Il maggior negotio... d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7

Committenti, destinatari, autori

A chi erano destinati pronostici e statere? Maria Antonietta Visceglia ha osservato giustamente che questo tipo di scritture non era rivolto, soprattutto all’inizio, a un pubblico indifferenziato e non circolava, almeno di norma, per mezzo della stampa.[1] L’ambito naturale di queste raccolte prosopografiche era quello (preminente per buona parte del Seicento nella pubblicistica politica e soprattutto in quella relativa all’attualità immediata) della circolazione manoscritta che, meno esposta alla censura delle autorità, poteva anche essere piuttosto ampia, ma che, per forza di cose, non ultimo il prezzo elevato di tal genere di manufatti (nel 1646 il manoscritto della Giusta statera de’ porporati si vendeva a Roma a sei scudi la copia,[2]) interessava un pubblico in qualche modo selezionato e qualificato.
Il carattere della riservatezza, del resto, magari finto, era quasi sempre esibito dagli autori come segno di pregio delle proprie scritture e veniva sottolineato dalla forma epistolare che per lo più veniva da loro adottata: anche nelle versioni più popolari, pronostici di Conclave e stadere ricercavano nell’informazione al Principe o nell’istruzione al ministro il proprio modello, quasi a fregiarsi di un nobilitante marchio d’origine. Ma a chi fosse destinata la scrittura non era quasi mai indicato. Sempre secondo Maria Antonietta Visceglia, non sarebbe impossibile individuare anche in questi casi, per via di indizi o riferimenti indiretti, destinatari e committenti. Confesso di non esserci riuscito quasi mai, sicché preferisco pensare che destinatari e committenti, anche se nominati, fossero nella maggior parte dei casi, come del resto avveniva in altri generi di scritture politiche, inesistenti: un mero artificio, un’invenzione letteraria.
Quando il destinatario era indicato con precisione poteva anche trattarsi, naturalmente, di un vero e proprio committente. Forse è il caso delle anonime (ma di Cesare Magalotti) Osservazioni sopra la futura elezione del Sommo Pontefice e sopra li meriti de i Cardinali che passano gli anni cinquanta della loro età del 1652, dedicate All’Ill.mo et Ecc.mo Sig.re il S.r Gabriele Riccardi marchese di Chianni Ambasciator ordinario del Ser.mo Gran Duca alla Santità di N.S. Innocenzio X,[3] che ho già avuto modo di citare.
Il Discorso di Giulio Cesare Braccini, anch’esso già ricordato in queste note, intorno allo stato presente del Collegio Apostolico nel quale si dà notitia delle qualità, aderenze e interessi di tutti i cardinali che vivono in maggio del 1635 e di altre cose in ordine alle pretensioni di ciascheduno [4] era stato scritto per il cardinale di Lione e quasi certamente su sua esplicita commissione. Era destinato ad esser letto da lui solo: la possibilità che «passasse in mano di altri» non era formalmente esclusa dal Braccini, ma lasciata all’arbitrio del Cardinale e comunque, par di capire, non oltre i limiti di una ristretta cerchia di intimi. La circolazione in pubblico, insomma, non era prevista e in effetti ho l’impressione che, almeno in Italia, il Discorso di Braccini non sia circolato affatto: non ne conosco che una copia, che, tra l’altro, è una copia di lavoro.[5]
La relazione sul Sacro Collegio di Girolamo Frachetta del 1603, pubblicata diversi anni fa da Enzo Baldini, aveva anch’essa un destinatario preciso, il Marchese di Villena, allora ambasciatore di Spagna a Roma, il quale però non solo non ne aveva sollecitata la stesura, ma non gradi affatto l’iniziativa del suo consigliere e vi reagì in malo modo. La pubblicazione della relazione (che procurò all’autore un mucchio di guai, non solo per aver sottovalutato l’opera dello Spirito Santo nei Conclavi, come ho detto e come all’epoca fu detto, ma anche e soprattutto per aver espresso, a servizio e utile del Re senza peli sulla lingua, giudizi severi su diversi cardinali) pare che sia stata una maliziosa iniziativa dei nemici dello stesso Frachetta [6]. Una versione del 1655 della Giusta Statera de’ porporati era dedicata al principe Mattia de Medici, ma, come dirò più avanti, sono tutt'altro che sicuro che il dedicatario dichiarato ne fosse anche il committente, come l’autore vorrebbe far credere. 
Quel che mi sembra costituire davvero la novità delle stadere che presero a circolare verso la metà del Seicento, è che la loro divulgazione non era più un’eccezione, uno sciagurato accidente, come nel caso del Frachetta, o una eventualità non prevista e non necessaria, come in quello del Braccini, ma il loro esito naturale, perseguito in piena consapevolezza, nonostante i rischi, dai loro autori. A quale scopo? Be’, immagino, a parte eventuali intenti polemici o propagandistici legati a precisi interessi di partito o di consorteria, anche solo a fini di guadagno personale. In questo caso il fatto nuovo consisterebbe appunto nella comparsa (o nel sensibile rafforzamento), nel più ampio mercato delle scritture politiche, di questo particolare tipo di domanda e nel corrispettivo emergere, nel mondo degli scrittori di attualità romanesche, di una accentuata tendenza alla specializzazione in questo genere. 
Se si escludono le relazioni di ministri e ambasciatori, altrettanto e più difficile dei destinatari risulta individuare gli autori e le circostanze di composizione di pronostici e stadere. A differenza delle relazioni di Conclave, o almeno di quelle più importanti, delle quali sono per lo più noti tempi e occasioni di scrittura e di cui spesso si conosce la paternità, diretta o indiretta (gli scritti che andavano sotto il nome di un cardinale potevano ben essere opera di un suo segretario o conclavista), Papeidi e Stadere circolavano (se circolavano) rigorosamente anonime.[7] Le traversie di Frachetta o quelle di Troiano Maffei, presunto autore di una prima versione della Giusta statera de’ porporati, di cui parlerò più avanti, sono solo due esempi dei rischi che correvano gli autori in caso di identificazione. In più le statere erano, per così dire, scritture “aperte” nel senso che potevano subire periodici rifacimenti e adattamenti, per mano dello stesso o di diversi autori, in relazione ai cambiamenti nella composizione del Sacro Collegio, alle mutevoli simpatie di chi di volta in volta le compilava e, soprattutto, in relazione al pubblico a cui erano destinate: il che rende difficile accertare con precisione la stessa data di composizione delle scritture. Tanto più che anche nei casi in cui (e non sono la regola) una data veniva indicata esplicitamente non mancano incongruenze e anacronismi che la mettono in forse.[8]




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[1] Visceglia 1996, pp. 170-171. La prima scrittura del genere a comparire a stampa fu, nel 1650, come dirò più avanti, una versione, per altro alquanto scadente, de La giusta statera de’ porporati.

[2] L’indicazione si trova nella scrittura che comincia “Troiano Maffei ha pubblicato giudicialmente...”

[3] BAV, Chig. C.III.60, cc. 1-106 e BAV, Ferr. 59, incipit: “Quanto a gli huomini…” Sul Marchese Gabriele Riccardi, che fu residente a Roma tra il 1645 e il 1658, vedi Paolo Malanima, I Riccardi di Firenze. Una famiglia e un patrimonio nella Toscana dei Medici, Firenze, Olschki, 1977 e ora Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’“Italia spagnola”, II, 1587-1648, a c. di Francesco Martelli e Cristina Galasso, Ministero per i beni e le attività culturali. Direzione generale per gli archivi, 2007.

[4] BAV, Barb.lat. 4657, cc. 90-134, incipit: “Il governo ecclesiastico in tutti i tempi...”

[5] Presenta infatti diverse correzioni e annotazioni a margine.

[6] Baldini, p. 51.

[7] A quelli di Girolamo Frachetta e Troiano Maffei si potrebbero aggiungere i più noti guai passati da Agostino Mascardi, che aveva, sì, scritto un conclave, ma che, per eccesso di polemica, lo aveva trasformato in una sorta di devastante papeide (Mannucci, pp. 92-103).

[8] Senza contare che non sempre è chiaro a quale evento si debba riferire la data. Mi limito qui a portare come esempi solo scritture di cui mi occupo in queste note. Il più volte citato Discorso del Braccini è stato scritto nel maggio del 1635, ma la lettera dedicatoria è datata 25 luglio. Spesso la data si riferisce alla copiatura del testo e non alla stesura: è il caso delle due scritture (la cui stesura risale a qualche mese prima) in BAV, Barb.lat. 4681, cc. 223-231 (incipit: “Io voglio pur credere”), dove è annotato: “Cominciato a copiare alli 2 di maggio 1644 in Roma, lunedì tardotto” e cc. 232-233 (incipit: “Noi siamo qua alla vigilia…”) che presenta una nota quasi identica. Sempre alla primavera del ‘44 risale l’annotazione che compare su una copia di “Quello che sarà eletto per conclavista...” (BAV, Barb.lat. 4702, 19-22) che recita: «Cominciato a copiare lunedì 23 di maggio 1644 in Roma doppo desinare». Evidentemente i centri scrittori si preparavano alla morte del Papa e, col crescere della domanda nell’attesa del nuovo conclave, aumentavano la produzione e la riproduzione delle scritture. Rifacimenti e aggiornamenti della stessa scrittura potevano avvenire però a intervalli anche lunghi di tempo e non necessariamente in rapporto ai malanni veri o presunti del Papa. Il caso forse più evidente è quello della Giusta statera de’ porporati: ne parlerò distesamente più avanti. Il Discorso che comincia “Non era se non cosa…” risale all'agosto del 1651 come è indicato in ASR, SV 112 (numerazione antica: 161) e come risulta da altri elementi, ma la copia in BAV, Barb.lat. 5681 ha la data del 1653. Sempre all’agosto 1651 dovrebbe risalire la risposta (incipit: “Carissima mi è stata…”); in ogni caso, essa è anteriore al 3 settembre, visto che non vi si fa cenno della morte di Panciroli; ma la copia della risposta conservata in BAV, Barb.lat. 4673 è datata 1654, corretto (ma da mano diversa da quella che scrive il testo) su un precedente 1651. In questo caso sembra impossibile dire a che cosa si riferisse l'indicazione del 1654: non può trattarsi della data in cui è stata fatta copia della scrittura, che è certamente posteriore come si deduce da una nota a c. 194r, che recita: «Erano morti quando fu fatta [ossia copiata] questa risposta li cardinali Bragadino [28 marzo 1658], Panziroli [3 settembre 1651], Altieri [26 novembre 1654], Rocci [25 settembre 1651], Trivultio [3 agosto 1656]».


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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