti e le inadempienze di Odoardo potessero costituire un vantaggio e che le proteste dei montisti, opportunamente pilotate, dovessero contribuire alla rovina dei Barberini per via di sempre nuove azioni giudiziarie.

«Mi ha detto Sua Beatitudine», riferiva il 30 dicembre 1645 il Vescovo di Castro, Alberto Giunti, a Gaufrido, -  «che da i montisti de monti Farnesi è fata instanza perché se le facino pagare i frutti del tempo della guerra da chi li deve e ricordandosi la Santità Sua di quello che altre volte si è deto, che S.A. haveva l’assignamento sofficiente per detti monti et altri interessi et d’avantagio con l’affito fato a i Siri, che fu sconcertato, le pare sia bene pensare di farli trovare da chi gli ha havuti o li ha impediti, perché anco poi da questo si potria passare alle cose della guerra [...] sogiongendo che darà in giudice la Congregatione che vede la causa de conti de Barbarini e quei prelati che vorà S.A.».[9]

Odoardo, da parte sua, aveva invitato il Papa ad operare fattivamente per scalzare Mazzarino in Francia stabilendo alle spalle del ministro un’intesa diretta con la Regina, e aveva offerto per questo tutta la sua collaborazione. Era la vecchia tentazione, per la verità non totalmente sconosciuta all’entourage dei Barberini (o almeno del cardinal Francesco), di opporre a Mazzarino “la Francia” - ossia i Principi - secondo una linea costantemente suggerita dalle Corti asburgiche. Contro illusioni del genere il nunzio Bagni aveva tempestivamente messo in guardia il Pontefice:

«Quanto poi al guadagnare la volontà della Regina e del Conseglio», aveva scritto nel dicembre del ‘44, «il Signor cardinale Mazerino è in somma autorità et stima perché continuamente affatica ne’ negotii, partecipa ogni minima cosa alla Regina, al Signor duca d’Orliens et Signor principe di Condé et è grandemente amato da loro per trovar utili per loro e per il Re spetiose le sue direttioni. Non mostra interesse alcuno per sé, né per la natione italiana, né di altra cosa se non ci concorre il servitio del Re et ostenta di preporre questo a quanti parenti o amici che possa havere al mondo».[10]

Un anno più tardi, e cioè esattamente nei giorni in cui a Roma si stavano apparecchiando nuove manovre contro Mazzarino, Bagni, nel riferire di un colloquio con il cardinale, nel corso del quale aveva intravisto qualche superstite possibilità di sanare il conflitto col Papa, aveva scritto confidenzialmente a Panciroli:

«Hora piglio ardire per la gran passione che io ho del bene della Santa Sede e gloria di Sua Beatitudine di supplicar humilissimamente Vostra Eminenza a procurar che Sua Santità si vaglia della buona disposizione che io scorgo nel [...] cardinale Mazzarini per rinovar quella buona intelligenza che è tanto necessaria nelle presenti congiunture della guerra del Turco e della pace che si tratta fra Principi cattolici».[11]

Ma a Roma non ci si fidava di Bagni e le sue raccomandazioni venivano interpretate come altrettante prove dei suoi legami con il nemico. Il suo licenziamento, deciso da tempo, era stato sempre rinviato per non irritare ulteriormente la Corte di Parigi con un gesto che poteva riuscirle sgradito. Ora sembrava venuto il momento di agire. Mentre offriva al Duca di Parma giudici “confidenti” nella causa contro i Barberini, Innocenzo lo incaricava di trovargli un agente di fiducia che, muovendosi con la dovuta discrezione alla Corte di Francia, ottenesse l’assenso preventivo dei Principi al richiamo di Bagni. Occorreva

«far pervenire all’orecchie di quelli del Conseglio et particolarmente del duca di Condé e del duca d’Orliens, bisognandosi però guardare dal cardinal Mazarino et da Monsù di Lione, che la Santità Sua non ha se non sentimenti di far tutto che potrà sempre in servigio della Francia et di Sua Maestà, come le potrà far apparire magiormente quando vi habbia un nuntio delle qualità che si ricercano e [che], riguardando al bene et utile della Francia, porti i negotii senza passioni che mirino più alla privata sodisfatione d’alcuno che al publico, come succede hora di quello che vi è, che si lascia guidare dalle voglie di Mazarino. Voria però poterlo mutare con sodisfatione e senza che si dicesse o credesse che venesse a questa mutatione per dar disgusto e per le querele che si fanno di Sua Beatitudine, la quale certamente non la desidera se non per potere, con ministro ingenuo, la Santità Sua mostrar il suo affetto e desiderio dei gusti e sodisfationi della Francia. Desidera per tanto che S.A. mediante qualche suo confidente et nel modo che l’A.S. stimasse meglio, le facia piacere di trovar maniera sicura che sia fato suavemente il detto ufficio con fiuto per poter far la mutatione senza disgusto del Conseglio, qual insieme resti accertato dell’ottima dispositione e volontà di Sua Beatitudine».[12]

Nel frattempo Innocenzo avrebbe tentato «con il garbo che pensa l’Altezza Vostra [...] l’inganno et adormentamento di Mazarino» in modo tale, però,

«che Sua Santità non s’impegni ad osservare cosa alcuna et questo ufficio serva solo per adormentarlo, che qua anche Sua Santità cominciarà a conformarsi al medesimo sentimento et intento nel parlare di Mazarino et insieme non si tralasciarà di tirar avanti le cause de conti potendosi veder da ciascuno che non si manca di tutto quello che è possibile di fare in esse...» [13]

Come riferiva Alvise Contarini, sul finire del gennaio 1646, a Palazzo, ancora sotto choc per la fuga dei Barberini, si era «longamente consultato con questi ministri spagnuoli e particolarmente con il duca d’Arcos», che era in quei giorni a Roma, «quello si debba operare»: a quanto gli risultava si era «discorso di dichiarare inimico il cardinale Mazzarini et amica la Francia per veder di abbatterlo e rovinarlo».[14] Era esattamente il senso delle intese tra Innocenzo e Odoardo Farnese.
A questa linea Innocenzo si sarebbe attenuto nei mesi successivi, resistendo tenacemente alle pressioni esercitate dal governo di Venezia perché arrivasse a un accomodamento con la Francia. Di un accordo, secondo il Papa, non c’era bisogno perché con la Francia non c’era mai stato conflitto. Il problema, se c’era, andava ricondotto a rivalità e inimicizie private che il cardinale Mazzarino aveva il torto di nutrire in sé e di alimentare in altri. Ma Innocenzo conosceva la Regina come «Signora di pietà, di religione et anco d’affetto verso la sua persona» e sapeva che in Francia c’erano «di gran Signori che portano grand’osservanza alla Sede Apostolica e che tengono anco buona disposizione verso la sua persona».[15] Certo, a Roma c’era una serie di procedimenti giudiziari e di accertamenti amministrativi a carico dei Barberini, suoi sudditi, ma la cosa riguardava evidentemente solo il Papa. Il fatto è, sosteneva Innocenzo, che i Barberini nutrivano per lui «un odio inestinguibile» e, come protetti della Francia, tentavano «tutte le vie per far seguir rottura tra lui e quella Corona».[16]




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[1] C’è da dire per altro che il governo veneziano, mentre sollecitava dal Papa la concessione di grazie ai Barberini, si rifiutava di concederle lui stesso: vedi i dispacci a Francesco Barberini dei residenti francesi, Grémonville (che in verità non sembra che prendesse la cosa molto a cuore) e Matharel, incaricati di difendere gli interessi dei Barberini a Venezia (BAV, Barb.lat. 8009), quelli del nunzio Cesi alla Segreteria di Stato (per es. ASV, Segr. Stato, Venezia 72, c. 130r, 17 marzo 1646: «Questo Ambasciatore di Francia va instando pure per la rivocatione de sequestri de Barberini. […]. Esso dice che essendo impegnata la Corona per esser ciò ne capitoli della pace, della quale Sua Maestà Christianissima è obligata per l’essecutione del capitolato, ancorché dovesse esser rinovato doppo brevissimo spatio, bastando a quella Corona che non possa essergli imputato di non haver fatto esseguire i capitoli») e gli avvisi che Vittorio Siri da Venezia mandava a Modena (ASM, CA, Venezia 106, 9 dicembre 1645: «la risolutione è di questi Signori di non fare alcuna risolutione in negotio pieno d’impegni». L’“impegno” principale era la minaccia del Pontefice di non mandare le sue galee contro il Turco nella prossima campagna se la Repubblica avesse revocato i sequestri. Il 31 marzo 1646 Siri scriveva che il governo aveva infine promesso all’ambasciatore di Francia di procedere al dissequestro «dentro breve periodo, ciò a dire, secondo la mia intelligenza, quando il Papa havrà negato l’aiuto delle Galere alla Republica o pur quando saranno passate in Levante»). Anche quando la questione dei sequestri fu superata, le autorità veneziane restarono in materia assai reticenti: vedi la lettera anonima (ma che ritengo di Vittorio Siri) da Venezia del 29 giugno 1647 (in BAV, Arch.Barb., Indice IV, 223) in cui si racconta come l’Uditore del cardinale Antonio, venuto a curare gli interessi del suo Signore, fosse stato “strapazzato” da tutti, privati e autorità, e non fosse riuscito a combinare alcunché: «Il timor della Francia», vi si legge, «ha resi sopiti ma non estinti gli odii che tutti i Prencipi e Privati nodriscono ne’ petti loro contro quella Casa e se il vento mancasse se ne accorgerebbe. Gran ventura la sua per la morte del Duca di Parma e non minor si stima questa infermità incurabile del card. Farnese, non meno risoluto del fratello, ma vendicativo più co’ fatti che con la lingua». Sull’atteggiamento veneziano nei confronti dei Barberini, Siri, Mercurio, V, 1655, I, p. 409, VI, 1667, I, pp. 212-215, VII, 1667, I, p. 185.

[2] ASVe, DAS, Roma 123, c. 197v.

[3] ASVe, DAS, Roma 123, c. 63, Alvise Contarini, 12 novembre 1645. «Sempre istilla il duca Savelli simili concetti», continua il dispaccio, «et ha eccitato me ancora a procurare che levi la Prefettura a Don Taddeo, si assicuri delli denari e beni di quella Casa e delle rendite nella Serenità Vostra per far la guerra contro Turchi o per l’Imperatore suo Signore, facendo anco che quello tengono li medesimi Barberini nello Stato della Serenissima Republica sia tutto appoggiato a Lei per li presenti bisogni».

[4] Sulla questione dei Barberini anche la missione di Saint Nicolas a Parma del febbraio 1646 fu un fallimento: «il faut que nous entendions qu’il persécutera les Barberins jusqu’à la mort»: Arnauld, II, p. 6; cfr. Cochin, pp. 70-71. Naturalmente, più tardi, anche l’impresa di Orbetello fu accolta a Parma con grande irritazione, tanto più che il Duca non ne era stato messo al corrente: «Veramente», scriveva Gaufrido da Venezia al Villeré il 6 luglio 1646, «a tutti i buoni francesi è dispiacciuta assai in Italia questa impresa [...] con fine poi di far servizio a i Barberini...» (ASP, CFE, Venezia 517, fasc. 1646). A Parigi l’ostilità del Duca all’impresa fu aspramente rimproverata, nel settembre, al suo residente «dettoli in faccia con rigore da tutti i ministri che il Duca è nemico di questa Corona. […] Se gl’è particolarmente imputato, oltre il passo a Spagnoli concesso, che habbi in cotesta città trattato di leghe et procurato d’indurvi VV.EE.» e anche il duca di Orléans si era indotto «a esprimersi con sensi di disgusto al ministro di Parma»; (ASVe, DAS, Francia 105, cc. 7r e 9r, Battista Nani, Parigi 4 settembre 1646). Francesco Maria Farnese, come alcuni arguirono dalla sua promozione al cardinalato, avrebbe finito per avvicinarsi alla Spagna con il proposito di assumere la Protettoria di quella nazione in luogo del cardinale de’ Medici. Nell’agosto del 1646, ottenuti dagli Spagnoli trentamila scudi di pensione, attendeva solo «il consenso del duca fratello, il quale secondo camineranno le cose d’Italia vorebbe regolarsi» (ASVe, DAS, Roma 124, cc. 47r e 109v, 7 luglio e 18 agosto 1646). Di lì a poco tuttavia il duca Odoardo morì («et si pose nel rolo dell’altre felicità che colmano la gloria di questa Corona e di chi vi presiede al governo», scriveva Battista Nani da Parigi: l.cit. c. 418, 9 ottobre 1646) e Francesco Maria, che non gli sopravvisse a lungo, non ebbe tempo di operare, né come reggente di Parma, né come cardinale, alcunché di importante. Secondo Capriata, Historia 1663, in punto di morte Odoardo avrebbe raccomandato ai suoi successori di cercare la protezione della Spagna.

[5] ASV, Segr. Stato, Francia 24, Cifre del Nunzio Bagni, dispacci del gennaio 1646. In sintonia con i sentimenti di buona parte dei Principi italiani e degli “importanti” di Francia, Odoardo, sin dai primi tempi della Reggenza aveva cercato di intralciare la carriera di Mazzarino (come ho avuto occasione di ricordare a proposito dei rapporti del Duca con d’Estrées, che però, almeno in questa occasione, si mostrò riluttante a seguirlo). Mazzarino per altro non fece mai gran caso all’avversione del Duca e continuando a tenere viva una possibilità di accordo, lo aveva sostenuto tutte le volte che gli era parso utile per gli interessi della Francia in Italia. Ancora nel maggio del 1647, quando a Parma il principe cardinale Francesco Maria era reggente assieme alla cognata, il Lionne rinnovò per conto di Mazzarino le profferte di amicizia facendo rimarcare al Villeré che, come questi scriveva al Gaufrido, «ci andava anche dell’interesse nostro, di V. S. Illustrissima e di me, di procurare che l’Altezza Serenissima si rimettesse nella buona corrispondenza col Signor cardinale Mazarino» (ASP, CFE, Francia 24, 22 [maggio] 1647 [sulla cartellina è erroneamente indicato: 1643]).

[6] Sul desiderio di Innocenzo di unirsi ai Farnese contro i Barberini cfr. Brusoni 1664, p. 59. Sui negoziati, che comprendevano anche progetti matrimoniali, vedi Simeoni, pp. 62-67.

[7] ASM, CP, 230, Rinaldo a Francesco I, 6 dicembre 1645: era insolito che fosse stato dichiarato un solo cardinale e ancora più insoliti erano stati gli onori che gli avevano reso il Papa stesso e il cardinal Panfilio. Per di più, stante l’appartenenza dei Farnese al partito di Francia, era ben strano che «i Fiorentini [avessero] non solo approvata ma consigliata» una tale promozione, che «i ministri spagnuoli vi [avessero] consentito et che un Papa che si sa esser unitissimo con essi loro l’[avesse] fatta».

[8] ASM, CP, 230, Rinaldo a Francesco I, 6 dicembre 1645; cfr. l’altro dispaccio datato sempre 6 dicembre che comincia: “Ricevo ottimamente custodito...” e quelli del 9 e del 10 dello stesso mese in cui Rinaldo manifestava una certa preoccupazione per la possibile riuscita del disegno attribuito al Papa. Anche Alvise Contarini scriveva in quei giorni al Senato che «due oggetti si crede habbi havuto in questa promotione, l’uno di essaltare al cardinalato persona inimicissima delli Barberini per maggiormente opprimerli, l’altro di far ellettione di un confidente della Francia perché possi ottener di essercitar la protettione di quella Corona in questa Corte escludendone gli stessi Barberini» (ASVe, DAS, Roma 123, c. 112r, 9 dicembre 1645). Ma che il Farnese potesse assumere la protezione della Francia a Roma era un’ipotesi (riecheggiata da S. Andretta in DBI) che aveva un senso solo nell’eventualità, caldeggiata, come si è visto, da Innocenzo e da Odoardo, della caduta di Mazzarino in Francia. Il marchese Mazzarino, padre del cardinale, escludeva che al punto in cui erano arrivate le cose la protezione di Francia potesse essere affidata al Farnese senza una preventiva riconciliazione con i Barberini (ASVe, DAS, Roma 123, 130r, 16 dicembre 1645). Analoghe valutazioni esprimeva Du Mesnil al conte di Brienne, da Genova, il 12 dicembre 1645 (BNP, Clair., 402 c. 43r-44v). Lo stesso Brienne ebbe ad osservare al nunzio Bagni che «ben si conosceva che Sua Santità havea fatto questo cardinale per dover essere nemico de Barberini e di Mazzerino» (ASV, Segr. Stato, Francia 94, Cifre del Nunzio Bagni, c. 48v, 23 febbraio 1646) e che pertanto non poteva aspettarsi alcuna gratitudine dalla Francia. Dalla mossa del Pontefice, secondo le voci raccolte da Rinaldo (l. cit.), alcuni arguivano prossima una resa più o meno umiliante dei Barberini ai loro nemici. Altri vi scorgevano invece un segnale del futuro passaggio dei Farnese alla Spagna. Altri, infine, ritenendo a ragione la Corte di Parigi poco interessata alla promozione di Francesco Maria - non da altro nata che «da trattati occulti che sono passati tra Parma e il Pontefice» - prevedevano che tanto Odoardo quanto il Papa, quali che fossero i loro effettivi disegni, sarebbero andati presto incontro ad opera della Francia a grossi dispiaceri.

[9] ASP, CFE, Roma 423, Il Vescovo di Castro (Alberto Giunti) a Gaufrido, 30 dicembre 1645. Qualche giorno più tardi (ivi, lo stesso al Duca di Parma, 3 gennaio 1646) Innocenzo precisava il suo pensiero consigliando a Odoardo, da buon causidico, di non promuovere l’azione giudiziaria contro i Barberini, ma di «lasciarsi citare dai montisti» per poter più agevolmente sostenere «che ad essi montisti haveva fato l’intiero assegnamento con l’affitto dello Stato di Castro, che indebitamente le fu levato, portando perciò i danni et i torti che ne ha ricevuti con tirar qui la causa della guerra et tutto che si stimerà bene, per farla che se ne cavi quel frutto che può desiderare V.A. essendo Sua Santità di parere che questo modo passivo fosse per esser meglio quanto al frutto et quanto all’apparenza appresso di tutti [...]. Lascia nondimeno Sua Santità che V.A. ellega [sic] quella via che più le piacerà, che in tutte le sarà fata buona giustitia et haverà giudici confidenti, come altre volte ha deto a me». Per coordinare l’azione contro i Barberini venne a Roma il Segretario del Duca, Ranuccio Monguidi «con havere», scriveva l’ambasciatore veneto, «portato processi formati contro li stessi Barberini et anco per sollevarsi dall’instanze de creditori per il Monte Farnese, che pretendono il suo, mentre durò la guerra contro il medesimo Duca»; nel giugno venne l’altro segretario, il Lampugnani (ASVe, DAS, Roma 124, cc. 18, 27, 47, 91, giugno-agosto 1646. Diverse carte, purtroppo in gran parte illeggibili, relative alla causa del Monte Farnese in ASP, CFE, Roma 423, fasc. 1646).

[10] ASV, Segr. Stato, Francia 92, Cifre del Nunzio Bagni, c. 40v, 9 dicembre 1644.

[11] ASV, Segr. Stato, Francia 92, Cifre del Nunzio Bagni, c. 356, 8 dicembre 1645.

[12] ASP, CFE, Roma 423, Il Vescovo di Castro a Gaufrido, 30 dicembre 1645.

[13] ASP, CFE, Roma 423, Il Vescovo di Castro al Duca di Parma, 3 gennaio 1646: Quale fosse “il garbo” suggerito da Odoardo non so, ma è probabile che si trattasse dell’eterna promessa di promuovere al cardinalato Michele Mazzarino.

[14] ASVe, DAS, Roma, 123, c. 189r, 26 gennaio 1646. Agli intrighi romani contro Mazzarino dedica un intero capitolo Coville, pp. 72-94; cfr. Goulas, II, pp. 118 sgg. Anche il nunzio Cesi, membro di una famiglia ostile ai Barberini, lavorava da Venezia ad isolare Mazzarino in Francia. Per il tramite di Vittorio Siri - uomo della Francia, ma anche dei Farnese e impegnatissimo in questo torno di tempo a guadagnarsi in Curia la benevolenza dei nuovi padroni - andava «con destrezza cercando quali siano le persone in Corte o Ministri che tendano alla pietà» e cioè disposte a «opporsi a Mazzarino» (ASV, Segr. Stato, Venezia 69, Cifre del Nunzio Cesi, c. 244, 18 novembre 1645: vedi nell’appendice Guerre di scrittura la nota dedicata a Vittorio Siri).

[15] «Queste querele», aveva detto il Papa a Foscarini, «nascono da persone che sono suoi nimici et che interpretano al contrario tutte le sue operationi, da quali non si voleva lasciar calpestare né li haverebbe mai perdonato. Che questi vorriano pigliar quella sedia e mettersela sotto a piedi, che non lo tolererà mai, et che pensavano di haverlo ritrovato sopra un tondo di botte» (ASVe, DAS, Roma, 123, c. 274, disp. 14, 18 marzo 1646). Negli stessi giorni Innocenzo ripeteva a Rinaldo d’Este gli stessi concetti: «ch’egli sapeva d’essere amato in Francia, che ha trattato con la Regina, col duca d’Orleans e principe di Condé, che conosce la natura di tutti e ch’è dispostissimo a fare ogni cosa mentre si tratti d’interesse della Francia, ma quando si tratterà di qualche altro non farà niente e ch’egli per questo conosce che non saria per risolvere cosa alcuna oltre che vede ch’il tutto saria gettato». Naturalmente il Papa non aveva tenuto in alcun conto la replica di Rinaldo, che lo aveva invitato «a non persuadersi che vi sia più d’un parere nella Francia» e s’era perso nel rievocare antiche beghe curiali «dando assai chiaramente a divedere che non vuol lasciar campo alcuno a negoziatione» (ASM, CP, 230, 24 marzo 1646). Tra le carte Maccarani, che illustro ampiamente più avanti, ci sono un paio di scritture dell’estate del 1646 in cui la contrapposizione tra Mazzarino  e la Francia (dei Principi) è formulata nel modo più esplicito. Una di queste scritture - un appunto in cui vengono elencati gli argomenti da far valere in Francia contro Mazzarino - comincia: «Che si deve far distintione fra la Francia et il cardinal Mazzarino et non permettere che Mazzarino vesta tutti i suoi interessi et passioni con lo scudo della Francia come ha fatto fin hora procurando d’impegnarla in ogni suo particolare». E prosegue: «Che si deve considerare che Mazzarino non sta male col Papa per haver ben servito la Francia, ma per particolare odio suo antico concepito con un nipote di Sua Santità prima che mai conoscesse la Francia, donde è proceduto che egli procurò che il cardinal Antonio s’impegnasse nell’esclusione di Sua Santità et la procurasse dalla Francia dove Mazzarino vi fece anche le sue parti; onde non deve la Francia prendere sopra di sé l’inimicitie antiche di Mazzarino, massime con il Papa che non ha mai lasciato di amare e stimare la Francia [...]. Che Sua Santità mandarà un nuntio ben affetto alla Francia, che desidera che li sia mandato un Ambasciatore che sia molto affettionato alla Corona et di buona intentione per conservare la buona corrispondenza, ma che non voglia sposare tutti i sensi de Mazzarino per non continuare le querele che sono passate fin hora, principiate dal giorno che il Papa non puoté fare cardinale il Padre Mazzarino che in quel punto fu levato di Roma il Signor di Gramonville et sempre sono andate crescendo le lamentationi sotto altri pretesti». È quasi inutile ricordare che l’accusa di agire per passioni e interessi privati è stata rivolta a Mazzarino da tutti i suoi nemici e ripresa poi da non pochi storici (tra gli italiani ricordo Simeoni, pp. 56-58).

[16] ASVe, DAS, Roma, 123, cc. 317v-318r, Pietro Foscarini, 14 aprile 1646.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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