Caduta e fuga: 2a, 2b, 2c, 2d, 2e, 2f, 2g, 2h

Genova barberina

Con la fuga di Antonio si era ricostituita in gran parte intorno ai Barberini l’équipe che aveva gestito la crisi di Castro. Come sembra di poter arguire dalla corrispondenza di Antonio, restava forse qualche malinteso con i Cardinali Bichi e Grimaldi. Ma Bichi aveva fatto la sua parte nel riconciliare Antonio con Mazzarino e il Cardinale Grimaldi assieme a tutta la sua famiglia fecero generosamente la loro nell’organizzare la seconda e più clamorosa fuga, quella di Francesco, di Taddeo e dei figli di Taddeo, assumendovi la stessa funzione che i Raggi avevano svolto nella prima. I Grimaldi e i Raggi erano genovesi e genovese era anche il marchese Barnaba Centurione che, assieme a Francesco Grimaldi, fratello del Cardinale, accompagnò con la sua carrozza i fuggitivi al luogo d’imbarco.[1] Ancora una volta i Barberini trovavano preziose solidarietà in Genova, dove al consistente nucleo delle famiglie tradizionalmente legate alla Casa di Urbano erano venuti a saldarsi gli elementi più o meno palesemente filofrancesi.
Tra questi ultimi il più attivo ed esposto era sicuramente Giannettino Giustiniani, corrispondente di Mazzarino e aspirante al titolo (o almeno alle funzioni e agli emolumenti) di residente francese a Genova. Tra i più autorevoli, con Ugo Fieschi e pochi altri, era Raffaele Della Torre, amico di Giannettino Giustiniani, ma, a differenza degli altri due, non organicamente legato al governo francese, politicamente più antispagnolo che filofrancese e in ogni caso più “republichista” che antispagnolo. Dopo la fuga del Cardinal Antonio, Raffaele Della Torre, che era a Roma quale rappresentante della Repubblica, si era deliberatamente tenuto lontano dai Barberini, perché, come scriveva al suo governo, qualsiasi contatto «havrebbe potuto essere mal inteso a Palazzo, nel quale si vive intorno a ciò con grandissima gelosia, et in questa Corte hanno lingua perfino le mura»[2]. E tuttavia continuò a tenersi, se già lo era, oppure, se non lo era, entrò proprio in questo momento in rapporto, forse per il tramite del Cardinale Rapaccioli, con i Barberini, che avrebbe poi servito come consulente legale e come polemista.
Nonostante le precauzioni prese da Della Torre questi suoi contatti con i Barberini non erano sfuggiti a Palazzo, dove si temeva che i Barberini, come già si credeva che avesse fatto Farsetti, stessero trasferendo fuori Stato, per la via di Genova, ingenti quantità di denaro. Non solo il rappresentante della Repubblica, ma tutta la numerosa colonia genovese a Roma era in qualche modo sospettata. Si trattava di ecclesiastici, appaltatori di gabelle e di monopoli, finanzieri e uomini d’affari che avevano fatto fortuna con Urbano e che presumibilmente conservavano legami di interessi e solidarietà di clientela con i nipoti.
Non meno sospetto, del resto, era il governo della Repubblica, fin dal tempo della guerra di Castro inviso a tutti gli antibarberiniani d’Italia per aver conservato una neutralità assai sbilanciata a favore del Papa. Ma anche di recente Innocenzo aveva trovato motivo di diffidare della Repubblica: nel caso di Farsetti la collaborazione delle autorità genovesi era stata molto fiacca, mentre le accoglienze riservate in Genova al Cardinale Antonio in fuga da Roma stavavano a indicare che la città non credeva o non intendeva contribuire al tramonto di Casa Barberini: una cosa che il Papa non mancò di rilevare e di cui si mostrò apertamente «disgustato».[3]
Allo scopo dichiarato di impedire l’esportazione di contante e di oggetti preziosi per conto dei Barberini furono adottate a Roma rigorose misure di vigilanza. «Sono stati inviati li sbirri alle rive del Tevere», scriveva Contarini agli inizi di dicembre, «quali hanno minutamente guardato nelle barche et aperto alcuni colli, de quali havevano più sospetto. Si è dato ordine alla Dogana di non lasciarne passar alcuno senza licenza». Naturalmente i Barberini potevano esportare quel che volevano «sotto nome del Cardinal Mazzarini, ogni mese spedendosi di qua in Francia da suoi agenti cose bellissime per il medesimo Cardinale», oppure potevano trovare nella stessa Roma rifugi assolutamente sicuri.[4] Si trattava insomma di misure più d’apparenza che di sostanza. Ma se tecnicamente risultavano di dubbia efficacia, erano però tali da fare scalpore, in piena coerenza con la politica intimidatoria adottata, sin dall’inizio dell’estate, contro i Barberini e i loro amici.
La provocazione più grave finì con l’essere diretta proprio contro i Genovesi. Nel novembre a Civitavecchia i cittadini della Repubblica erano stati sottoposti a sistematici e severi controlli doganali. «Furono usati rigori grandi alla gente di Genova in Civitavecchia», annotava l’Ameyden, «con cercare le sue lettighe. Offesa, per quanto dicono li genovesi, che la Republica vorrà un giorno dare la pariglia».[5] A un vero e proprio incidente diplomatico si arrivò quando i papalini perquisirono i bagagli dell’ambasciatore genovese, Raffaele Della Torre, che rientrava in patria al termine della sua missione.[6]
Dal punto di vista formale era uno “strapazzo” grave, un arbitrio ingiustificabile. Non si può dire però che fosse immotivato. Della Torre, infatti, anche se, per un provvidenziale ripensamento dell’ultimo minuto, non aveva portato nulla di compromettente con sé, aveva effettivamente preso parte attiva al salvataggio dei beni dei Barberini.[7] Per quanto ne so, il governo genovese era (e rimase) all’oscuro dell’operato, invero poco corretto, del suo rappresentante.[8] Ma l’ipotesi che ai dirigenti genovesi non dispiacesse favorire i Barberini nel momento in cui Antonio, recuperata la grazia del Re, si apprestava a rientrare trionfalmente alla Corte di Parigi, dove Genova aveva più che mai bisogno di un autorevole patrocinatore, è tutt’altro che azzardata. Da Parigi, il 24 gennaio del 1646, ringraziandolo per i suoi servigi, Antonio scriveva a Della Torre:

«Quanta sia stata la mia mortificazione negl’accidenti occorsi a V. S. Illustrissima per il pensiero hauto di favorirmi in portar le mie robbe non lo saprei bene esprimere [...]. La prego a gradire che io le avvisi il mio salvo arrivo in questa Corte dove dalle Maestà loro e dal Signor Cardinal Mazzerini et dal restante di questi Principi e Signori vengo accarezzato in forma che non posso meritarlo fuori che col desiderio di servire et con la determinatione di sodisfar sempre al debito che ho di farlo. So quanto si consolerà V. S. Illustrissima di tutto ciò et però le ne rendo da hora gratie singularissime et tanto maggior contento deve Ella haverne quanto a me si accresce ogni consolatione in vedere la notitia che qui è delle sue qualità et la stima grande che se ne fa con una dispositione di tutti i ministri di questa Corona verso tutta cotesta Serenissima Republica quali possano loro Signori desiderarla, et ritrovandomi io tanto obligato nel servitio della medesima Serenissima Republica può V. S. Illustrissima considerare quanto ne goda et desideri di haver occasione di servire et al publico et al privato di tutti loro Signori». [9]

Se gran parte della Genova che contava era barberina, Antonio Barberini, dal canto suo, non dimenticava di essere, dopo tutto, nobile genovese.




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[1] Figlio di Luigi (Lodisio) e di Maddalena Salvago (figlia di Accelino), Barnaba Centurione ebbe diverse figlie, una delle quali andò sposa nel 1653 a Stefano Lomellini dei signori di Tabarca. Tra il 1640 e il 1641 era stato proposto più volte per il bando e la sua partenza per Roma credo che risalga appunto a quel periodo (ASG, AS, 1569). Barnaba è citato più volte nella corrispondenza di Raffaele Della Torre da Roma e compare nelle carte camerali e dei Notai di Curia come acquirente di luoghi di monte. Era di tendenze filofrancesi (come del resto suo padre) e nel 1647 fu tra gli interessati a un assento di galere per conto della Francia (Schiaffino, 1647, 11). Alcune sue lettere a Francesco Barberini in BAV, Barb.lat. 10036, cc. 121-128.

[2] ASG, AS, 2355, Registro […] Della Torre, p. 292.

[3] «In effetto Sua Santità è disgustata de […] Genovesi perché in quella Città sii stato ben trattato e ricevuto il Cardinal Antonio e qui a Palazzo se ne dichiarano assai liberamente» (ASVe, DAS, 123, cc. 113v-114r, Alvise Contarini, 9 dicembre 1645). ASG, AS, 2355, Registro […] Della Torre, p. 298, 22 ottobre 1645: «Essendosi nella Corte universalmente parlato assai delli grati accoglimenti fatti costì al Signor Cardinale Antonio, la partenza del quale et altre novità da essa seguite sono molto odiose a Palazzo, ero andato prevenuto [all’udienza], facendomene motto il Papa, con le dovute giustificationi, dubioso non forse havessero cagionato nell’animo di Sua Santità qualche mala impressione. Ma vedutolo chiuso et che in longhi discorsi vicinissimi alla materia non ne faceva motto alcuno, risoluto di addurre le parti mie, introdussi la prattica con dirli che questa era la stagione che in Genova, non diversamente di quello si facesse in Roma, rallentavano i negotii per essere li cittadini posti in godere alle ville la felicità della stagione e che il Signor Cardinale Antonio era gionto a tempo a goderne, mentre si congiongevano insieme i passatempi delle ville e delle veglie. M’udì il Papa senza alcun segno di turbatione, ma con lieto volto e solo mi richiese quanto tempo erano soliti a durare simili passatempi, onde raccolsi assai chiaro che, per quanto li possa spiacere il fatto per cadere in honore di persona odiata da lui, non perciò è tale che escluda in lui la evidenza della ragione che lo scopre giustificatissimo».

[4] Il giorno stesso della fuga i migliori cavalli del Cardinale Barberini erano stati trasferiti da Angelo Parracciani, suo uomo di fiducia, nelle stalle del Cardinale Grimaldi (BAV, Arch.Barb., Indice IV, 222, Parracciani a Francesco Barberini, 20 gennaio 1646). Contarini segnalava già il 9 dicembre che i Barberini avevano «fatti portar in tre carette quasi tutti li loro argenti nella casa di monsù Guiffier agente di Francia». Parecchia altra roba (tra cui uno Sposalizio di Santa Caterina del Correggio) era stata affidata al Cardinale di Valençay. Prima che il nuovo Camerlengo (o pro-Camerlengo), Cardinale Sforza, provvedesse nel gennaio al sequestro e all’inventario dei beni di Don Taddeo, «molti luochi [di Monti] appartenenti alli medesimi Barberini» erano stati affidati a Donna Anna, ufficialmente «per pagamento di dotte» mentre «denari e gioie in quantità» erano stati messi in salvo in casa del Cardinale Colonna: ASVe, DAS, Roma 123, cc. 103v, 113r, 174r, Alvise Contarini, 2 e 9 dicembre 1645 e 13 gennaio 1646. Il recupero dei beni di Antonio finiti in casa di Valençay fu assai difficile perché questi, in occasione dell’incidente tra il Cardinale d’Este e l’Almirante di Castiglia, ritenendo poco sicuro il suo palazzo, li aveva affidati al banchiere Piero Nerli, Depositario della Camera, che, alla morte di Valençay, li aveva trattenuti in conto dei crediti che vantava nei suoi confronti. Lo Sposalizio di Santa Caterina, recuperato da Carlo Grimaldi, nipote del Cardinale, nell’aprile del 1647, fu poi regalato alla Regina. Cfr. BAV, Barb.lat. 8801, c. 25 (Antonio a Francesco Barberini, 11 settembre 1646) 8806, cc. 24 (Antonio Barberini al Card. Grimaldi, 8 febbraio 1646) 34-35, 39, 42 (Antonio Barberini all’abate Gio Antonio Costa, rispettivamente 2 e 11 maggio e 4 giugno 1649), 8723, cc. 152v, 213 (Girolamo Grimaldi a Francesco Barberini, 1° ottobre 1646 e 14 aprile 1647).

[5] «Domenica mattina passata mi convenne per negotio urgente passare a Civitavecchia. Per istrada incontrai la madre del Cardinale Grimaldi venuta con galera di Genova, la quale anche sta in questo porto, e dopo la di lei venuta fanno ricerche e molte diligenze nelle carrozze e carichi [...]. La voce pubblica è per scoprire se Barberini mandano contanti a Genova. La diligenza si fa indarno poiché intesi colà da un Capitano di Galera che molti mesi prima i Barberini mandarono a Genova quella quantità di contanti». E qualche tempo dopo: «con tutta la diligenza usata che la Galera di Genova non portasse via contanti intendo dire nulla di meno portò di qua 500 mila scudi» (Ameyden, Diario, BCR, ms. 1832, cc. 193r, 195r). Diversa roba dei Barberini fu effettivamente spedita da Roma a Genova via mare. Ad esempio, il 23 dicembre del 1645 Raffaele Della Torre rassicurava Francesco circa l’arrivo a Genova della «tavola destinata da Vostra Eminenza alla Maestà del Re della Gran Bretagna» imbarcata su una galea (presumo quella su cui doveva imbarcarsi Della Torre, che preferì invece rientrare via terra) che nel corso di una burrasca aveva dovuto disfarsi di parte del carico. Nel luglio del 1646 la tavola era ancora in casa di Della Torre «essendomi fallita la destinatione d’imbarcarla sopra la galera della nostra Republica che conduce la Signora Donna Anna» perché «niuno di que’ Signori della comitiva volse incarricarsene et io persisto di non aventurarla»: si trattava evidentemente di un’opera di grande pregio (BAV, Barb.lat. 10036, cc. 222v-225r). Oltre a quelli conservati da Raffaele Della Torre, diversi altri beni dei Barberini si trovavano in case genovesi, quella di G.B. Raggi e quella di Matteo Peregrini, che era allora a Genova come consultore della Repubblica (BAV, Barb. lat. 10038, cc. 243-247, lettere di Francesco Monticelli).

[6] «A Civitavecchia», raccontava Alvise Contarini, «li ministri hanno voluto vedere non solo tutte le robbe del Residente di Genova, ma ricercar le stesse persone che erano con lui in carrozza per osservare se erano denari o altro di ragione di quei Signori. Et se bene egli ha mostrato sentimento che ciò si facesse ad un ministro di un Prencipe, hanno detto chiaro di haver ordine di così esseguire appunto perché era Ressidente di Genova. Egli ha scritto qui lettere di fuoco dolendosi di così cattivo termine, ma pare che il Papa non habbi ciò posto in molta consideratione, dicendo che questa è cosa solita et che fu pratticata con lui quando andò nontio in Spagna [...]. Si dubita», commentava Contarini, «che questo accidente farà un pessimo effetto negli animi di quei Signori»: Contarini si riferiva ai progetti di un comune sforzo militare contro il Turco, che così diventava più che mai improbabile (ASVe, DAS, Roma 123, 113v, 9 dicembre 1645). Una settimana più tardi, di fronte alle risposte elusive date dal Cardinal Panfili alle rimostranze presentate per conto della Repubblica dal Tesoriere Raggi, confermava il suo pessimismo: «così rimane il negotio senza darsi almeno apparente sodisfatione, cosa che non può che produrre cattivi effetti» (ivi, c. 130-131). All’incidente faceva riferimento, con una punta di malizia, in una lettera di complimento al Della Torre il Cardinale Spada: «Né la importunità delle mie genti in Roma né gli accidenti occorsi di fuora circa le robbe di qua mandate a Genova hanno potuto stancare, né per quel ch’io veggo annoiare la bontà e la gentilezza di V. S....» (ASV, Fondo Spada, 18, c. 88, 6 gennaio 1646; altra copia ivi 24, cc. 173-174. Qui a cc. 196 e 203-204 altre due lettere dello Spada a Raffaele Della Torre, la prima del 6 giugno 1647 di ringraziamento per una copia dell’Astrolabio di Stato che Della Torre gli aveva fatto avere per il tramite dell’abate Costa, la seconda, analoga, del 16 dicembre 1651 in occasione del ricevimento dei Dissidentis desciscentis receptaeque Neapolis libri VI da poco pubblicati).

[7] Lo stesso Della Torre il 23 dicembre, al suo rientro a Genova, dava relazione dell’episodio a Francesco Barberini: «Corre per mio interesse che Vostra Eminenza intenda ch’io son gionto alla Patria, perché non havendo maggior ambitione come di essere honorato de suoi comandamenti, non posso sperarlo quando non sapesse dove comandarmi. Resterà che Vostra Eminenza, perch’io non resti defraudato delle mie maggiori speranze, incontri qualche occasione nella quale possa ricever l’honore di esser riconosciuto per servitore di Vostra Eminenza. Et ardirei di dire di haverne ricevuto la livrea con il mal termine usatomi a Civitavecchia solo per cagione de i rigori tanto indebiti usati contro la sua Casa, se l’haver io in quel tempo vestito persona publica non traportasse un’attione tanto irragionevole e contraria alla Ragion delle Genti a più grave consideratione e fuori della sfera della mia persona privata. Godo intanto d’intendere che la Francia, oltre le proprie convenienze, habbi inteso e professi quanto l’habbi obligata il merito di Vostra Eminenza e di tutta sua Casa, e che in breve se ne aspettino effetti corrispondenti alla grandezza di quella Corona et al desiderio commune di tutti gl’huomini da bene, del che io sto attendendo con avidità maggior d’ogni credere i particolari, i quali ad ogni modo mai saran tali che possano pareggiare il mio desiderio, sollevato tanto più in alto quanto io aprendo più irragionevoli i termini di tanta stravaganza usati da chi meno di quanti huomini siano al mondo doveva consentirlo. Gionto che fui mi fu presentata lettera del Signor Cardinale Antonio per la quale Sua Eminenza mi comandava ciò che havessi a disponere delle robbe che supponeva che io dovessi condur meco et io in risposta il raguaglierò quanto fosse prudente la determinatione per la quale è venuto meno il detto supposto, come parimente ho trovato io non essersi effettuata quella rimessa di danaro, che da Bologna dovea farsi in questa Città a mia dispositione per servitio dello stesso Signor Cardinale delle quali cose ho stimato mie parti raguagliarne Vostra Eminenza, perché ad ogni buono effetto ne possa rimaner interata» (BAV, Barb.lat. 10036, c. 222).

[8] Innocenzo se ne ricordò nel 1648 quando rifiutò il ritorno di Raffaele Della Torre a Roma quale ambasciatore della Repubblica (ASG, AS, 1904, c.195, 18 settembre 1648).

[9] BAV, Barb.lat. 8806, c. 19.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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