Il maggior negotio... d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7

Modi e gradi della papabilità

A parte contaminazioni e sovrapposizioni di generi, non solo possibili ma frequenti e per certi versi inevitabili, si può immaginare che un genere evolvesse col tempo in qualcosa di diverso e sostanzialmente nuovo. Parrebbe il caso di quelle rassegne di cardinali papabili che, tradizionalmente incluse in pronostici di Conclave o in relazioni della Corte di Roma, verso la metà del Seicento si affermarono come genere autonomo e relativamente popolare, contrassegnato nel suo filone più sguaiato (quello, per intenderci, della Giusta statera de’ porporati) da una accentuata tendenza al pettegolezzo, all’oscenità, alla rappresentazione grottesca dei costumi di Curia: un filone pubblicistico, che costituì, nel bene e nel male, una sorta di ponte tra la polemica anticuriale di Ferrante Pallavicino e l’opportunismo giornalistico di un mestierante come Gregorio Leti, raccoglitore e rivenditore di materiali di seconda mano, sempre in bilico tra indignazione e filisteismo, tra amore per lo scandalo e vocazione predicatoria.
Nei pronostici di Conclave l’individuazione di una rosa di probabili candidati al pontificato implicava necessariamente un esame, più o meno esteso o approfondito, dei papabili, ossia dei cardinali in possesso dei requisiti ritenuti indispensabili per l’elezione.[1] Di gran lunga il più importante di questi requisiti era l’età avanzata, che però poco o nulla aveva a che fare con la maturità, l’esperienza o la presunta saggezza della vecchiaia, e molto, invece, con la speranza di vita del candidato, ossia con la durata prevedibile del suo pontificato.[2]
Detto un po’ alla grossa, maggiore era la speranza di vita del candidato, minori erano le sue probabilità di riuscita, soprattutto se il Conclave faceva seguito a un pontificato lungo. L’età minima considerata generalmente necessaria per un papabile oscillava tra i cinquanta e i cinquantacinque anni,[3] ma tutti i candidati sotto i sessanta erano stimati “giovani” e, scriveva Cesare Magalotti, «forse troppo giovani», nonostante i recenti e fortunati esempi di Urbano VIII e Paolo V, quelli che non superavano i cinquantacinque.[4] L’età più appropriata appariva quella tra i sessanta e i settanta anni.[5] Non si trattava però di valori tassativi, perché, trattandosi di speranza di vita, molto, come è ovvio, dipendeva dallo stato di salute del papabile. Una salute malferma poteva compensare un’età relativamente giovanile e, in ogni caso, rappresentava un eccellente atout per chiunque si “imbarcasse” nella competizione. Di qui, l’ostentazione o la simulazione, prima e durante il Conclave, da parte degli aspiranti al papato, di disturbi, infermità, debolezze di costituzione (non però deformità o impedimenti fisici ridicoli o ripugnanti, che costituivano semmai serio motivo di esclusione).[6]
È appena necessario aggiungere che la qualifica di “papabile”, legata essenzialmente all’età e allo stato di salute, non implicava affatto una qualsiasi probabilità di venir candidati in Conclave.[7] I papabili erano molti, i candidati “veri” pochi, anzi pochissimi. Perché un papabile potesse “imbarcarsi” davvero nella competizione occorreva quanto meno l’«aura (come si suol dire) del Collegio e della Corte»,[8] ossia una sorta di giudizio di idoneità espresso dagli ambienti di Curia, a formare il quale concorrevano diversi elementi, a cominciare dall’esperienza maturata e dall’abilità dimostrata nei governi, negli uffici e nelle nunziature.[9]
Una buona cultura contava, ma se l’ignoranza era un “obice”, ossia un handicap, la troppa letteratura lo era, forse, anche di più.[10] L’esser buon religioso (o almeno averne la fama) era indispensabile, ma un papa troppo zelante, di solito, non era ben accetto. Un’origine oscura era motivo di esclusione, ma l’esser principe sovrano lo era altrettanto. In genere l’eccessiva “grandezza”, comunque la si intenda, non giovava: il Collegio cardinalizio e i principi laici concordavano nel preferire come pontefici uomini di mediocre autorità e di “bassa condizione”, il primo per non essere emarginato dal governo più di quanto la tendenza già in atto da un buon secolo non comportasse,[11] i secondi per scansare un possibile antagonista quanto più qualificato tanto più temibile.[12] Molti arrivano ad esser cardinale, si legge in un Discorso della Corte di Roma del 1626, ma pochi possono aspirare «all’acquisto del glorioso titolo di Cardinale Grande»: qui nobiltà e ricchezza anche se assolutamente necessarie, non erano più sufficienti, se non erano accompagnate da adeguati meriti intellettuali e morali.[13] D’altra parte proprio i troppi meriti potevano costituire un ostacolo: come scriveva nel 1650 Cesare Magalotti a proposito di Sacchetti, «difficilmente a quel solio può ascendere chi è tenuto in concetto di gran cardinale».[14]
Per finire ricordo che, come si conviene a un sistema di governo fondato sulla pratica del nepotismo, quello a cui soprattutto si badava era non la persona del futuro pontefice, ma la famiglia. «Hoggi non si mira al soggetto m’alli parenti che hanno», si legge nella Giusta statera.[15] Cesare Magalotti (se sono sue, come credo, queste parole) la pensava esattamente allo stesso modo:

«La reflessione che si fa solo alle persone proprie de i soggetti Papabili è vana né serve per far pronostico della riuscita delli pontificati; si ha principalmente da prevedere chi sarà il nepote regnante al quale si appoggerà l’autorità della direzione de’ negotii».[16]
A parte il dominante, però, tutti i nipoti, maschi e femmine (i giovani in particolare, disponibili per scambi matrimoniali in funzione di quel sistema di alleanze che ogni nuovo pontificato finiva prima o poi per definire) e tutti i parenti prossimi contavano.[17] Il loro stesso numero era un elemento importante di valutazione e una parentela numerosa era di solito considerata un impedimento all’elezione: basti infatti pensare agli effetti che poteva avere nella distribuzione delle cariche e dei benefici e alle preoccupazioni che la cosa doveva destare in Curia.[18]

Non è difficile a questo punto immaginare quanto ristretta dovesse essere, in ultima analisi, la rosa dei cardinali davvero “papabili” e quindi, come ho già avuto occasione di suggerire e contrariamente a quello che comunemente si credeva o si diceva, quanto frequentemente i pronostici degli esperti, se non erano commissionati dagli stessi interessati o condizionati da colleganze di partito o di fazione o comunque ispirati da particolari simpatie o antipatie, potessero indovinare il risultato del Conclave.[19]




paragrafo precedente * paragrafo successivo * inizio pagina


[1] Per formulare un pronostico «è necessario venire a particulari della qualità, confidenza e diffidenza di ciascun cardinale, di quelli però solamente parlando che […] al presente si credono papabili»: BAV, Barb.lat. 4676, Discorso sul futuro Conclave in caso che venisse a morte Urbano VIII (incipit: “Quant’ordinaria è sempre stata…”), c. 15.

[2] Già Lottini aveva indicato nell’età un criterio fondamentale per delimitare la rosa dei papabili. La cosa è confermata da tutti gli autori. Le ragioni erano molteplici e tutte facilmente comprensibili: per dirne una, un candidato giovane avrebbe sicuramente incontrato l’ostilità dei vecchi a cui la sua elezione avrebbe tolto ogni speranza di essere a loro volta eletti. Anche i Principi laici, naturalmente, preferivano avere a che fare con un pontefice debole e l’età cadente era, per un papa e per il suo entourage, un paralizzante fattore di incertezza: a Filippo II era attribuito il detto (ricordato nella Risposta di N a due lettere scritte…, incipit: “Bisogna che voi siate il favorito della fortuna…” in ASV, Fondo Pio 81, cc. 92-99; copie in BAV, Barb.lat. 4675, cc. 221-224, e BAV, Vat.lat. 7098, cc. 247-252) «che sia meglio per lo mantenimento della Monarchia concorrere in un soggetto diffidente ma vecchio, che in un amico ma giovane...». Nel caso di pretendenti “giovani”, però, come ricordava l’autore dei Ricordi per Cardinale Papabile circa il governarsi e dentro e fuori il Conclave… (incipit: “Cardinale Papabile prima deve acquistarsi l’aura…”), molto giocava l’abilità manovriera del candidato, la lunghezza del Conclave (e quindi la stanchezza dei cardinali) e, come sempre, un pizzico di fortuna. Il cardinale giovane, insomma, non mancava di chances: «deve però aspettare che prima vengano esclusi molti» e, possibilmente, i più autorevoli tra i candidati (come del resto accadeva di frequente proprio all’inizio del Conclave). I capifazione, infatti, rimasti a corto di candidati, cominciavano a temere di non riuscire a eleggere una loro creatura e i cardinali vecchi non osavono più esporsi in nuove esclusioni per non rischiare di sbagliare e incappare proprio nel nuovo Papa e così inimicarselo: «può servir per regola che poche volte fallisce, che doppo un Conclave dove siano intervenute diverse esclusioni non sarà difficile ad un Cardinale di fresca età di riuscir Papa». Era stato il caso di Urbano VIII (55 anni) e di Paolo V (53) e, prima di loro, di Gregorio XIII (58 anni) e Clemente VIII (56 anni).

[3] Tra i pronostici e le statere che assumevano i cinquanta anni come limite per l’attribuizione della qualifica di papabile ricordo, con le citate Osservazioni di Cesare Magalotti (di cui tornerò a parlare), lo Squittinio di alcuni cardinali ritenuti Papabili e di poter succedere a Papa Urbano VIII (BAV, Ferr. 757, pp. 657-685, incipit: “Se un principe o potente assoluto…”). Alzavano il limite a cinquantacinque la Proposta sul futuro Conclave essendo per mancare Innocenzo X. 1651 (incipit:“Non era se non cosa da stupire...”, BAV, Barb.lat. 4673, cc. 142-174; anche di questa scrittura tornerò a parlare), il Discorso toccante le qualità de Cardinali che possono aspirare al Pontificato nella presente sede cavante d’Innocenzo Decimo (incipit. “E’ morto Innocentio X…”, ASV, Fondo Pio 81, cc. 6-36 e, senza titolo, BAV, Barb.lat. 4675, cc. 113-131), il Discorso sopra alcuni Cardinali Papabili nell’occasione della sede vacante per la morte di Alessandro VII (BAV, Barb.lat. 4679, cc. 96-102, incipit: “Dovendo discorrere a parte delle qualità...) ecc.

[4] Nelle Osservazioni citate (incipit: “Quanto a gli huomini…”).

[5] È un’osservazione che ricorre spesso. Vedi, ad esempio, la biografia di Gio Domenico Spinola in Magalotti, Discorso sopra i cardinali viventi nella presente sede vacante nell’anno 1644 (BAV, Chig. I.III.87, cc. 282-325; ne parlo più avanti) o il Discorso sul futuro Conclave in caso che venisse ora il Conclave nella presente estate 1637 (BAV, Barb.lat. 4675 cc. 83-84, incipit: “Il futuro Conclave posti molti accidenti...”). Una conferma: nei quatro secoli che vanno dal pontificato di Martino V a quello di Pio VII l'età media di elezione dei papi è stata di sessantadue anni (Antonio Menniti Ippolito, Il governo dei papi nell'età moderna, Roma, Viella, 2007, pp. 21-22).

[6] Come ho ricordato a suo luogo, le male lingue dicevano che Pamfili (che era l’unico tra le creature urbane ad avere un’età convenientemente avanzata) nel Conclave da cui uscì papa mostrava di esser anche più vecchio e stanco di quel che era. Anni dopo, Rocci, le cui ambizioni erano note, a detta del Discorso sopra quei Cardinali Papabili che passano 55 anni (incipit: “Non era se non cosa…”), se la dava da “cadente”: «si udì mai al mondo», si domandava l’autore, «brama tale che oblighi l’amico a congratularsi con Rocci che in somma ci siano pochi mesi per lui...?» (BAV, Barb.lat. 4695, cc. c. 277r). Nella Giusta statera, p. 25, si legge che Orazio Giustiniani, che per altro aveva superato i settant’anni, avendo «non poca pretensione al Papato, […] non si fa troppo spesso la barba per dimostrarsi forsi per più vecchio». Un caso esemplare fu, nel Conclave del 1655, quello di Rapaccioli la cui candidatura si affacciò, con buone probabilità di riuscita, nonostante la giovane età, dopo la defatigante e inutile maratona dello Squadrone volante per Sacchetti. «Di niuna cosa stupì più il Conclave che della pretensione del Card. Rapaccioli il quale troppo immaturamente era entrato a pretendere il Papato» ma «erano tante e tali l’indispositioni di Rapaccioli, che di lui si poteva sperare due o tre anni di vita» (BAV, Barb.lat. 4681, Conclave d’Innocenzo X nel quale fu creato Papa Alessandro VII, incipit: “Alli 7 di Genn.o Pross.o a hore 13 dopo una lunga malattia…”, c. 239v). «Rapaccioli giovane di 46 anni ma decrepito per l’indispositione havendo una miniera di pietre nelli reni e questo è quello che l’ha fatto imbarcare più del dovere…» (ASV, Fondo Pio 81, Lettera Scritta da N. ad un suo amico sopra li Cardinali Papabili, incipit: “Per sodisfare nel miglior modo…”, c. 79r). A Rapaccioli «non gli farà ostacolo veruno la lontananza da i 70 anni, che alcuni stimano necessarii per esser Papabile. Le sue indispositioni sono pur troppo manifeste [...] mira da vicino (così non fosse) la morte questo Signore» (BAV, Barb.lat. 4675, Risposta di NN a due lettere scritte contro molti Cardinali Papabili, incipit: “Bisogna che voi siate il favorito della fortuna…”, c. 224). Indisposizioni, quelle di Rapaccioli, reali, ma anche ostentate: «passo il racconto di molte debolezze del Cardinal Rapaccioli, che con lo star spesso al letto e publicar di far giornalmente calcoli, credeva li riuscisse il conto che faceva d’esser Papa…” (BAV, Barb.lat. 4670, cc. 409-453, Il Mercurio o vero la verità smascherata. Conclave di PP. Alessandro VII, incipit: “Che la creatione del Papa sia opera…”, c. 429v). Qualche esempio per epoche diverse in Menniti Ippolito (luogo cit. nella nota precedente).

[7] Un solo esempio: Cesare Magalotti nel 1652, su trentotto cardinali “papabili” non ne elencava che nove con qualche probabilità di diventar papa e tutti, salvo Chigi, che fu poi realmente eletto, con “obici” più o meno pesanti (Magalotti, Osservazioni sopra la futura elezione del Sommo pontefice, cit., BAV, Chig. C.III.60, cc. 104v-106r).

[8] Rapaccioli (incipit: “Non mi domanda poco...”, BAV, Vat.lat. 13418, p. 2). «L’aura è una buona fama di huomo di valore, di bontà e di meriti con applauso che sia degno del supremo honore del Pontificato»: BAV, Barb.lat. 4679, Ricordi per Cardinale Papabile…, (incipit: “Cardinale Papabile prima deve acquistarsi l’aura…”), cit., c. 47. Oltre a “avere l’aura”, c’erano diversi altri modi di dire la stessa cosa. Rapaccioli, ad esempio, attribuiva ad Albornoz l’espressione «essere in collo di corridore» che, sulle prime, parve oscura a molti, ma poi, interrogati  «i più periti» di maniere spagnole, si stabilì equivalere a essere «in concetto, in aura o in riga di papabili» (Rapaccioli, ms. cit. c. 39 e 42; cfr. ASV, Bolognetti 21, c. 262r).

[9] Su questo requisito aveva molto insistito Cesare Magalotti nel Discorso intorno al Pontificato presente. Considerazioni pel futuro, 7 marzo 1650 osservando come dopo  Martino V nessuno fosse stato eletto Papa «il quale avanti non havesse havuto il maneggio delle cose politiche come di nunziature, legazioni, ambasciaria di principi o plenipotenza assoluta dell’istesso Pontificato» (BAV, Chig. C.III.60, incipit: “ È opinione invecchiata…”, cc. 279-280); un paio di anni più tardi, però, nelle Osservazioni sopra la futura elezione del Sommo Pontefice (incipit: “Quanto a gli huomini sia difficile…”) lo stesso Magalotti ammetteva che «questa considerazione, […] benché veramente possi facilitar assai il Pontificato […] non è però necessaria»: più importanti considerava «le dipendenze et amicizie che possono giovare come anche gli ostacoli» e poi «le nature de pretendenti» e «di quelli parenti o favoriti li quali ragionevolmente potrebbero haver parte nel dominio» (BAV, Chig. C.III.60, 104r-v).

[10] «La dissimulazione e l’opinione di esser di poco spirito e di negozi affatto incapace», sosteneva Cesare Magalotti, «a molti fece grand’apertura. Molti li quali ambiscono di esser esaltati vivono ritirati e con frequentar continuamente le loro vigne come facea Sisto Quinto se ne stanno quasi nascosti da ogni commercio» (incipit: “Roma dalle ceneri…, BAV, Chig. C.III.60, c. 116r). Sempre secondo Cesare Magalotti i capifazione preferivano in genere un papa «che non habbi molti parenti, né sia di grande spirito» (Osservazioni, cit., incipit: “Quanto a gli huomini…”, BAV, Chig. C.III.60, c. 2v). Tra gli appunti che lo stesso Magalotti muoveva a Urbano VIII c’era l’eccessiva inclinazione alle lettere per le quali «trascurava tal volta le publiche faccende» (incipit: “Roma dalle ceneri…”, c.130r-v); identica osservazione nel Discorso sopra  la Corte di Roma fatto verso la fine del Pontificato di Urbano VIII che, per altro, come dirò più avanti, è forse da attribuire allo stesso Magalotti (incipit: “La constitutione di questa Corte…”, BAV, Ferr. 270, c.125).

[11] Il Discorso sopra il Conclave del 1655 in morte di Innocenzo X (incipit: “Niuna cosa è più importante…”, BAV, Barb.lat. 4681, cc. 254-273) sosteneva ad esempio che all’elezione di Spada potesse essere di ostacolo, tra le altre cose, «la sua troppo grande sapienza» che faceva temere ai cardinali di esser messi da parte come, per altro, succedeva da tempo «per essere il pontificato hogidì ridotto a dominio dispotico» (c. 260v).

[12] Lottini (cito da BAV, Barb.lat. 4673, c. 118v e Vat. Lat. 12175, c. 34r) applicava l’osservazione ai principi laici in generale «perché così non temono novità». Braccini (Discorso intorno allo stato presente del Collegio Apostolico, cit., BAV, Barb.lat. 4657, cc. 130-131) introduceva invece delle distinzioni: gli Absburgo, Imperatore e Re di Spagna, diceva, vogliono il papa «di bassa condizione, povero di spirito e di averi»; la Francia lo preferisce «generoso» (ma Braccini scriveva al Card. di Lione e poteva essere influenzato dalla persona del suo interlocutore), così come la maggior parte dei potentati italiani che sanno «che dal Papa solo possono essere efficacemente difesi»; Venezia non lo vuole dipendente da Spagna ma nemmeno troppo intraprendente. Di lì a poco la guerra di Castro avrebbe dimostrato che, in verità, i Principi italiani non apprezzavano affatto la “generosità” del papa quando non assecondava i loro interessi.

[13] Discorso della Corte di Roma e come si debba governare un cardinale nuovo in quella fatto nel Pontificato di N.S. Papa Urbano 8° l’anno 1626 (incipit: “È mia intentione di rapresentare…”), BAV, Bon.Lud. C 20, c. 363.

[14] [Cesare Magalotti], Discorso intorno al Pontificato presente (incipit: “È opinione invecchiata…”), cit., BAV, Chig. C.III.60, c. 254r.

[15] Giusta statera, p. 115. Ma l'aveva già detto Lottini, p. 485-486.

[16] Discorso sopra il Conclave futuro di Papa Urbano 8° in tempo della guerra contro li Principi collegati et della sua malattia (incipit: “Io voglio pur credere…”). Cito dalla copia in BAV, Barb.lat. 4675, cc. 59r-60v, ma confronto e correggo il brano, alquanto scorretto, con i testi in BAV Barb.lat. 4674, cc. 75-76 e 180, e Chig. I.III.87, c. 61v. Il Discorso si trova a stampa in Conclavi 1691, II, pp. 308 sgg.

[17] C’è solo da precisare che, invece di “famiglia” e di “parenti” bisognerebbe parlare di entourage e di “confidenti”, visto che il dominante non necessariamente era nipote del Papa: quello di Innocenzo X, dopo la breve e non felice esperienza di Camillo Pamphili, fu Panciroli (per non parlare di Donna Olimpia); se Rocci fosse stato eletto Papa, si dava per scontato che il dominante sarebbe stato Bernardino Spada; se fosse stato eletto Fiorenzuola il dominante sarebbe stato l’oratoriano GB Foppa, arcivescovo di Benevento, e così via. Nella sua rassegna Giulio Cesare Braccini sembra badare più ai segretari e agli agenti dei cardnali che ai nipoti (Discorso intorno allo stato presente del Collegio Apostolico, cit., BAV, Barb.lat. 4657, cc. 90-134).

[18] Nel Discorso sopra il Conclave del 1655 in morte di Innocenzo X  (BAV, Barb.lat. 4681, cc. 254-273, incipit: “Niuna cosa è più importante…”), ad esempio, si dice di Spada che aveva poche probabilità di essere eletto perché: «se bene egli si ritrova in età di sessanta anni e più, tiene anco sessanta e più nipoti»; un’osservazione analoga, sempre su Spada, nell’istruzione del 1655 per il card. Colonna BAV, Barb.lat. 4673, c. 201. Contro Lanti, secondo Cesare Magalotti, giocava, tra l’altro, «il numero infinito di parenti» (Magalotti, Osservazioni sopra la futura elezione del Sommo pontefice, cit., incipit: “Quanto a gli huomini …”, BAV, Chig. C.III.60, c. 15v): l’osservazione si ritrova in altre statere, per es. nello Squittinio di alcuni cardinali ritenuti Papabili e di poter succedere a Papa Urbano VIII (BAV, Ferr. 757, pp. 657-685, incipit: “Se un principe o potente assoluto…”); vedi però a questo proposito il Giuditio politico sopra 6 soggetti Papabili nella Sede vacante d’Alessandro VII nel 1667, (incipit: “Cinque fattioni si numerano…”, BAV, Barb.lat. 4679 cc. 111-119): «la multiplicità di nipoti e parenti è il minore impedimento che considerino le fattioni [...] e il più facile ostacolo da superare». La parentela (lungo tutta la carriera di un ecclesiastico e non solo nella condizione di papabile) era un elemento importante per valutare che cosa ci si potesse attendere da lui. Di Durazzo si raccontava che «richiesto un giorno […] da un suo diocesano  a volergli conferire non so quale benefitio rispose egli incontinente: Voi non mi fareste questa domanda se sapeste che ho 34 nipoti e tre cognate gravide» (BAV, Barb.lat. 4673, incipit: “Carissima mi è stata…”, c. 185v).

[19] Lo Spirito Santo, si legge in un pronostico del 1629, «opra in modo che a quel grado supremo sagliono ben spesso quelli che per giudicio mondano più dell’altri n’erano creduti lontani» (ASV, Fondo Pio 1, Discorso sopra chi poteva essere papa…, incipit: “Quant’ordinaria è sempre stata…”, c. 31r). A dir la verità, almeno i papi di cui si occupano queste note, Urbano VIII, Innocenzo X, Alessandro VII, comparivano quasi sempre nei pronostici dei relativi Conclavi tra i probabili eletti, nonostante che il primo e l’ultimo fossero piuttosto giovani per figurare tra i favoriti e il secondo fosse notoriamente poco amato dal Sacro Collegio. Forse lo Spirito Santo tiene conto delle opinioni degli esperti più di quanto non si creda.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

*

Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


*

HOME

*

quaderni.net

 
amministratore
Claudio Costantini
*
tecnico di gestione
Roberto Boca
*
consulenti
Oscar Itzcovich
Caterina Pozzo

*
quaderni.net@quaderni.net