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Le scritture di Roma

Le molte scritture che la Corte di Roma fece uscire contro Odoardo denunciano nel modo stesso della loro comparsa un certo affanno. Alcune, pur circolando indipendenti, erano parti di una stessa opera: stampate via via che venivano redatte, possono trovarsi nelle biblioteche sciolte o legate tra di loro, ma in sequenze diverse (e non di rado incoerenti).[1] Altre non erano che versioni successive degli stessi testi, via via aggiornati e arricchiti. Parrebbe che il grosso di queste scritture abbia visto la luce dopo l’agosto del 1642, ma forse ve ne era qualcuna scritta e stampata ancor prima della pubblicazione della sentenza Teodoli: ad esempio, il 18 gennaio, dopo appena cinque giorni dalla sentenza e certamente prima che apparisse il manifesto del Duca, il Cardinale Barberini mandava al nunzio Vitelli «una stampa dalla quale», scriveva, «intenderà quello sia seguito nella causa di Sua Altezza».[2] Quale fosse questa stampa e se ce ne fossero altre dello stesso genere non so. Quelle che conosco appaiono scritte tutte dopo l’uscita del manifesto. Ma naturalmente niente esclude (e le parole del Cardinale Barberini fanno anzi supporre) che prima di allora ne fossero state stampate altre, forse più tardi ritirate dalla circolazione e distrutte perché superate dagli avvenimenti o inadeguate a ribattere gli argomenti – non tutti prevedibili, per la verità – del Duca di Parma.
Anche il manifesto del Duca era stato probabilmente approntato da mesi, il che spiegherebbe la tempestività della sua uscita. A Venezia, in effetti, se ne parlava già ai primi di dicembre. Il Conte Scotti si era premurato in quella occasione di smentire l’esistenza di un simile documento, ma che ad esso si stesse lavorando e che la sua stesura fosse in fase assai avanzata sembra confermato dal fatto che quando uscì la sentenza Teodoli  fu solo necessario, per commentarla, aggiungere a un testo ormai definito un “ultimo discorso”.[3]
Tutte le scritture uscite da Roma a stampa risultano anonime e prive di note tipografiche. Da Palazzo, secondo Camillo Peresio, «fu imposto al Contelori di rispondere» al manifesto di Odoardo così come, più tardi, a quello di Francesco di Modena.[4] La partecipazione del Contelori alla campagna in difesa della Santa Sede è più che probabile: Contelori era il maggior esperto di cui la Curia disponesse in materia e alla sua «arrabbiata et inconsideratissima penna» i nemici dei Barberini avrebbero attribuito la paternità dei «libelli famosi» pubblicati contro i Principi di Modena, Parma e Firenze.[5] Ma quale sia stato esattamente il suo contributo e di quali scritture fosse realmente autore non mi è chiaro. Un Ristretto dell’armamento del Ser.mo Duca di Parma sottolineava il carattere collettivo di quella campagna: le risposte alle ragioni del Duca erano state elaborate, vi si legge, «da leggisti e dal Padre Moroni Gesuita».[6] Tra i “leggisti” bisogna comprendere almeno, oltre al Contelori, i già nominati Giovanni Ghini, Commissario Generale della Camera e Pier Francesco De Rossi, avvocato concistoriale, indicati dal Melzi come autori, con il Contelori, della risposta al manifesto del Duca di Modena.[7] Avrebbe dovuto esserci anche, a quanto pare, Antonio Cerri, altro avvocato concistoriale, intimo di Barberino, che però morì nel maggio del 1642 senza lasciare che appunti di poco conto.[8] Quanto ad Alberto Morone, il suo nome ritorna più volte in Nicoletti e in Siri come polemista in difesa della Santa Sede e come storico designato della guerra di Castro.[9]
La più importante tra le scritture uscite dalla Corte di Roma è sicuramente la Lettera scritta ad un Signore in risposta del libro stampato sopra le ragioni del Serenissimo Duca di Parma, che ho più volte citato nel corso di questo lavoro. Trovo la prima notizia circa la preparazione di una scrittura in confutazione delle tesi di Parma piuttosto tardi, in una lettera di Francesco a Taddeo Barberini del 12 marzo 1642. A quale delle molte scritture allora in fattura o in progetto si riferisse il Cardinale Barberini non so, ma presumo che fosse proprio la Lettera scritta a un signore, la sola ad affrontare la questione con qualche agilità di penna e fra tutte di gran lunga la più leggibile e conosciuta.[10]
La Lettera è generalmente attribuita a Contelori.[11] È sicuro invece che, almeno della prima redazione, che circolò manoscritta, fosse autore il gesuita Alberto Morone.[12] Una conferma diretta viene dalla lettera di congratulazioni che Bernardino Spada indirizzava da Castelviscardo allo stesso Morone il 7 agosto 1642 in occasione della prima uscita a stampa dell’opera (e alla vigilia dell’annunciata impresa delle armi pontificie contro Parma):

«Ho letta l’apologia stampata con tanto mio gusto che non mi son mai leggendola ricordato d’haverla vista prima e vista più d’una volta sì come havevo fatto. Stimo che in questa occasione della mossa che s’intende farsi dall’essercito di Nostro Signore debba onninamente divolgarsi per tutte le vie possibili e nel Parmigiano e nel Piacentino perché, se bene vi fosse penetrata prima, Dio sa che il timor del Duca l’habbia lasciata passare a molte mani».[13]

La Lettera subì nell’arco di pochi mesi profondi rifacimenti.

«Andava questa lettera per le mani di molti», si legge nella premessa alla prima edizione a stampa, «ma non intiera per cagione della fretta de’ scrittori in trascriverla: hora con la stampa si è rimediato e di più si sono aggiunte molte et importantissime risposte con citationi di Bolle e Chirografi de’ pontefici…».[14]

Il testo si presentava già, dunque, notevolmente ampliato rispetto a quello che era circolato – a quanto pare in versioni diverse – manoscritto. Ma una seconda edizione uscì qualche mese più tardi, forse tra il settembre e l’ottobre.[15] di nuovo ampliata e arricchita ma anche assai appesantita da una massa di richiami eruditi – documenti e citazioni di autorità – tra i quali non è sempre agevole ritrovare il filo della primitiva redazione.[16] Non si può escludere – ed anzi appare probabile – che, tra tanti rimaneggiamenti, alle versioni uscite a stampa e soprattutto alla seconda edizione, altri oltre il Morone (e tra questi, forse, il Contelori) abbiano posto mano. Sta di fatto che il Morone nel '43, polemizzando con Cesare Becillo, che sapeva bene come erano andate le cose e a cui pertanto sarebbe stato imprudente offrire delle mezze verità, attribuiva a sé la paternità delle edizioni a stampa e rivendicava a sé in particolare proprio quella lunghezza a causa della quale Becillo aveva previsto, a torto, che il libro non sarebbe stato «né cercato né letto».[17]




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[1] La raccolta meno incoerente mi pare quella in BAV, Chigi. I. 745. Le stampe, tutte dello stesso formato e tutte prive di note tipografiche, presentano una paginazione assai varia: la numerazione spesso manca e, quando c’è, ricomincia ogni volta da capo, sicché non è facile riconoscere e legare assieme le parti di una stessa opera. Vi si trovano: - (A) Responsio ad libellum qui inscribitur Vera et syncera relatio iurium Ducis Parmae contra praesentem occupationem Ducatus Castri. Sul frontespizio si legge, aggiunto a penna da mano coeva: Felicis Contelori¸ un’attribuzione che sarei propenso ad accogliere. Seguono 10 pagine non numerate stampate su due colonne con il titolo Responsio ad proemium (incipit: “Author in sua, quam edidit, narratione…”). È probabilmente la scrittura che nell’elenco compilato da Ranghiasci, p. 52, figura al n° 14. - (B) Risposta al proemio del libro intitolato vera e sincera relatione delle ragioni del Duca di Parma contro la presente occupatione del Ducato di Castro. Occupa 7 pagine non numerate; l’ottava è bianca. Incipit: “Nella relatione uscita alla stampa l’Autore professa…” È la traduzione del precedente. - (C) Pars Prima. De facultate exportandi frumentum ex Ducatu Castri ad loca Sedi Apostolicae mediate vel immediate subiecta, vel extra Statum Ecclesiasticum absque chirographo Summi Pontificis. Incipit: “Incertus Athor in Relatione iurium…”; conta 56 pagine numerate; la p. 28 è bianca; a p. 29: Summarium iurium ad perpetuam rei memoriam. Potrebbe connettersi ad (A). - (D) Defensio iurium Reverendae Camerae Apostolicae pro responsione ad librum cuius titulus inscriptus est Vera e sincera relatione delle ragioni del Duca di Parma contro la presente occupatione del Stato di Castro in qua primo ostenditur nullam Duci ex investitura Castri competere facultatem extrahendi frumenta, et illam quae extra dictam investitura concessa fuit subreptionis nullitatisque vitio subiacuisse, et subiacere, et in omnem eventum semper revocari potuisse. Secundo dum Dux leges sibi in Montibus praescriptas non servavit, cessasse causam finalem, ob quam erecti fuerunt, ideoque illorum extinctioni locum fuisse. Tertio, denique facultatem seu onus muniendi Castrum Petro Aloysio Farnesio iniunctum fuisse mere personale, et successores minime transivisse. Ex quibus gesta in Curia contra eumdem Ducem ab obiectis vendicantur. Sul frontespizio si legge, aggiunto a penna da mano coeva: R.P.D.Ghini; anche qui l’attribuzione è credibile. L’opera si divide in quattro parti (con i relativi sommari) variamente numerate: Prefatio (incipit: “Sanctam Sedem Apostolicam quae in imitationis…”), di quattro pagine non numerate (l’ultima bianca); segue Aggredior primam partem (incipit: “Cum tempore Eugenii Quarti…”), pp. 1-17 (la p. 18 è bianca), con un Summarium (incipit: “Frumentorum extractio de proprio statu…”), di quattro pp. non numerate (l’ultima è bianca); segue (dopo una carta bianca) la Responsio ad secundam partem (incipit: “Venio ad secundam partem…), pp. 1-24 (a pp.21-24: Summarium, che inizia: “Conctractus in dubio…”); viene infine la Responsio ad tertiam partem (incipit: “Commissa contra Ducem...”), pp. 1-16 (a pp. 15-16: Summarium). È la scrittura citata al n° 5 dell’elenco Ranghiasci e sembra completa. - (E) Ad relationem praetensorum iurium D.Ducis Odoardi Farnesii responsio iuris. A p. 1: In proemio; a p. 2: Pars prima. De extractione frumenti che termina a p. 17 (la p. 18 è bianca); con nuova numerazione: Ad secundam partem relationis responsio iuris (a p. 1: Summarium secundae partis e Pars Secunda. De extinctione montium,che termina a p. 10); ancora con nuova numerazione: Ad tertiam partem relationis responsio iuris (p.1: Pars Tertia. De iustitia et validitate processus ac sententiae D. Auditoris Camerae, che termina a p. 14). È probabilmente la scrittura indicata da Ranghiasci al n. 3 del supplemento. - (F) Responsio ad libellum inscriptum Vera e sincera relazione delle ragioni del Duca di Parma contro la presente occupazione del ducato di Castro. Le prime due parti della Responsio presentano una numerazione continua: a p.1: Pars prima qua demonstratur iuste edicto Cardinalis Antonii Barberini Camerarii insinuatas fuisse Duci Castri prohibitiones tractarum factas per constitutiones apostolicas; a p. 19: Pars secunda qua ostenditur legitime actum fuisse pro extinctione Montium che termina a p.30. Segue con nuova numerazione: Pars tertia in qua praecepta, seu monitoria Auditoris Camerae contra Odoardum Ducem, ut novas munitiones demoliretur in Statu Castri milites dimitteret, seque coram eo sisteret ac sententiae venticantur ab obiectis, che termina a p. 34; a p. 35: Appendix. Summarium, a cui segue una pagina bianca e poi, con una nuova numerazione, pp. 1-35, la serie di documenti relativi al processo di Odoardo che costituisce appunto l’appendice documentaria della scrittura (a p. 33 la dichiarazione del 7 agosto 1642 nella quale Ottaviano Raggi formalmente smentisce di aver mai ricevuto da Odoardo la ricusazione su cui la Vera e sincera relazione basava la tesi della nullità del processo e della sentenza: la stampa è dunque successiva a quella data e forse anche alla mossa di Odoardo contro lo Stato Pontificio). Si tratta probabilmente della stessa scrittura che Ranghiasci elenca al n. 2 del supplemento. - (G) Responsiones ad ea quae sunt obiecta contra quaestionem criminis in Castri Ducem constitutam ob armatum praeter ius fasque militem atque ob inconcessas eiusdem Castri, aliorumque locorum in eo Ducatu munitiones (incipit: “Prodiit in publicum liber italice scriptus cui titulus est vera sinceraque recensio…”); pp. 1-39 e una bianca. È la risposta alla terza parte della Vera e sincera relazione (la parte forse delicata del libro, divisa in quattro articoli, il terzo dei quali dedicato ai temi della scomunica e dell’interdetto); la risposta si divide in cinque parti: Factum, Responsiones ad deducta in articulo primo dictae tertiae partis, Responsiones ad deducta in articulo secundo…, Responsiones ad deducta in articulo tertio…, Responsiones ad deducta in articulo quarto… - (H) Summarium: pp. 1-35, identiche a quelle della Appendix di (F) salvo per la presenza del titolo e per qualche nota (a stampa) sul margine. - (I) Proemium (incipit: “Cum subditorum utilitati…”); pp 1-7 e una bianca; è diverso da tutte le altre “risposte al proemio” che si leggono in (A), (B) ed (E). Il nunzio Vitelli scriveva il 23 agosto 1642 di aver ricevuto «la risposta stampata al Proemio della Relazione di Parma» e di averla trovata «aggiustatissima» (ASV, Segr. Stato, Venezia 66, cc. 171v-172r): ma di quale di queste risposte si trattava? Di una risposta al Proemio e di una scrittura sulle tratte (la De facultate exportandi?), entrambe a stampa, parlava in quei giorni anche Virgilio Spada in una lettera al fratello Cardinale: «La risposta dicono esser del Sig. D. Francesco De Rossi e quello delle tratte di mons. Contiloro» (ASR, SV 572, 22 agosto 1642).

[2] ASV, Segr. Stato, Venezia 66, c. 57r.

[3] Vera e sincera, c. 91: «Doppo essersi compilata sino a questo segno la difesa delle ragioni del Duca», vi si legge, «s’è havuto notizia, ma imperfetta, che da Monsignor Teodulo moderno auditore della Camera sia stata proferita o per dir meglio precipitata la sentenza…». «Del manifesto del Duca», aveva riferito il 7 dicembre 1641 il nunzio Vitelli, «me l’ha detto Don Venturino, che è stato ricercato di esso da diversi di questi Signori credendo che lui lo havesse et da questi istessi sente dolersene parendoli che il Duca non havesse fatto conto di loro». «Il Conte Scotti», aggiungeva il 21 dicembre, «dice che il Duca non fa altrimenti provisioni di guerra et che non era vero che havesse messo fuori il manifesto che si è detto, perché lui benissimo sapeva che haveva le scritture; domandato però che scritture fossero et l’amico mi disse che una era sottoscritta da Sua Santità mentr’era cardinale a cui fu commessa la causa dell’estrattione da Paolo V, nella quale Sua Santità [si] dichiarò a favore del duca, et l’altre continenti esempii di diversi Principi che disobedienti alla Sede Apostolica et chiamati a comparire non erano stati astretti a farlo personalmente. Io non ho voluto risponder niente mostrando di non vi aplicare» (BAV, Barb.lat. 7719, cc. 66r e 93v). “L’amico” è con ogni probabilità lo stesso don Venturino, ossia Vittorio Siri.

[4] Peresio, p. 11. Le scritture relative a Modena in Siri, Mercurio, III, 1652, pp. 105 sgg. e in Ristretto. Vedi anche Defensio iurium S. Sedis Apostolicae pro responsione ad manifestum publicatum ex parte Serenissimi D. Ducis Mutinae super praetensa occupatione ducatus Ferrariae. In qua Ducem Caesarem Estensem ... ad dictum feudum admitti non debuisse ... demonstratur, snt, 6 f. p.72 [2] pp., cm 35,5 (copie in BAV: R. G Storia I.268; R. G. Misc. I.11[6]). In BAB, ms 436 a f. 1 Discorso fatto per parte del Ser.mo di Modena [Francesco I] da un suo ministro assai più copioso del primo presentato a’ piedi di N.S. Papa Urbano VIII sopra le pretensioni che esibisce di Comacchio, Cotignola, Argenta, Lugo, S.Potito, Cento e la Pieve et altri beni allodiali, feudali e livelli. A f. 39: Risposta al manifesto del Ser.mo di Modena fatto dal Sig. Pietro Francesco De Rossi avvocato concistoriale; premesse le Ragioni che ha la sede Apostolica sopra Comacchio.

[5] BAV, Vat.Lat. 7098, Aviso per li ministri del Re Christianissimo e Cattolico nel corrente conclave d’Urbano 8° con breve racconto dell’ordinarie inclinationi de Papi et del passato governo barbarino (incipit: “È materia troppo ventilata”) c. 299r. Contelori era certamente tra i polemisti al servizio dei Barberini il più odiato dai Principi italiani. Il filomediceo Discorso dell’ingratitudine de i Barberini del 1644 (incipit: "A torto V.S. querela...") lo indicava come il principale responsabile di quella campagna: «Monsignor Contilori  (benché meriti la mazzuola per meno suo patimento) pure bisogna farlo entrare in questo ballo: fu quest’huomo figlio di un miserabile venditore di olio, educosi fra gli Orfanelli e giunse a tanto che meritò la gratia del Papa e la confidenza degl’intimi suoi pensieri, e a tutto haveva sodisfatto servendo bene nel suo esercizio, ma avanzatosi a richiesta de i Barberini nello scrivere rabbiosamente (se bene bugiardamente) contro tutt’i Principi d’Italia, uscì dall’obligo del proprio servizio entrando in quello del benefizio, per il quale se le doveva gratitudine. Beneficò in un certo modo i Barberini, per rispetto de’ quali questo scemonito tirò contro di sé l’odio universale e però meritava  (se bene per cattive strade) la ricompensa della sua salvazione, non sapend’io come persuadermi che huomo tanto maligno possa più comparire netto di volto, mentre fu sporco nell’animo e spiritato nel cervello al disprezzo di tutta l’Italia». Tra gli scrittori che avrebbero meritato la gratitudine dei Barberini veniva nominato anche mons. Maraldi, non so però se come autore proprio di quei libelli o di altro (BAV, Chig. I.III.87, cc. 255-256).

[6] BUB, ms 1058 (1692), Ristretto del seguito armamento... (incipit: “Avendo il duca di Parma…”), c. 285v; ivi anche ms 1173 (1925) c. 74v.

[7] Melzi, II, p. 465.

[8] Ameyden Diario (cito però da ASV, Fondo Bolognetti 88, cc. 61v-62r): «... si prese l’assunto di rispondere alla scrittura del Duca di Parma e non havendo egli altre lettere che di paragrafi e di quelle anche assai meno della propria stima». Ameyden attribuiva la morte del Cerri principalmente al timore delle possibili conseguenze della sua inadempienza. Su Antonio Cerri, noto giurista e padre del futuro Card. Carlo (la Manchester City Art Gallery ne conserva il busto, opera dell’Algardi) vedi Marco Palma in DBI.

[9] Nicoletti, IX, cc. 4-5, 59, 112-116, 179. Siri, Mercurio, II, 1647, p. 144.

[10] BAV, Barb.lat. 8820, 78r, Francesco a Taddeo 12 marzo 1642: «Si sta replicando al Manifesto del Duca di Parma et spero invierò qualche cosa a Vostra Eminenza».

[11] L’attribuzione è sostenuta dal Ranghiasci, dal Moroni (che però dipende da Ranghiasci), dal Melzi, II, p. 106 e recentemente (e autorevolmente) da Franca Petrucci (voce Contelori in DBI). Ma Beltrani non fa parola dell’opera e Nicoletti non menziona che il gesuita Alberto Morone.

[12] La versione manoscritta si può leggere in BAV, Barb.lat 5387: il testo occupa 18 carte numerate; incomincia: “Ill.mo Sig.r e P.ron mio Col.mo / Perché V.S.Ill.ma mi richiede con tanta instanza, anzi come dice, per giustitia….” e termina: “...Questo è quanto così in fretta posso scrivere per sodisfare alle dimande di V. S. Ill.ma. alla quale tanto devo; se altro desidera, sarò pronto a servirla, e le bacio le mani etc. / Alberto Morone della Comp.a di Giesù”. Cfr. le copie segnalate in bibliografia. Le edizioni a stampa sono due, entrambe anonime: la prima di [4] 47 pp., 31 cm (copie in BAV: Barberini FF.V.53 e FF. VIII. 65, int. 1); la seconda di [30] 223 pp., 14 cm (copie in BAV: Racc. Gen. Storia VI.205, Barberini Q.VI.32, Capponi VI. 317).

[13] ASV, Fondo Spada 17, c. 321r. Spada scriveva il 2 agosto al fratello: «l’istesso Padre Morone mi manda la sua scrittura parmigiana bella e stampata» (ASR, SV 563): la stampa era dunque finita in luglio. Anche Testi lesse la Lettera in agosto. La trovò «assai ordinaria e dozzinale». E aggiungeva, non certo in tono di apprezzamento: «è farina di Barberino» (Testi 1566, 27 agosto 1642).

[14] Lettera scritta, prima ed., A chi legge, p.n.n.

[15] La scrittura inviata al nunzio Grimaldi in aprile era quasi certamente la prima versione (manoscritta) della Lettera scritta a un signore. In novembre gliene venne spedita un’altra, che, scrivevano da Roma, «se bene non discorda da quella che fu mandata, si è aggiustata meglio dell’altra» (ASV, Segr. Stato, Francia 91, c.166r, al Nunzio 11 novembre 1642). Suppongo che questa nuova scrittura fosse la seconda edizione a stampa della Lettera: se si fosse trattato della prima, infatti, disponibile già a luglio, non vedo perché si sarebbe dovuto aspettare novembre per inviarla a Parigi.

[16] L’edizione si apre con un Giuditio delle citationi de’ Dottori apportate nel libro stampato per le ragioni del Sereniss. di Parma e con una avvertenza A chi legge che dà ragione dei nuovi massicci interventi.

[17] Vedi nell'appendice dedicata ad Alberto Morone, la lettera a Becillo del 20 giugno 1644, a proposito di un'altra opera, oggi perduta, del Morone - una vita di Urbano VIII - giudicata anch'essa da Becillo troppo lunga. «Questo adunque è: che gl’avversari istessi habbiano la mia sola Risposta ristampata e con lode di sodezza e di tessitura onde io argomento che quello che Vostra Signoria mi attribuiva a vitio, sia stata la principal virtù del mio libro con la quale i lettori si sono resi docili e capaci dei fatti. Il che gl’autori, benché dottissimi, delle altre risposte, forse per troppa brevità non hanno conseguito e per non essersi al mondo ispiegati con la narratione che era necessaria». Qui Morone pensava probabilmente agli eruditi e ai giuristi romani direttamente ispirati dalla Curia, ma pare che non solo da Roma uscissero risposte al manifesto di Parma. Nel giugno del 1642, ad esempio, Vitelli mandava da Venezia al Cardinale Barberini una scrittura in difesa della Santa Sede di cui non precisava la provenienza: «Accennai all’Eminenza Vostra che era comparsa in Senato una risposta al libro del Duca di Parma. Con la diligenza che si è usata si è havuta et sarà qui congiunta. La scrittura è piaciuta se ben breve»: BAV, Barb.lat. 7724, c. 38v, Vitelli, 28 giugno 1642; la scrittura è a cc. 32-33; incipit: “Il libro del Duca di Parma cinque cose contiene…” (copie in BMV, ms It. VII. 877 (8651) cc. 222-223 e in BUB, ms 1058 (1692), cc. 280-282). Come riconosce Siri, Mercurio, 1647, 819, «non mancavano lingue e penne favorevoli alla causa de’ Barberini»; cfr. in proposito Capriata, Historia, III, p. 2 e Della Torre, Historie,II, pp. 700-702 e si veda ad es. BAV, Ott.lat. 2435, cc. 513-540, Dialogo tra Garimberto et Altovino, inc: “G. Siete pur d’esso o Sig. Altovino…”. Sul versante opposto, a parte i più noti libelli “pallavicineschi” come il Corriero Svaligiato, la Baccinata, il Divorzio Celeste, circolavano manoscritte altre scritture, più moderate nei toni, ma, proprio per questo, di scarsa efficacia e di nessuna sostanza, come ad es. l’Humile rimostranza per la desiderata pace d’Italia in BMV, ms It. VII. 876 (8650), che inizia “Io confesso Beatissimo Padre…”. La Scrittura in disapprovazione della guerra di Urbano VIII contro il Duca di Parma in BUB, ms 1379 (2306), cc. 195 sgg, è un estratto della Baccinata. Guerra “insensata”, “fulmine a ciel sereno”, “castigo di Dio” giudicava la guerra di Castro un breve Discorso sopra la guerra (incipit: “Chi considera le ragioni della guerra…”), una delle poche scritture che, senza parteggiare per nessuno dei contendenti, sollecitavano, ad evitare il disfacimento del sistema italiano, un rapido componimento del conflitto.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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