Cesare Magalotti: e1 e2 e3

Una proposta, due risposte

Nel 1651 una indisposizione di Innocenzo X tornò a mettere in agitazione gli ambienti di curia e gli scrittori di cose romanesche. In quella occasione venne messa in circolazione una Proposta sul futuro Conclave essendo per mancare Innocenzo X,[1] di cui ignoro l’autore e che ebbe un’ampia e puntuale risposta, non so da chi. Del proponente e del suo corrispondente so, però, quanto meno (perché lo dicono loro stessi), che frequentavano un “circolo” che si riuniva alla Minerva e in cui si “scrutinavano”, un po’ per gioco e un po’ (pare di capire) per abito professionale, i probabili candidati al Pontificato. L’autore della risposta, che pare non fosse romano, diceva di intervenire nella discussione solo «per obedire a Lei che me l’ha ordinato e per passarmi il tempo di che hanno solamente abbondanza quelli che habitano nelle Città piccole, come interviene a me…». A questi due interlocutori si sarebbe aggiunto, nel marzo dell’anno successivo Cesare Magalotti con le sue Osservazioni sopra la futura elezione del Sommo pontefice.[2]
Ma esisteva davvero quel circolo alla Minerva? È facile immaginare (e del resto ne sono rimaste abbondanti tracce) che di circoli del genere ne esistessero parecchi in Roma, spesso collegati, magari all’ombra tutrice di case principesche o cardinalizie, di ambasciate o congregazioni, a centri di produzione di quella sorta di samizdat a cui per buona parte si affidava la circolazione delle idee (e dei pettegolezzi) in Curia e a cui, suppongo, molto doveva la formazione dell’“aura” dei cardinali papabili. Ma che l’autore di uno scritto comunque clandestino fornisse di sé un’indicazione così esplicita, un vero e proprio indirizzo, appare molto poco credibile. Preferisco pensare a un depistaggio, forse maliziosamente rivolto contro concorrenti o rivali. E così, la rinuncia a saperne di più e l’accettazione dell’anonimato dei nostri autori mi sembra, ancora una volta, l’opzione meno avventata.
La cosa che colpisce nelle due scritture (e in quella di Magalotti) è l’assenza di una vera e propria polemica: i tre interlocutori la pensano più o meno allo stesso modo, esprimono giudizi spesso taglienti, ma raramente contrastanti. Se polemizzano, polemizzano con altri: con monsignor Francesco Nerli,[3] ad esempio, indicato quale autore di un conclave, che andava sotto il nome del Pievano di Frascati e che non ho avuto la fortuna di trovare ma di cui, se interpreto bene le parole dell’autore della Proposta e quelle di Magalotti, pare fosse già allora assai difficile procurarsi una copia;[4] oppure l’autore di quel discorso dei tre cardinali ricordato da Magalotti e che credo si debba identificare con la scrittura, attribuita a Bernardino Spada, che comincia: “Facciasi quanto si vuole…”.[5] I dissensi fra i tre sembrano limitarsi ad argomenti marginali, ininfluenti sul tono generale del loro discorso, quasi pretestuosi: se l’influenza dei Gerini sui Medici fosse malefica o meno,[6] se di mons. Celio Bichi, fratello del cardinale e già braccio destro di Barberino, si dovesse fare più conto della sua ottima preparazione o del suo cattivo carattere e così via.[7]
Ho il sospetto che le tre scritture, se pure non erano fattura dello stesso autore (che in questo caso non potrebbe che essere Magalotti), fossero prodotto di uno stesso ambiente, forse quello che ho chiamato dei “barberiniani critici”, caratterizzato dalla scarsa o nessuna stima per il pontefice vivente e per il suo gruppo di potere, dal disprezzo per Panciroli e Cesi, transfughi della fazione urbana, dall’avversione per Capponi, amato dai Medici, nemici dei Barberini, ma anche dalla condanna del comportamento sleale di Barberino nei confronti di Sacchetti e dall’ambiguo giudizio, che associava grandi lodi ad asprissime critiche, su quell’ambiguissimo personaggio che era Bernardino Spada.
Magalotti era dichiaratamente uomo dei Barberini e, in subordine, della Francia. Gli autori degli altri due scritti non mostravano alcuna inclinazione, né per la Francia né per la Spagna. Semmai trovavano sconcertante da un lato che il capo del partito francese a Roma fosse il cardinal Barberini, di cui tutti sapevano che si dava da fare per rientrare nelle grazie della Spagna e recuperare le rendite che gli erano state sequestrate, e, dall’altro, che gli Spagnoli dessero ascolto «al Card. Cesi et a simili maligni ignoranti romaneschi».[8]
Innocenzo, si legge nella Proposta, è stato un Pontefice «tutto di Roma», e non era un complimento. Era detto nel senso che la sola cosa di cui Innocenzo si fosse occupato e per la quale potesse rivendicare qualche merito era l’abbellimento della città: il Campidoglio, piazza Navona… Ma era detto anche nel senso che il suo sguardo non andava al di là delle mura di casa, non badando a null’altro che ai miserabili intrighi di Palazzo e ai suoi personali interessi.[9] Quanto a Magalotti, di Innocenzo aveva una pessima opinione e, almeno nei suoi scritti segreti, non lo nascondeva.[10]
Il termine “romanesco”, sinonimo per lo più di curiale, era usato nella Proposta in una valenza decisamente negativa, ad indicare, tra l’altro, angustia, piccineria, grettezza. «Cecchino», si legge, «è romanesco» e l’appellativo faceva riferimento alla viltà e alla dissimulazione con cui sopportava l’antipatia di Olimpia e gli strapazzi del Papa. Panciroli, il miglior allievo di papa Innocenzo, era detto «tutto politico, tutto disprezzante, tutto partitante e», come a sintetizzare il resto, «tutto romanesco». Della natura “romanesca” Panciroli manifestava soprattutto il vizio considerato dai tre peggiore in un cardinale e grave impedimento all’assunzione al pontificato: l’ingratitudine. Papa Innocenzo ne aveva dato, con la persecuzione dei Barberini, un memorabile esempio. Ma in Panciroli, ingrato con i Barberini, ingrato con i Sacchetti, ingrato con tutti i suoi primi amici, quel vizio sembrava risaltare di più per contrasto con la generosità dello stesso Sacchetti, “cardinale grande” anche in questo, che era stato il suo primo protettore e promotore e che restava, nonostante tutto, suo tenace estimatore.[11]
Quello dell’ingratitudine è un tema ricorrente nelle tre scritture. «Indegno di vivere chi non ha legge d’amicizia», sentenziava a proposito di Panciroli l’autore della Proposta.[12] Ma anche peggiore di Panciroli gli appariva Cesi, che non solo s’era fatto spagnolo in Conclave tradendo la fazione urbana, ma aveva continuato poi lusingando l’astio del nuovo Pontefice contro i Barberini:

«furno pochi quei che non si stommacorno in veder Cesi il primo ad attizzar [13] chi stava di malavoglia contro li Barberini, dei quali sei anni continui ha studiato di ripescare qualche cosa per raccontare al Papa qualunque volta che pigliava audienza, persuadendosi così di haverla, sicome l’haveva, sempre riddente. Al settimo anno poi se ne cominciò a nauseare la Santità Sua, onde è rimasto Cesi come nelle secche e per uscirne si affatica per pigliarne la corrente del dirne male».[14]

Viceversa la riconoscenza verso i propri benefattori pareva compensare in qualche modo l’assenza di altre qualità. Era il caso dei tre “cardinali di Palazzo”, i servitori di Urbano, Poli, Ceva e Giori, di cui nessuno faceva gran conto e che la Proposta liquidava tutti assieme (vanno bene, diceva, in mazzo) con poche parole, ma a cui rendeva il merito, se non altro, di aver onorato, in tempi assai difficili, l’obbligo dovuto ai Barberini; il che, aggiungeva, «non è poca lode, ché anzi è il regimento di tutte l’altre e senza la quale nessun altro si può virtuosamente sostenere».
In fatto di gratitudine, tra tutti i membri del Sacro Collegio, il vero eroe era, secondo la Proposta, il cardinale Grimaldi, che

«solo tra le creature d’Urbano [si era] fatto coraggiosamente avanti alla difesa de Barberini con arrivar a dire in publico concistoro a Papa Innocentio che il parlar quivi alla Santità Sua colla berretta in mano gl’era troppo palesemente sotto occhio la memoria di chi l’haveva ricevuto e che in dire a quel modo si sentiva di non invidiare alla tiara di Sua Santità».

E aggiungeva che Grimaldi, che pure era pieno di qualità, «per questo solo memorando detto» avrebbe meritato ogni onore.[15] Ma era vera gratitudine quella di Grimaldi? L’autore della risposta non ne era, poi, così sicuro:

«Grimaldi sarebbe il caso a governare la nave di Pietro se non havesse mostrato più genio al Corsaro che al Piloto. Mi piacerebbe la sua costanza in amare Barberino quando egli havesse fatte quelle attioni che V.S. racconta più tosto per mostrare gratitudine a suoi benefattori che per vantarsi di haver fatta resistenza al Papa».[16]

L’osservazione era ben trovata, ma, ribatteva Cesare Magalotti, che di Grimaldi era grande ammiratore (ma doveva ammettere che, proprio per la sua audacia e per esser apertamente francese, non aveva alcuna probabilità di diventar papa):

«Dica pur il Politico appassionato che di un ardire sì generoso et intrepido Grimaldi non merita intera lode per haver desiderato più di potersi vantare di haver fatto renitenza ad un Pontefice irato che di rendersi grato verso i suoi benefattori […] Ma non negherà il Politico indifferente ch’Innocenzio alla sola vista di Grimaldi si riempiva di sì grande spavento e confusione che se non l’havesse visto parlare con la berretta in mano facilmente si sarebbe scordato di esser Pontefice…» [17]

Tra i candidati più in vista, Spada, Sacchetti, Capponi, il meno probabile era, come comunemente si osservava, il più meritevole: Sacchetti. Nel ’44 la sua candidatura era naufragata per l’opposizione della Corona di Spagna (ma più, forse, come suggeriscono diverse fonti, per l’ostilità dei cardinali spagnuoli) e, soprattutto, per il comportamento di Barberino che l’aveva usata, secondo la più classica delle teoriche di Conclave, per aprire la strada al suo candidato “vero”, Pamphili.
Barberino, che, alleato di Donna Olimpia, nel futuro Conclave avrebbe guidato una grossa fazione, determinante per il risultato, continuava, secondo l’autore della Proposta, a non volerlo.[18] Quanto al governo spagnolo, presso cui Sacchetti aveva inviato l’abate Altoviti «per dissincerare la sua nota esclusione», aveva confermato di avere altissima stima del cardinale, ma senza impegnarsi più di tanto. E alla fine  «il segreto per la fattione spagnuola confidato a Triultio divenuto tutto di Medici e la dichiaratione della regola Semel esclusus etc. accertò a Sacchetti a metter in capo a Mattheo suo fratello che ci si faccia seco honore di contentarsi del grido universale di meritare se non conseguire il Papato».[19]
Capponi, sempre secondo la Proposta, era, insieme a Cesi, il peggiore di tutti: simulatore, noto per la sua ingratitudine verso i Borghese, di cui aveva abbandonato la fazione nel Conclave di Gregorio XV, era però pratico di Conclavi, e, aggiungeva Cesare Magalotti, «come impastato del sangue del Machiavello e del Guicciardino intende molto bene gli affari di stato e gl’interessi de’ Principi».[20] Nel prossimo Conclave, tuttavia, sosteneva l’autore della risposta, era assai improbabile che riuscisse papa, tanto discredito si era guadagnato con la sua doppiezza.[21]
Restava Spada, che l’autore della Proposta mostrava di apprezzare: «grande sì di persona come di cervello», gli sembrava che «la sola modestia delle sue donne» fosse un buon argomento a suo favore, tale da compensare almeno in parte la sua troppo numerosa parentela.[22] Ma i suoi legami con la Francia gli sarebbero valsi l’opposizione della Spagna, mentre Barberino «s’è di maniera annoiato, con tutta Roma, di quel Padre [23] Virgilio, che aggiuntolo all’haver egli il fratello Spada per un maestrone n’è per sentirne trattar in Conclave quasi con tremore».[24]
Di Spada Cesare Magalotti aveva scritto nel Discorso intorno al Pontificato presente del 1650:

«Non dica già di conoscer bene la natura del Card.le Spada chi non l’ha visto in magistrato e non ha havuto a trattar seco di qualche interesse pecuniario, percioché al Mondo non è assolutamente huomo più interessato di lui sì come non si troverà mai né il più fino simulatore né il più incivile e scortese personaggio, non facendo conto veruno né di parola data, né di alcuna legge di amicizia quando può succeder un minimo pregiudizio alla sua borsa».[25]

A un anno di distanza il giudizio non era affatto cambiato ed anzi Cesare Magalotti ribadiva che per giudicare il Cardinale Spada bisognava conoscerlo di persona e da vicino. Quanto al padre Virgilio il giudizio di Magalotti era, se possibile, anche più severo:

«La dichiarazione del Cardinale fatta altre volte ch’il Padre Virgilio suo fratello sarebbe il dominante si rende hoggi così odiosa che se in Palazzo dove semplicemente sostiene il ministerio di Limosiniere Segreto del Papa ha scoperto un’impareggiabil ambizione et una suprema presunzione di saper tutte le cose in perfezione, non potressimo da lui aspettar quel buon governo che si promettea mentre stava alla Chiesa Nuova ove pure sermoneggiando l’habbiamo udito tanto detestare gl’interessi del Mondo e sceso dal pulpito l’habbiamo visto pigliar il mantello et andarsene a casa dal Cardinale per assistere alla congregazione degl’interessi domestici. Beato lui che dopo una scapigliatura di molti anni ha saputo tenere un piè nella Corte e l’altro nella Religione e dare ad intendere di esser stato forzato di andare a Palazzo […] E dubito che […] havendo nelle confessioni conosciuto l’intrinsico di molti, habbi con diversi offizi impedito a più d’uno l’ascendere alle dignità et a gli honori sapendosi che di alcuni di quelli non parla bene».[26]




paragrafo precedente * inizio pagina


[1] BAV, Barb.lat. 4673, cc. 142-174, incipit: “Sig.r mio, non era se non cosa...”. Una copia mutila (finisce a c. 296r con il n° 24, il card. Firenzuola), che presenta diverse correzioni di solito accolte, ma con errori e incongruenze, dagli altri mss., è in  BAV, Barb.lat. 4695, cc. 249-297, Discorso sopra quei Cardinali Papabili che passano 55 anni. 1651. La copia in BAV, Barb.lat. 5681, cc. 106-155, La statera de’ Porporati ove si pesa il merito di trentasei cardinali papabili, (incipit: Non è se non cosa…), utilizzata da Visceglia 1996, è datata erroneamente 1653.

[2] BAV, Chig. C.III.60, 1-106, (incipit: “Quanto a gli huomini sia difficile...”).

[3] Francesco Nerli seniore, nel 1651 era vescovo di Pistoia; alla fine del 1652 passò alla cattedra di Firenze; venne promosso cardinale nel 1669. 

[4] Nella Proposta del 1651 si legge: «quel conclave che sparì sotto il nome di Pievano di Frascati» (BAV, Barb.lat. 4673, c. 148); nelle Osservazioni di Magalotti del 1652: «quel discorso ch’uscì sotto nome del Piovano di Frascati più desiderato che visto» (BAV, Chig. C.III.60, c.33r); i corsivi, naturalmente, sono miei.

[5] BAV, Ott.lat. 2487, 2°, cc. 389-393. Nell'indice del codice la scrittura è segnata come Discorso del Card. Spada dopo la morte d'Urbano 8° per la creazione del nuovo Pontefice (una copia della scrittura è nello stesso codice a cc. 409-413; per le altre copie vedi l'indice dei manoscritti). Vi si propone il cardinale Spada come candidato antibarberiniano per eccellenza («per far passaggio ad un Pontificato tutto al rovescio loro non vi sarebbe soggetto più adeguato») e vi compare l’espressione «un cardinale di cervello grande» ripresa sia dalla Proposta sia dalle Osservazioni di Magalotti.

[6] Sui Gerini: Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, c. 145v; Cesare Magalotti, Osservazioni, cit. BAV, Chig. C.III.60, c. 20v.

[7] Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, c. 153v: «…Monsignor suo [del card. Bichi] fratello che con raro esempio è bravo legista essendo il più valente tra gli Auditori di Rota et insieme è prelato così lesto e scaltrito che se non fusse un po’ agretto haverebbe pochi pari nella Corte di Roma». Nella minuta delle Osservazioni c’è su Celio Bichi un’interessante correzione di giudizio: di lui Magalotti aveva scritto che «benché della professione legale molto intendente, per haver sempre adulato il defunto Panzirolo nella Corte non ha opinione di molto sincero», poi però ha sostituito il sempre con un forse e a margine ha aggiunto il racconto di un episodio che va tutto a lode, appunto, della sua schiettezza e del suo coraggio: «quando i mesi passati per qualche leggierezza, di ordine del Papa fu ritenuto mons. Cerri suo Collega, niuno ardì di parlar più risentitamente di lui arrivando a dire che contro la memoria di Papa Innocenzio non havrebbe lasciato di far quella vendetta che conveniva per lo strapazzo fatto a quel Tribunale nel quale si honorava la S.tà S. di essere nato» (BAV, Chig. C.III.60, c. 52r).

[8] Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, c. 143v.

[9] Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, c. 142v.

[10] Chiamo “segreti” gli scritti che, per quanto ne so, non sono mai usciti dal suo studio. I giudizi più severi sul conto di Innocenzo sono nella scrittura che comincia “Roma dalle ceneri di Troia…” (BAV, Chig. C.III.60, cc. 109-167 ): «nello spazio di anni otto non ha si può dir fatto mai azione degna di pontefice» (c. 144v). Innocenzo, scriveva, «non è amico de’ Santi» e non vuole farne (c.150r), «è nemico del predecessore» (150v) e perseguita i suoi nipoti, «è nemico del Sacro Collegio […] senza esempio conculcato di maniera che non ha più forma dell’antico Senato» (154r), «è nemico della giustizia e delle legge, ancorché sante, acciocché più libero sia il suo arbitrio» (154v), «è nemico de’ Principi» perché non fa nulla per la pace, «è parimente nemico de parenti e del proprio sangue […] percioché non dimostra di amarlo per altro che per proprio interesse» (155-156), «è finalmente nemico degli amici» come dimostra il caso di Cecchini (157-158) e, in ultimo, di Panziroli il quale «si morì non tanto d’angoscia che di rabbia, benché con opinione universale di poca religione, onde alla sua morte sopra di lui fu rovesciata tutta la colpa dei mali così publici come privati» (158v). «Ma se il Pontificato d’Innocenzio è pieno di stravaganti avvenimenti niuno negherà che quello dell’adozione del novello Card.l Panfilio supera ogni humana imaginazione» (158-159) e così via.

[11] «Con tutto che la Casa Sacchetti l’habbia allevato e l’habbia publicato per uno de più elevati spiriti del Mondo e che quel buon Cardinale s’è ben chiarito d’esser stato vituperosamente ingannato da costui nel passato Conclave, ad ogni modo misurando l’altri da se stesso si vede già concorrer più volontieri in Panziroli che in qualsivoglia altro»: Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, c. 162.

[12] Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, c. 163v.

[13] Correggo in attizzar, come si legge in BAV, Barb.lat. 5681, c. 133, un atterrar evidentemente errato.

[14] Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, c. 158r-v: «a sentire i suoi discorsi et a badare a suoi andamenti ha più del ragazzo maligno et anche popolare [che] del Cardinale di Santa Chiesa e forsi l’harà voluto Dio così additare col non darli l’ornamento cotanto virile della barba».

[15] Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, cc. 164-165.

[16] BAV, Barb.lat. 4673, c. 189, incipit: “Carissima mi è stata…”.

[17] Cesare Magalotti, Osservazioni, cit. (incipit: “Quanto a gli huomini sia difficile…”), BAV, Chig. C.III.60, c. 78v.

[18] Barberino «nel considerarsi di haverne fatto alla palla nel passato Conclave, rivolta dentro se stesso di non lo presentare da dovero, abborrendo hoggi più che mai il fasto di quella Casa accresciuto in eccesso dall’alterigia della cognata e de figli»: Proposta, cit. BAV, Barb.lat. 4673, c. 149. L’autore della risposta confermava: Barberino «non lo promoverà né meno da burla dubitando non riuscisse da dovero» (BAV, Barb.lat. 4673, cc. 179-180).

[19] Cito dalla copia della Proposta in BAV, Barb.lat. 5681, cc.118v-119r, La statera de Porporati (incipit: “Non è se non cosa…”).

[20] Cesare Magalotti, Osservazioni cit., (incipit: “Quanto a gli huomini sia difficile…”), BAV, Chig. C.III.60, c. 31.

[21] Proposta cit., BAV, Barb.lat. 4673, c. 179r.

[22] Proposta cit., BAV, Barb.lat. 4673, c. 146r. [Cesare Magalotti], Osservazioni sopra la futura elezione cit. (incipit: “Quanto a gli huomini…”), BAV, Chig. C.III.60, c. 25r: «Suppongo che questo Cardinale sia grande di cervello come è di persona e sia ripieno di tutte quelle buone parti e massime ch’in lui furono artifiziosamente descritte dall’Autore del sudetto discorso di tre cardinali. Io però [che lo conosco] et ho anche trattato seco domesticamente et havendo letto l’esagerazione ch’uno scrittore fa della modestia delle sue donne […] non so qual fondamento habbia havuto».

[23] In BAV, Barb.lat. 4673 è scritto erroneamente: nepote.

[24] Proposta cit., BAV, Barb.lat. 4673, c. 146v.

[25] BAV, Chig. C.III.60, ff. 228-280, Cesare Magalotti, Discorso intorno al Pontificato presente. Considerazioni pel futuro, 7 marzo 1650, incipit: “È opinione invecchiata…”, c. 259v.

[26] Cesare Magalotti, Osservazioni sopra la futura elezione cit. (incipit: “Quanto a gli huomini…”), BAV, Chig. C.III.60, cc. 26v-27r.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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